Il critico d’arte Andrea Barretta (a sinistra) con l’artista Pierluigi Ghidini.
span class="removed_link" title="http://www.vivicentro.it/regioni/nord/terza-pagina-nord/musil-rodengo-saiano-andrea-barretta-presenta-la-mostra-darte-pierluigi-ghidini/">Il critico d’arte Andrea Barretta traccia un percorso per la presentazione della mostra di Pierluigi Ghidini al Museo dell’industria e del lavoro di Rodengo Saiano,
dal 24 aprile all’8 maggio 2016, parlando di una pittura “che approda in un mondo parallelo dipinto nell’animo. E qui ormeggia in una diversa dimensione, andando per quartieri periferici o industriali, indossando il colore forte o visibilmente tremulo alla luce che inonda città ideali lontane dalla miseria dell’esistente e vicine a un presidio resiliente”.
Barretta nel percorrerne la vicenda artistica che riguarda il maestro Ghidini, annota l’avanzare di “un’inedita variabile dello spazio nella dislocazione degli artefici avvertibili nei suoi quadri quando ci rendiamo conto che vi possiamo accedere e abitarli, e ancora di più quando rileva il rendere intellegibile la nostra epoca, in un’osservazione straniante che nomina in modo compiuto la sua tessitura d’invenzione nelle rifiniture di confessione dell’invisibile, con intuizioni nel ritmo spaziale delle case che pronunciano il paesaggio ma anche lo smarrimento. Tutto questo perché non tiene conto di giustificare la sua scelta stilistica né di sostenerla con dichiarazioni teoriche perché in quest’assenza-presenza legittima una trasmissibilità della sua arte nel vuoto che è venuto a crearsi tra gli artisti e la gente comune. E questa mediazione è il suo porsi come “genere” che spiega la difficoltà di integrarsi nell’artificio culturale attuale e nell’occorrenza esplicativa in cui riconoscere la pittura come prototipo letterario”.
Nato a Brescia il 26 giugno del 1944, Pierluigi Ghidini vive da anni in Franciacorta, a Cellatica. Si avvicina alla pittura molto giovane ed è attivo già dal 1960, mentre nel 1966 inizia la sua attività lavorativa alla “Società italiana per l’esercizio telefonico” (Sip). Seguono riflessioni per una ricerca stilistica e alcune presenze e incontri con altri artisti, come Eugenio Levi e Alberto Bizzai. Frequenta l’ambiente artistico vivendo le prime esperienze negli studi di pittori quali Gianni Boscaglia e Giulio Mottinelli, nel clima di un’amicizia nel condividere i dibattiti sull’arte di quegli anni.
I primi passi sono determinati dalla sua indole semplice che lo condurrà sul sentiero di un vedutismo tradizionale richiamabile al maestro Ennio Morlotti, di cui assorbe gli interessi informali-materici orientati all’elaborazione di tematiche ricorrenti. A Brescia la prima personale nel 1969 alla “Galleria La Tavolozza”, cui seguirà quella di Bergamo, alla “Galleria La Simonetta” nel 1972, che decreta e prevede un successo che poi si avvererà nelle mostre che seguiranno, con un appoggio importante nella galleria di riferimento, la “San Michele” a Brescia, dove espone per molti anni tracce di una figurazione che risente tanto dell’espressionismo storico, quanto delle declinazioni che intrecciano evocazione e immaginazione, insieme ad autori, presenti nella stessa galleria, come Vanni Viviani, Enrico Baj, Tino Stefanoni, e una relazione con Hans Hartung, anticipatore della pittura di Jackson Pollock.
Alla metà degli anni Settanta, precisa il proprio interesse per la tradizione moderna dell’arte e inizia a liberarsi dagli schemi espressivi di derivazione geometrica. Nel corso del decennio successivo, infatti, ne segna il distacco e abbraccia con decisione una nuova idea di natura includendo nei suoi paesaggi la flora e la fauna, lasciando che si sgretolasse poco a poco l’ossatura neocubista che aveva fino ad allora contraddistinto il suo linguaggio pittorico dopo la prima fase paesistica.
Già, però, l’assidua partecipazione agli eventi artistici contemporanei – siamo negli anni Novanta – sposta la sua azione artistica verso un rinnovamento della società, quale punto di partenza per la sua pittura impegnata sul versante della poetica naturalista cui aggiunge i sentimenti della città nella denuncia della globalizzazione consumistica in cui l’uomo perde la ragione etica. La stampa locale e nazionale inizia a interessarsi alla sua pittura e importanti critici d’arte recensiscono le sue mostre oltre che a Brescia, a Lecco, Verona, Venezia, ancora Bergamo, a Milano, Spoleto, Mantova, a Rotterdam e Amburgo, fino alla sua ultima personale, ma solo in ordine di tempo, alla “Galleria ab/arte” di Brescia, in maggio 2015.
Il Duemila di Pierluigi Ghidini è nell’affermare la sua ricerca artistica con elementi simbolici accompagnati da un “filo” che diverrà la firma della sua cifra stilistica. Ora la sua pittura muta il tono complessivo della rappresentazione con il crescere della libertà espressiva, in cui la componente fantastica viene sempre più ad assumere il suo ruolo. E alla produzione del maestro bresciano si aggiunge il ciclo delle “città ideali”, in cui ci sono “i paradigmi ma anche le forzature di una postmodernità urbana, e ci sono le riserve d’influenze depositate a conferire ai dati dimensionali una mappatura topografica per una geografia in fieri”, leggiamo nella monografia a cura di Andrea Barretta: “La città ideale di Pierluigi Ghidini” (2015, ed. ab/arte).
vivicentro.it-nord-terza-pagina / Pierluigi Ghidini nell’arte di tangibili invenzioni creative (Gianni Eralio)
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