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’arrivo dei robot nelle nostre vite fa ogni giorno passi avanti e alla Camera è stata presentata una mozione per chiedere al governo di pensare a uno “sviluppo sostenibile della robotica e dell’intelligenza artificiale”. Paolo Gallina, docente di robotica, condivide l’idea: “Una riflessione comunitaria e un impegno politico sono doverosi”.
Una norma sui robot per non farci cogliere impreparati
L’attenzione che viene data all’argomento potrebbe apparire eccessiva, alimentata più da preoccupazioni fantascientifiche che da una concreta necessità di vigilare. In fondo, già negli Anni 60, primordiali robot umanoidi venivano presentati alle principali fiere mondiali, informando il mondo che presto, tempo una ventina d’anni, i robot avrebbero invaso il focolare domestico. Così non è stato. Ora, il copione sembra ripetersi.
Tuttavia, se confrontiamo i pericoli di un futuro distopico allora preannunciato e la nostra realtà, emergono delle differenze sostanziali.
Innanzitutto, i robot umanoidi e le intelligenze artificiali sono diventati così evoluti da riuscire a spremere «sentimenti artificiali» dalla mente degli utilizzatori. Il fenomeno è ben noto in ambito scientifico. E viene già sfruttato commercialmente. Il termine «persuasive technology» indica tutte quelle tecnologie, digitali e meccatroniche, studiate per indurre l’utilizzatore a comportarsi in una ben determinata maniera. Ecco quindi che un robot non è solo uno strumento asettico a servizio dell’uomo, ma ha buone chance per diventare un’entità che sta a metà tra l’inanimato e il vivente, in grado di suscitare emozioni artificiali. Personalmente, ritengo che l’evoluzione di un artefatto prodotto dall’uomo, in grado di influenzarne sentimenti, stati d’animo e grado di empatia, debba essere monitorata da vicino, senza preconcetti e inutile allarmismo. Questo al fine di trarre il massimo del beneficio ed evitare qualche «buca di percorso» prodotta da uno sviluppo selvaggio.
Un secondo motivo per cui il ciclo di produzione dei robot e dell’intelligenza artificiale debba essere in qualche modo analizzato con spirito critico riguarda la scomparsa di posti di lavoro. I tecnofili osservano che è insito nel progresso il cambio di professionalità. Oggi i maniscalchi in una grande città si possono contare sulle dita di una mano a differenza degli informatici. Le professionalità emergenti (programmatore, manager, tecnologo) hanno a che fare con capacità elevate di astrazione della mente e tutto ciò rappresenta sicuramente un aspetto positivo del progresso. Tuttavia, ritengo che, rispetto al passato, i ritmi del cambiamento hanno assunto tassi di crescita pericolosamente elevati. Mio padre, che era un meccanico, ha impiegato con efficienza le competenze acquisite da studente fin oltre l’età della pensione. Attualmente, nel settore della robotica e dell’intelligenza artificiale, è sufficiente un quinquennio di mancato aggiornamento per perdere il treno della conoscenza strategica. Perciò il cambiamento di professionalità causato dalla «tecnoautomazione» della nostra esistenza va compensato con formazione adeguata.
Per ultimo, segnalo che la tecnoautomazione può – non è detto e dipende da molti altri fattori – causare un’eccessiva concentrazione di ricchezze.
Per questi motivi, che non esauriscono certo la lista, una riflessione comunitaria e un consequenziale impegno politico sono doverosi.
*Professore di Meccanica applicata alle macchine e di robotica all’Università di Trieste. Con il libro «L’anima delle macchine» (edizioni Dedalo) ha vinto il premio Galileo 2016 per la divulgazione scientifica
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