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l carcere o la morte. Non c’è via di scampo per i giovani di camorra, protagonisti dello scontro tra il clan Mazzarella e la paranza dei bambini. La storia di due fratelli
Napoli, dietro gli spari al mercato i ragazzi condannati a uccidere
DIETRO una sparatoria, una strage sfiorata come quella al Mercato della Duchesca del 4 gennaio scorso, ci sono storie di famiglie che vivono una quotidianità di guerra. Si può scegliere di ignorare queste vicende o, invece, avere il coraggio di fissare l’abisso.
Valerio Lambiase, 28 anni, è uno dei ragazzi arrestati per la sparatoria in cui è rimasta ferita una bambina di 10 anni oltre ad alcuni ambulanti senegalesi. Gennaro Cozzolino, 39 anni, il suo socio, sarebbe colui che ha effettivamente sparato mentre Valerio durante l’aggressione era armato di una mazza da baseball. Valerio è fratello maggiore di Gianmarco, la storia di questi due fratelli è una storia tipica di queste terre.
Hanno voglia di fare, di migliorare la loro condizione, hanno fretta di crescere.
Sono di Forcella e qui il modo più veloce di affermarsi è mettersi a disposizione dei clan. Gianmarco inizia a sorvegliare le piazze per conto della famiglia Del Prete, che è il braccio operativo dei Mazzarella nel quartiere.
I Mazzarella sono uno dei clan più antichi della città: nascono in periferia, a San Giovanni a Teduccio, e arrivano a comandare fino al centro. Entrano a Forcella per la via del sangue nel 1996: Michele Mazzarella (figlio di Vincenzo detto “o pazz”) sposa Marianna Giuliano (figlia di “Lovigino” Giuliano, uno dei massimi dirigenti della camorra, divenuto noto ai media per la foto con Maradona in una vasca a forma di conchiglia. La famiglia Giuliano collassa nei pentimenti: i Mazzarella diventano sempre più i legittimi sovrani di Forcella.
I fratelli Lambiase crescono in questo contesto di decadenza. Le grandi piazze di spaccio sono spostate a Secondigliano, la ricchezza criminale di Forcella si depaupera, ma proprio quando stanno per diventare maggiorenni, intuiscono che tutta l’attenzione mediatica concentrata su Scampia sta permettendo a Forcella di tornare un’importante piazza di spaccio. A Forcella si formano le paranze.
L’idea di Emanuele Sibillo, capo del gruppo più feroce, la “paranza dei bambini”, è di togliere il potere nel quartiere ai Mazzarella, considerati forestieri, e di darlo ai forcellani. Gianmarco viene avvicinato dalla paranza dei bambini: l’obiettivo è farlo passare dalla loro parte contro i clan “stranieri” di San Giovanni a Teduccio, ma Gianmarco non vuole, ha una specie di istinto di fedeltà verso il suo clan d’origine.
Inizia una vera e propria guerra tra i Mazzarella-Del Prete e la paranza dei bambini di Sibillo. La famiglia di Gianmarco capisce che la situazione sta diventando gravissima. Lo spinge ad allontanarsi dal centro di Napoli, finché la situazione non si sarà calmata. Nelle telefonate intercettate nell’inchiesta della Dda di Napoli, il padre dice a Gianmarco: “Qua non devi venire proprio! Non la devi fare proprio la pazzaria! (…) non sai chi ti vuole male”. L’altro figlio, Valerio, è al sicuro, perché è finito in galera. Ed è proprio per questa ragione che la compagna del padre ha un’idea per salvare anche Gianmarco: “Dobbiamo chiamare un carabiniere (…) gli dobbiamo far pigliare un paio di anni di carcere… questi qua vanno tutti quanti in galera, quando lui esce non c’è più nessuno (…) almeno il padre lo va a trovare ogni settimana al carcere e non va sopra al cimitero”. È proprio come appare da queste parole: l’idea è di far arrestare Gianmarco per far sì che non venga ucciso.
Ma lui continua a frequentare la zona, ad andare e venire da Forcella. Sente che è il momento in cui poter avere un ruolo più importante e quindi più soldi, perché molti del clan sono in carcere e altri stanno tradendo passando con i rivali. Ma nel 2013 arriva l’imprevisto: nasce sua figlia e la sua compagna Anita, che ha 21 anni, non vuole far vivere la sua bambina in una famiglia di camorra. Litigano e lei riesce a convincere la propria madre ad attivarsi per trovargli un lavoro: e lo trova. A un bar calabrese serve un barista, ma Gianmarco non ne vuole sapere. Qui è riportata l’intercettazione tra Anita e Gianmarco, in cui quest’ultimo le confessa che non ce la fa a vivere come un barista, un normale lavoratore, seguendo la classica logica del giovane di paranza, secondo cui a lavorare sono solo i fessi, gli uomini che non contano:
Gianmarco: “Embè me ne vado là [a Forcella, ndr ] Anita…”.
Anita: “E che fai Gianmarco là…”.
Gianmarco: “Io … e poi si vede quello che faccio, Anita …”.
Anita: “Eh… Gianmarco e che fai perdi questo lavoro qua per andartene là…”.
Gianmarco: “Ed io poi vado sempre a lavorare…?”
Anita: “Embè che vuoi fare…?”.
Gianmarco: “Sempre quello che ho in testa Anita… tu lo sai bene (…)”.
Anita: “Eh Gianmarco e perché tu vuoi fare sempre… perché tu vuoi fare sempre questa vita qua…? Fammi capire (…) ho parlato con tua mamma, ho parlato con tuo padre, ho parlato con…, ho parlato con tutti quanti, tutti quanti… perché devi fare per forza quella vita, allora è come dico io…”.
Gianmarco: “Ma per forza, ma è una cosa obbligatoria…”.
Anita, per convincere Gianmarco ha parlato con la sua famiglia e i suoi migliori amici, ha cercato di mostrare a tutti che Gianmarco è diverso dagli altri ragazzi di paranza. Anita vuole far capire a lui e a chi gli vuole bene che non è scritto che il suo destino sia per forza quello di camorrista. Ma per Gianmarco, invece, è obbligatorio, di fronte alla possibilità di guadagnare di più, lavorare nel narcotraffico e per i Mazzarella. E così risponde alla richiesta di Anita di emigrare e cercare un’altra vita:
Anita: “Andiamo per altre parti, e non ti preoccupare”.
Gianmarco: “Eh, non ti preoccupare, con 100-150 euro alla settimana voglio vedere come facciamo… Anita ma per piacere, ma stai un poco zitta, sì…”.
Gianmarco rimane a Napoli, quindi. L’unica precauzione che prende è quella di andare a vivere a casa dei suoceri a Ponticelli, territorio controllato dai Mazzarella. Ma la paranza ci mette poco a scoprire dove si trova. Il 1° marzo 2015 Gianmarco non ce la fa più a stare chiuso in casa. Ha 21 anni e nemmeno la paura lo fa rinunciare a vedere la partita della sua squadra. Quella sera si gioca Torino-Napoli. Gianmarco va a vederla in un circolo ricreativo di Ponticelli. Intorno alle 21.30 due killer arrivano e gli sparano addosso. Muore poche ore dopo in ospedale.
Questa storia ha un sapore amaro, perché vede una famiglia sperare che i propri figli vadano in carcere come unica salvezza da morte certa. E il lavoro per pochi spiccioli, senza diritti e soprattutto senza possibilità di crescita viene visto come una condanna assai peggiore di quella di morire o essere arrestati.
Il padre dei Lambiase in un’intercettazione, parlando dei figli, dice: “Gianmarco è un uomo perso (…) Valerio però rimane là uno lo va a trovare, lo vede, hai capito… Ma quello vuole fare proprio quello, fare quello che lo vuole fare hai capito? Non capisce che io domani sono più forte di te, domani mi sveglio io quello è più forte di te non capisce mo’ sta proprio rischiando la vita di quello che sta in mezzo alla via sta monnezza…”.
Era consapevole che il destino di Gianmarco fosse segnato e che il carcere fosse la protezione di Valerio. Una volta uscito dal carcere quest’ultimo, infatti, è tornato per strada. Questa è una storia svelata dalle indagini dei pm Woodcock e De Falco e dalla squadra mobile di Napoli comandata da Fausto Lamparelli (che avevano già indagato l’ascesa e la caduta della paranza dei bambini). Ora queste indagini che raccontano di Valerio con una mazza da baseball, a riprendersi il territorio dalle mani degli assassini di suo fratello, pronto a spaccare teste e gambe e a costringere i disperati venditori ambulanti africani a tornare a pagare il pizzo al suo clan.
vivicentro.it/opinione
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