Il ministro della Giustizia Andrea Orlando annuncia l’intenzione di correre per la segreteria e così Renzi, che oggi non sarà presente alla direzione del partito, ha la strada spianata verso le primarie che potrebbero tenersi entro aprile. Il fronte degli scissionisti del Pd è già incrinato e l’addio del governatore pugliese Michele Emiliano resta in bilico. Per Giovanni Sabbatucci “non è detto che le scissioni siano dannose, possono essere necessarie o risultare addirittura utili”.
Renzi fa rotta su Orlando per coprirsi con la sinistra
Il leader benedice candidature ai gazebo che parlino al mondo ex Pci. Spunta un sondaggio che lo darebbe vincente al 73% contro Emiliano
Primarie il 7 maggio
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el Pd tutta l’area ex Dc che fa capo a Dario Franceschini spinge per tenere dentro il governatore, tanto che nel dibattito sulle date delle primarie è proprio il ministro a tifare per il 7 maggio piuttosto che per il 9 aprile. Non solo perché votare più in là scongiura il rischio di un voto a giugno, «e se non si vota a giugno si va a febbraio 2018», prevede un dirigente del gruppo. Ma anche perché allungare i tempi congressuali va incontro alle richieste della minoranza, sia quella di Emiliano e compagni, sia quella di Andrea Orlando, corteggiato dal leader per una sua candidatura al congresso. Con il primo, Renzi non avrebbe paura di misurarsi e fa girare un sondaggio riservato che lo darebbe vincente al 73,5% contro l’11,7% del governatore, l’8,3% di Rossi e il 6,5% di Speranza. Il leader Pd è convinto che Emiliano non uscirà e che lascerà i compagni di avventura col cerino in mano. Dunque si prepara a combatterlo. Le bordate in assemblea dei renziani contro il governatore vengono anche interpretate nel Pd come segno della paura di un candidato insidioso, che potrebbe riservare sorprese nelle percentuali finali e nel numero di candidati che porterà a casa nelle future liste elettorali.
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Discesa in campo di ex Ds
Ma in attesa di Emiliano, è su Orlando che sta puntando Renzi. Il ministro della Giustizia è considerato infatti la figura più autorevole per poter disputare un congresso che non sia una passerella per rilegittimarsi in vista delle politiche. Parlando di colui che scherzosamente nell’inner circle renziano chiamano «il nostro Bernie Sanders», alludendo al senatore americano che sfidò la Clinton alle primarie, Renzi argomenta così con i suoi la validità dell’operazione Orlando. «Con lui sarà un congresso vero, quella parte della sinistra è rappresentativa di un mondo nel Pd e lui ha un’autorevolezza per misurarsi anche su opzioni programmatiche diverse». Insomma, una benedizione in piena regola anche se ancora ufficiosa. Per una sfida nei gazebo, dove il leader vuole sia ben rappresentata l’anima della sinistra, magari anche con Cesare Damiano che non esclude di candidarsi se Orlando dovesse rinunciarvi. I renziani sono convinti che le primarie saranno alla fine molto partecipate, perché «se si candida Emiliano – e se non ci fosse lui anche con Orlando – molti dei militanti filo D’Alema e scissionisti vari filo-Bersani verranno lo stesso a votare alle primarie per condizionare il voto e indebolire Matteo». Ecco, un’altra perla della fiera dei veleni che anima il Pd.
Tre regioni in subbuglio
Per il momento – dicono però i luogotenenti di Renzi che hanno acceso le sonde sul campo – dai territori non giungono allarmi particolari. Tranne che in Puglia per l’effetto combinato di D’Alema-Emiliano, in Calabria, terra di Nico Stumpo e in Basilicata dove gli ex Ds sono molto radicati e dove ha il suo bacino elettorale Roberto Speranza.
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