Nelle ultime ore l’Etna ha eruttato cenere, scorie, magma fresco e bombe vulcaniche che si sono depositate sulla sommità del cratere.
Il vulcanologo Boris Behncke sulla sua pagina Fb, ha annunciato ufficialmente la ripresa dell’attività del vulcano più alto d’Europa, L’Etna “Dal 1° maggio 2019 abbiamo “comunicato aperto” per l’Etna, cioè è ufficiale che la nostra montagna è nuovamente in attività. L’attività stromboliana all’interno del cratere Bocca Nuova, osservata (acusticamente) già circa 2 settimane fa, si è gradualmente intensificata, con lancio di alcune scorie (magma fresco) fuori dall’orlo craterico nella mattinata del 1° maggio. Si osservano inoltre sporadiche emissioni di cenere, a volte anche assai energetiche, dal Nuovo Cratere di Sud-Est (non dal “puttusiddu”!), ad intervalli di alcune ore”. Le foto mostrano alcune nel mattino del 2 maggio 2019 e tratte dal video di Benito Morabito.
“Queste non sono affatto cose eccezionali –continua il vulcanologo Boris Behncke– ma totalmente normali per un vulcano come l’Etna, che è uno dei vulcani più attivi al mondo. E questa attività NON significa affatto che “ora ci saranno nuovamente terremoti”. L’attività sommitale non ha praticamente rapporto con l’attività sismica nei fianchi dell’Etna. Ma sia ben chiaro, prima o poi ci sarà anche una nuova eruzione di fianco, e un giorno ci sarà anche nuovamente qualche terremoto più forte, e sta a noi di farci cogliere sempre più preparati”.
L’intensità dei fenomeni era in crescendo da giorni, ma adesso si è resa ancora più visibile. L’Etna negli ultimi mesi si è ricaricata, come dicono semplificando gli esperti, e adesso l’attività eruttiva torna a manifestarsi. I fenomeni restano comunque confinati nell’area sommitale. Nelle ultime ore l’emissione di materiale eruttivo e bombe vulcaniche si è intensificata, i lanci superano adesso l’orlo craterico e si depositano intorno al cratere. Nelle ultime settimane alcuni dei terremoti che costantemente agitano l’Etna erano stati avvertiti dalla popolazione. Tra il 27 e il 29 aprile due mini-sciami sismici avevano interessato il versante ovest della montagna, in territorio di Bronte, e la faglia Pernicana, sul versante nord-est, tra Piedimonte Etneo e Linguaglossa.
Mario Tozzi, geologo, divulgatore scientifico e saggista italiano, noto personaggio televisivo, dell’Etna ci dice, in un intervento sul Messaggero Veneto “Oltre a essere il vulcano più alto d’Europa, l’Etna è anche, insieme allo Stromboli, il più attivo: in media un’eruzione significativa ogni due anni. Si tratta di eruzioni quasi sempre tranquille: fluide colate di lava che si arrestano lungo le pendici. L’unico problema potrebbe derivare da fratture che si aprono a quote più basse, come già nel 1699, quando dai Monti Rossi la lava arrivò a invadere il fossato del Castello Ursino di Catania. Oppure dalle rare esplosioni in quota, come quella che nel ’79 uccise nove turisti. Un vulcano relativamente tranquillo, niente a che vedere con il Vesuvio e i Campi Flegrei, vere bombe a orologeria nel centro della penisola. Sulle quali si continua a vivere e costruire allegramente. I terremoti collegati alle eruzioni dell’Etna sono frequenti e hanno causato vittime e danni in varie occasioni (Zafferana Etnea 1984). Si tratta della sismicità scatenata dalla risalita dei gas all’interno della camera magmatica, dove vengono elaborate le lave del vulcano. Oppure da grandi scivolamenti profondi, come enormi frane: tutto l’edificio vulcanico sembra essere in lento spostamento verso lo Jonio. Sono terremoti con ipocentro poco profondo e magnitudo relativamente bassa, molto diversi da quelli che, invece, di origine tettonica, fanno della Sicilia Sud-orientale la zona più pericolosa d’Italia. Nel gennaio del 1693 un terremoto valutato (a posteriori) di magnitudo 7,5 Richter, più forte di quello di Reggio e Messina del 1908, distrusse Val di Noto e Catania. Nel capoluogo ci furono 15 mila morti su quasi 20 mila abitanti. Cinquantamila vittime in tutta la regione e la distruzione totale di città e paesi. Questi terremoti sono causati dai movimenti lungo una enorme spaccatura, lunga 300 chilometri, che costeggia la Sicilia orientale (la scarpata di Malta) e sarebbero in grado di causare decine di migliaia di morti nel capoluogo etneo, uccidendo quasi la metà della popolazione e radendo al suolo una città che non è assolutamente preparata a reggere l’impatto di quello che potremo (impropriamente) chiamare il nostro “Big One”. Come dimostrano i danni di questi giorni nei paesi etnei. Secondo recenti studi, la scarpata di Malta sarebbe anche il «rubinetto» del magma dell’Etna, che risalirebbe lungo superfici curve che pescano a oltre 20 chilometri di profondità, prima di stazionare nelle camere magmatiche più superficiali e alimentare nuove eruzioni. Questi corridoi profondi preferenziali (specie di «autostrade») spiegano anche perchè l’Etna sia cresciuto così in fretta e in modo così consistente rispetto ad altri vulcani. La Sicilia sudorientale è seduta sopra un mare di magma e dunque non si possono escludere nè nuove scosse, nè eruzioni da quote più basse con apertura di nuove bocche. In questi giorni si registra, inoltre, un parossismo eruttivo di Stromboli con fontane di lava ed esplosioni che emettono lapilli, ceneri e gas. Stromboli è un vulcano in attività continua da oltre duemila anni, tanto che veniva chiamato il faro del Mediterraneo, perchè il pennacchio di lava era visibile da lontano durante la notte. Le sue eruzioni degli anni ’30 provocarono lo spopolamento dell’isola che ridusse di quasi dieci volte il numero degli abitanti, ma, normalmente, non destano preoccupazioni e la risalita a piedi al vulcano è un’esperienza di viaggio da fare. Il problema potrebbero essere qui gli tsunami: un’eruzione importante potrebbe portare molto vicina all’esposizione la camera magmatica superficiale del vulcano e causare fenomeni di instabilità e frane che potrebbero innescare maremoti giganteschi. Molto più consistenti di quello del dicembre 2002″. Stromboli non ha nulla a che vedere con l’Etna: la sua attività è legata allo scontro che avviene, all’altezza di Sicilia e Calabria, fra la placca africana, che spinge da Sud, e quella europea che resiste a Nord. La prima si piega e finisce sotto la seconda, fondendo in profondità e dando luogo a vulcani (isole Eolie) e terremoti profondi. Una situazione simile a quelle indonesiane. A complicare il quadro e ad incrementare il rischio ci sono i vulcani sottomarini che, dalla Catena Palinuro al ben noto Marsili, costellano i fondali davanti alla Calabria: un’eruzione di questi giganti porterebbe a tsunami catastrofici dalle conseguenze inimmaginabili”.
A
dduso Sebastiano
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