Se n’è andato all’età di 84 anni un protagonista della nostra vita pubblica e uno degli ultimi intellettuali di valore.
L’addio a Stefano Rodotà, un giurista e intellettuale di sinistra che si è sempre contraddistinto per la sua libertà, impoverisce la nostra politica. Soprattutto, fino alla fine, un uomo libero che si è speso in mille battaglie per i diritti civili e sociali. Una politica che lui vedeva già povera per la mancanza di riferimenti culturali: “La cattiva politica è figlia della cattiva cultura”, aveva affermato una ventina di anni fa.
U
na vita di battaglie per la libertà”, ha scritto su Twitter il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni.
Rodotà era nato a Cosenza il 30 maggio del 1933, negli anni del fascismo. Giurista, professore universitario, ex parlamentare, già Garante per la protezione dei dati personali, venne eletto deputato per la prima volta nel 1979 come indipendente nelle liste del Partito Comunista Italiano.
Nel 1989 è stato nominato ministro della Giustizia nel governo ombra creato dal Pci di Achille Occhetto e successivamente, dopo il XX Congresso del partito comunista e la svolta della Bolognina, ha aderito al Partito Democratico della Sinistra, del quale sarà il primo presidente del Consiglio nazionale, carica che ricoprirà fino al 1992. Nell’aprile dello stesso anno è tornato alla Camera dei deputati tra le file del Pds ed è stato eletto vicepresidente e ha fatto parte della nuova Commissione Bicamerale.
Dal 1997 al 2005 Rodotà è stato il primo Garante per la protezione dei dati personali, mentre dal 1998 al 2002 ha presieduto il gruppo di coordinamento dei Garanti per il diritto alla riservatezza dell’Unione europea. Nel 2013 è stato candidato non eletto per l’elezione del Presidente della Repubblica.
A cura di Patrizia Esposito
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