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o un debole per il pensiero atletico di Di Battista. Il funambolo pentastellato mi ricorda Nino Castelnuovo nella pubblicità dell’olio di semi quando scavalcava le staccionate. Dibba, appena può, scavalca le transenne. Poi, arraffato il primo megafono di passaggio, parla. A chiunque e contro chiunque, avendo egli un’indole generosa.
La piazzata di Dibba
Ieri era uscito da Montecitorio per prendere una boccata d’aria rivoluzionaria, ma si è imbattuto in un nugolo di esagitati che gridavano Ladri e Onestà . Deducendo dall’originalità del frasario che fossero suoi fan, li ha concionati sul tema, popolarissimo tra le masse, della legge elettorale denominata Rosatellum, in omaggio al vino di cui i proponenti pare abbiano fatto ampiamente uso. Dibba è partito col botto, affiancando De Gasperi a Mussolini tra i nemici della democrazia, un po’ come accostare Galileo all’Inquisizione. Finché la reazione infastidita dell’uditorio lo ha posto di fronte alla drammatica realtà . Qualcuno – i servizi segreti? – gli aveva cambiato la piazza sotto il naso.
Succede anche ai migliori. Una volta Berlusconi arringò la platea di Torino sui problemi del porto, credendo di essere a Genova. I manifestanti urlavano sì come grillini, però erano seguaci di un altro incantatore di folle biliose, il generale Pappalardo, ex parlamentare con vitalizio incorporato che ha fondato un movimento per dichiarare abusivi i parlamentari, Dibba compreso. E al nostro eroe, sommerso da fischi immeritati, non è rimasto che rifugiarsi dentro l’odiato Palazzo come un renziano qualsiasi.
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