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Castellammare di Stabia

I Paesi Bassi mostrano di essere ”alti”: vince Rutte, sconfitto Wilders

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Marco Zatterin commenta il risultato parlando di “assedio sventato” e sottolinea come gli olandesi siano rimasti “fedeli al loro pragmatico calvinismo, aperti agli altri e al commercio”.

L’Europa batte un colpo

Il voto Orange sventa l’assedio dell’antislamico Geert Wilders all’Europa e proietta l’Unione verso la difficile semifinale del campionato continentale contro populisti e scettici. «Noi siamo i quarti di finale», aveva annunciato alla vigilia delle elezioni il premier dei Paesi Bassi, Mark Rutte. Era una metafora calcio-politica che immaginava un altro turno intenso alle presidenziali francesi e una finalissima autunnale in Germania. I primi risultati suggeriscono che gli olandesi hanno votato per restare olandesi e al contempo europei, fedeli al loro pragmatismo, aperti agli altri e ai commerci, perché questo è il Dna dell’ex Regno di Batavia.

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U

na vittoria di Wilders, che comunque non sarebbe mai andato al governo, avrebbe segnalato il prevalere del desiderio di chiudersi in casa con le proprie incertezze e senza l’euro, magari favorendo un domino distruttivo per Bruxelles. L’affermazione dei partiti più tradizionali de L’Aja consente invece di non costruire muri, dunque di continuare a fare affari e prosperare come ai tempi della Compagnia delle Indie. La voglia di un benessere relativamente certo e di stabilità ha superato la paura dell’altro, e tanto basta per dare ossigeno all’Europa che sta per concedersi alla festa romana dei suoi sessant’anni di pace e benessere.

I Paesi Bassi sono una terra ricca, molto popolata, laboriosa e organizzata, che vive di export e di servizi, nonché della capacità di essere fiscalmente attraenti per le multinazionali. La campagna elettorale del 2012 si era combattuta sugli effetti della crisi, ora le cose sono cambiate: la disoccupazione è sotto il 6%, la crescita è oltre il 2%, il debito punta diritto al 60 per cento del pil. Lo choc seguito alla tempesta finanziaria del 2007 ha però aumentato le diseguaglianze fra ricchi e poveri, ed è qui che Geert Wilders e gli altri xenofobi hanno cercato di seminare la loro rivoluzione populista e antieuropea. E’ qui che hanno perso, perché gli elettori hanno preferito fidarsi di un establishment certo non travolgente invece che di politici dal linguaggio violento e dai programmi inattuabili di poche frasi.

Rutte e i suoi hanno rimesso in carreggiata l’economia e riaffermato i prodigi della diversità. Poi hanno tirato fuori gli attributi sfidando il turco Erdogan, evento cruciale a sentir tutti. Hanno ribadito e difeso l’identità nazionale. Si sono dimostrati olandesi sino in fondo per poter restare europei, prospettiva che ritengono offra loro la forza di essere piccoli e contare nel mondo globale. Tutto lascia pensare che ci vorranno settimane per formare il governo, tuttavia la strada è segnata. Il voto Orange dice che essere differenti non è necessariamente un problema, che la comunità fra le genti è una scelta che arricchisce, e che se si fanno le riforme giuste alla fine gli elettori lo capiscano e ti votano.

S’impone concretezza in questa stagione ancora gravida di insidie potenzialmente devastanti. Se c’è una lezione che arriva dalle urne olandesi è che i fatti hanno la straordinaria tendenza ad avere la meglio sulle parole. Non è una gran novità, però è stata lungamente trascurata dai governi nella gestione quotidiana della cosa europea. L’Ue che celebra i suoi Trattati il 25 marzo deve essere pratica e decisa. Rispondere alle paure dei cittadini, alla crisi sociale, alle minacce sul fronte economico e della sicurezza. Restare fedele a se stessa, agire con solidarietà e determinazione nel rispetto di tutti.

Così facendo, potrebbe andare bene anche in Francia, dove l’amore per La Patrie impone un collegamento col resto del mondo, se non altro per tentare di influenzarlo. Allo stesso modo potrebbe passare il turno la Germania di Merkel e/o Schulz, sempre forte quando il caso lo richiede. Il gioco è più difficile per l’Italia, che è uno Stato, ma non una nazione, diviso e ammaliato dagli uomini forti, anche se non hanno un vero programma o se non lo attuano. Per essere fino in fondo italiani può rivelarsi obbligatorio essere europei. Perché ognuno sia se stesso, l’Europa deve funzionare. E’ necessario perché, una volta che si saranno messi a lavorare insieme sul serio, gli europei possano affermare la loro identità e diventare qualcosa di più per affrontare le sfide globali e non essere travolti. Proprio come ci suggeriscono il voto olandese, la vittoria meritata di Rutte, la fresca volata dei verdi e la solita mezza affermazione di Geert Wilders.

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lastampa/L’Europa batte un colpo MARCO ZATTERIN

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