Per l’editoriale di oggi prendo spunto da quanto scritto da Massimo Vincenzi su la Stampa di oggi per riflettere insieme a lui sul “problema migranti”. Una situazione che ormai, nella disorganizzazione generale aggravata (o forse anche generata) da egoismi e da mancanza di fondi, è divenuta già realmente un “problema” sul quale non si può più ne glissare ne speculare per interessi di bottega. Papa Francesco, il 18 aprile scorso, ebbe a dire: I migranti sono un dono, non un problema. Come negarlo, eppure …. eppure anche i doni devono essere adeguati al ricevente e questi, poi, deve saperli apprezzare e gestire. In Italia, ma anche in Europa, l’apprezzamento latita e della gestione nessuno ha voluto farsi veramente carico per cui ecco che ora ovunque, in Italia e in tutte le Nazioni U.E., ci si sta accorgendo che il tentare di demandare ad altri (Stati, regioni, comuni) senza null’altro fare è cosa non più “frequentabile” e che l’averla praticata, sinora, ha portato a sbattere contro un muro con danni – per ora – più o meno gravi, ma che presto diverranno irreparabili. I segnali ci sono tutti in Italia come in Inghilterra, in Germania ed in quasi tutti gli altri stati europei meta tradizionale di immigrazione; finanche nei paesi scandinavi, basta volerli vedere.
Tornando in casa nostra, in lealtà e realtà, occorre annotare che, bene o male, tra mugugni e sfruttamenti (politici) vari, abbiamo tenuto botta con la nostra struttura di centri d’accoglienza gestita dal ministero dell’Interno composta da:
- 14 centri di accoglienza (Cpsa, Cda, Cara)
- 5 centri di identificazione ed espulsione (Cie)
- 1.861 strutture temporanee
- 430 progetti del Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati (Sprar)
ma ora TUTTI sono realmente OLTRE il collasso per capienza e per disponibilità economiche per cui siamo entrati in una fase pericolosa di ribellione a quella che non è, non può, più essere una gestione ed un trattamento umano di questi “doni” per ribadire il concetto e le parole di Papa Francesco: I migranti sono un dono, non un problema.
Il governo, in questi giorni, con il piano del ministro dell’Interno Angelino Alfano, prova a dare segni di vitalità e di volontà d’affrontare seriamente (ed equanimemente) il problema provando a spalmare gli emigranti sul nostro territorio mediante l’utilizzo di una semplice e comprensibile formuletta: 1000 = 3 (tradotta: per ogni 1000 abitanti ci dovrà essere l’ospitalità per 3 migranti) e, per addolcire la cosa ci mette anche la caramellina del regalo di 50 centesimi a migrante a titolo di spese generali. La quota, chiaramente, verrà detratta dai 2,50 euro attualmente previsti quotidianamente per le spese spicciole – il cosiddetto pocket money o argent de poche – dei profughi ed è a questo punto che la mia mente vaga nei ricordi delle fiere di paese dove mi sembra d’udire il banditore Alfano decantare la sua merce ed aggiungere: e non basta siori e siore, mi voglio rovinare, ci aggiungo anche lo sblocco delle assunzioni! (che potrete pagare con i vostri soldi)
Questo è, ad ora. Che dire, meglio che niente ma siamo, come sempre, solo alle parole e quelle, si sa, non costano niente ed escono dalla bocca di chiunque, persino di un bimbo appena nato che fa sentire i suoi primi ngue, blaaa, ecc ecc. Ecco, siamo ai “ngue”; auguriamoci ora che l’infante cresca presto e bene: forte, sano ed istruito.
Per ora si resta all’emergenza crescente e alla sua gestione tramite i prefetti che intervengono senza chiedere permesso inviando i profughi ai Comuni i quali provvedono – quando è possibile – a sistemarli in pensioni e hotel. Per ogni migrante all’hotel spettano 35 euro da cui vanno decurtati sempre i famosi 2,50 euro del pocket money dei quali, se tutto passa, 2 andranno al migrante e 50 centesimi al comune
Ciò premesso, eccovi l’editoriale di Vincenzi che ha dato lo spunto a questa mia riflessione.
Il fattore tempo per uscire dalla crisi MASSIMO VINCENZI
Il pendolo dei luoghi comuni di quella tragedia umana chiamata questione migranti sbatte e finalmente si arresta contro la realtà. La speculazione politica, che da sempre accompagna l’emergenza con banalità assortite (e bipartisan), deve fare i conti con la vita quotidiana delle nostre città. Da Roma a Verbania, da Alessandria a Milano, in una mappa che non concede eccezioni, i sindaci di ogni colore lanciano un grido di allarme: così non si può più andare avanti, la situazione non è più gestibile. Il quadro descritto ieri su questo giornale non lascia spazio ai dibattiti: è vero, i numeri dicono che non c’è alcuna invasione di «orde nemiche» come troppo spesso viene raccontato, ma è altrettanto vero che le nostre strutture non sono più in grado di assorbire i nuovi arrivati e un ecosistema già ammalato adesso arranca in cerca di ossigeno.
Mancano gli spazi, con i centri di accoglienza che scoppiano (annichilendo gli ospiti in una vita disumana), e con lo smistamento che fatica sempre di più a trovare il naturale sbocco. Mancano i fondi, con i bilanci cittadini, già dimagriti dai tagli e dalla crisi, impotenti davanti alla montagna di azioni da intraprendere. Mancano soprattutto le idee e un’organizzazione centrale degna di questo nome. Lo Sprar (il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), istituito nel 2015, fornisce ai migranti un sostegno di buona qualità ma i Comuni che hanno aderito sono solo 800, troppo pochi per risolvere il problema. Soprattutto la macchina va a singhiozzo e le previsioni statistiche anticipano che presto andrà in tilt, incapace di sostenere il peso della missione.
Il resto del caos schiaccia i prefetti che devono affrontare nell’ansia del giorno dopo giorno, con mezzi di fortuna, un lavoro che richiederebbe ben altra programmazione. L’assenza di un reale coordinamento fa sì che i pesi siano distribuiti in maniera casuale, dunque diseguale: dove ci sarebbe la possibilità di accoglienza non viene mandato nessuno, dove già c’è il sovraffollamento vengono spediti a getto continuo altri profughi. E così il piano inclinato dell’emergenza scivola verso il punto di non ritorno. Questo dicono i sindaci, questo spiegano gli uomini chiamati a gestire l’ordine pubblico, il resto sono chiacchiere miopi utili solo a rosicchiare qualche manciata di voti alla prossima tornata elettorale sulla pelle delle persone.
Il governo adesso prova a varare misure speciali, cerca soldi e mette sul tavolo nuove iniziative: questo è un bene, ma il programma va messo in atto al più presto perché il fattore tempo è vitale (e non è una metafora). Non si possono sprecare altre occasioni: l’inevitabile società multietnica è un duro lavoro, costa fatica e sacrifici soprattutto in questi tempi di paura ed estremismi. Bisogna alzare il livello del dibattito culturale, smettere di parlare alla pancia del Paese e iniziare ad allenare i cervelli. Ma bisogna anche abbassare gli occhi sulla realtà che ci circonda: affrontare e risolvere i problemi che la presenza di migranti non gestiti e non integrati comporta. Inutile costruire muri. Se ogni giorno donne incinte attraversano il deserto e il mare mettendo a rischio quello che hanno di più sacro al mondo, la vita dei loro figli, non si fermeranno certo davanti alle grida di qualche populista dell’ultima ora. Il dovere della politica è quello di creare un Paese civile dove vivere con dignità e sicurezza. Tutti assieme, loro e noi.
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