L’asse Pd-FI-M5S conferma per lunedì 5 giugno l’approdo della legge elettorale, del ‘tedescum’, in Aula alla Camera. Non solo. I fautori dell’intesa sul sistema tedesco incassano anche una tempistica record: via libera alla riforma entro la prossima settimana, quindi giovedì 8 giugno o al massimo venerdì 9. A questo punto, due sono le date che dividono il Paese: autunno 2017 e primavera 2018. Tra le due date oscillano due fronti che mescolano partiti e parti sociali, forze economiche e influencer, Camera e Senato: Palazzo Madama dopo l’applicazione del modello tedesco sarà un duplicato della Camera.
E su questo argomenta e scrive oggi Scalfari nel suo editoriale della domenica:
Legge elettorale, la riforma che mette la camicia di forza al Senato
I
POLITICI che guidano i partiti, gli studiosi che ne osservano le mosse con attenzione e i giornalisti che riferiscono al pubblico ciò che accade sono in queste ore più che mai attenti alla legge elettorale in discussione, che dovrebbe essere approvata, dopo l’accettazione o l’abolizione di qualche centinaio di emendamenti (tutti di scarso rilievo) entro un mese. Parliamo naturalmente dell’Italia. Ci sarebbero altre questioni internazionali di grande interesse, ma oggi ne faremo a meno in questa sede.
Sulla legge elettorale i pareri tra i politici e chi li esamina sono diversi. I politici delle tre principali formazioni operanti in Parlamento e cioè il Pd, Forza Italia con Salvini e Meloni, il Movimento 5 Stelle, sono per il cosiddetto modello tedesco che ha come base il criterio proporzionale. Gli osservatori sono alquanto critici sul proporzionale e preferirebbero il maggioritario. Il dibattito è in pieno svolgimento ma corre un rischio: non è affatto chiaro, per la pubblica opinione che segue quanto sta avvenendo politicamente, in che cosa consista la differenza. Proporzionale o maggioritario: che cosa vuol dire in concreto? E poi c’è un altro problema, ancor più rilevante: il modello tedesco, comunque rammendato, riguarda la Camera o il Senato? Comincio a rispondere a questa seconda domanda.
La legge in corso di discussione riguarda entrambe le Camere le quali, a questo punto, avrebbero una sola differenza tra loro: l’età degli elettori chiamati a votare: alla Camera si vota dai 18 anni, al Senato dai 25. La differenza è di 7 anni, quindi il numero degli elettori è minore al Senato e anche il numero dei senatori è minore. Questa dell’età è una differenza che c’è sempre stata, ma ci sono state finora anche altre diversità notevoli nelle rispettive leggi elettorali. Questa volta invece non ce ne sarà nessuna.
La prima (e molto grave) considerazione su questo punto è la seguente: il referendum del 4 dicembre scorso prevedeva un sistema monocamerale. Il Senato esisteva ancora ma con dei compiti in gran parte dedicati alle Regioni e alle loro competenze. I senatori erano scelti tra i consiglieri regionali con il voto di ciascuna Regione. Era previsto che andassero in Senato per un paio di giorni alla settimana e poi rientrassero nelle Regioni di provenienza riassumendo il compito regionale.
Tutti ovviamente ricordiamo che il suddetto referendum, voluto da Renzi e dal suo partito, fu contraddistinto da un’affluenza eccezionale che superò il 65 per cento dell’elettorato e fu vinto dai “No” col 60 per cento dei voti contro i “Sì” (renziani) che non superarono il 40 per cento. Una sconfitta sonora che ha influito sui fatti politici successivi sui quali ora ci intratterremo.
Ma il punto grave, anzi gravissimo, è il seguente: la legge elettorale in discussione attualmente regola sia la Camera sia il Senato, il quale dopo il referendum suddetto ha riconquistato la sua sovranità. Ne deduco che il Senato dopo l’applicazione del modello tedesco sarà identico o con piccolissime differenze alla Camera, quindi un duplicato, salvo l’età degli elettori e degli eletti. Il risultato del referendum del 4 dicembre verrebbe perciò superato: avremmo due Camere con simili meccanismi di formazione. È costituzionale questa situazione? Qualora la Corte fosse investita del problema, quale sarebbe il suo giudizio? E quale quello del presidente della Repubblica sull’intera legge visto che a lui spetta, una volta che il Parlamento abbia varato la legge elettorale, di firmarla oppure di rinviarla alle Camere?
Ci sono molti altri temi italiani da discutere ma questo intanto l’abbiamo posto per primo perché è di grandissimo peso.
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Un’altra questione cui abbiamo già accennato nelle righe iniziali di questo articolo e che dobbiamo adesso esaminare è la differenza tra un sistema elettorale proporzionale e uno maggioritario. Molti osservatori preferiscono il maggioritario, ma che cosa significano quelle due parole? Il significato del proporzionale è chiaro: gli elettori danno il voto a un candidato o a un partito che presenta dei candidati e quelli vengono eletti proporzionalmente.
Questo è il proporzionale, ma il maggioritario che cos’è? La risposta più elementare: viene eletto chi prende più voti in un collegio o si conferisce un premio in seggi a chi ha superato un certo limite. La legge attuale ancora in vigore per la Camera attribuisce questo premio a chi superi il 40 per cento dei voti espressi e ottiene in quel caso il 55 per cento dei seggi della Camera. Il modello tedesco non prevede nulla di simile e ha altri modi per premiare, il più evidente dei quali riguarda i poteri del leader del partito vittorioso, che diventa Cancelliere. Così si chiama il primo ministro e i suoi poteri sono pressoché totali, perfino dal punto di vista costituzionale. Il presidente della Repubblica, eletto dalla Camera, è un personaggio onorabile e puramente rappresentativo che può soltanto suggerire talvolta al Cancelliere un qualche intervento e nulla più.
Da questo punto di vista il maggioritario non è possibile in Italia perché i poteri del nostro presidente del Consiglio sono indicati dalla Costituzione e sono alquanto limitati da un presidente della Repubblica che non è affatto un burattino. Del resto basta ricordare i nomi di quelli che hanno occupato quella carica fin dall’inizio della nostra storia repubblicana: Einaudi, Gronchi, Segni, Saragat, Leone, Pertini, Cossiga, Scalfaro, Ciampi, Napolitano, Mattarella. Vi sembrano nomi da poco la cui influenza è stata sulla vita del Paese pressoché nulla, oppure nomi determinanti taluni nel male ma la maggior parte per fortuna nel bene dell’Italia?
Quindi il modello tedesco non è attuabile nella sua essenza, impone alla nostra classe politica di prevedere delle alleanze a elezioni avvenute. Questo rende ancor più difficile la situazione perché non si tratta di alleanze che si trasformano in coalizioni e come tali vanno al voto, bensì di operazioni successive al voto anche se fin d’ora gli interessati ne stanno discutendo tra loro. E chi ne sta discutendo? Ovviamente Renzi con Berlusconi. Lo scrivono e lo dicono tutti i giornali e le televisioni; prove naturalmente non ce ne sono o meglio trafilano attraverso amicizie comuni e bene informate, ma comunque la realtà impone questo tipo di alleanze. Il Movimento 5 Stelle resterà inevitabilmente da solo perché se facesse un’alleanza con un’altra importante forza politica si dissolverebbe entro pochi giorni. È un movimento, quello 5 Stelle, che è nato per esser solo e da solo può conseguire un risultato ma non in compagnia: essendo votato da elettori con sentimenti di sinistra o di destra o di centro o di totale indifferenza ma necessità di esprimerla, l’accordo con un’altra forza politica ben determinata come collocazione farebbe saltare in aria il grillismo.
Perciò al Pd, per conquistare un’alleanza importante che superi in questo modo il proporzionalismo e acquisti quel tanto necessario di maggioritario, non resta altro che Berlusconi. Un Berlusconi però senza Salvini perché Salvini sarebbe indigeribile per il Partito democratico. Già Berlusconi crea qualche difficoltà agli stomaci ma superabile perché è la sola via d’uscita per riconquistare il maggioritario in un sistema totalmente proporzionale.
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Questo tema si potrebbe però risolvere in un altro modo, molto più democraticamente accettabile. Ed è il seguente con una brevissima premessa: il Partito democratico è sempre stato chiamato e si è così anche definito di centrosinistra. Non di sinistra. Due parole alle quali Walter Veltroni che lo fondò dopo l’Ulivo ne aggiunse un’altra: riformatore. Quindi un partito di sinistra che cerca di raccogliere i voti della sinistra combinandoli insieme ai voti di centro che hanno un carattere più moderato. Ma riformatore è anche il centro. Queste cose bisognerebbe rileggerle in Democrazia e libertà di Tocqueville. Lì si apprenderebbero molte cose estremamente moderne e utili per quello che sta accadendo qui da noi ma che in parte (in gran parte) è accaduto anche con la vittoria di Macron in Francia. Se andassimo a guardare la struttura del suo governo e la sua composizione, ci accorgeremmo che Macron ha messo insieme dalla destra alla sinistra, passando per vie e comunità intermedie, un governo molto moderno che si dovrà occupare di ricchi e di poveri, di tasse e di spese, di disuguaglianze da colmare, di capitalismo da vivacizzare e di occasioni di lavoro crescente. Il tutto sotto la bandiera tricolore e quella a stelle dell’Europa, perché Macron vuole rafforzare l’Europa. Se avessimo un Macron italiano! Personalmente ho sperato per qualche tempo che lo fosse Renzi, ma ne sono stato purtroppo deluso. Renzi vuole comandare da solo. Macron non comanda da solo anche perché non è il primo ministro ma il presidente della Repubblica. Ha poteri propri: la politica estera e la difesa. E si vale di esperti di grandissimo livello. Per il resto ha un governo che è appunto composto da tutte le forze costituzionali che abbracciano l’intero quadro della classe dirigente del Paese.
La situazione in Italia è molto diversa e purtroppo, come abbiamo già visto, le alleanze fatte dopo le elezioni porteranno molte coalizioni e non sappiamo quanto dureranno. Se fossero state fatte prima (e sarebbe ancora possibile introdurle nella legge in discussione), la situazione sarebbe decisamente diversa. Renzi dovrebbe allearsi con un Pisapia e tutta quella sinistra che lo seguirà (i cui elettori saranno probabilmente molto più numerosi di quanto si pensi) e aggiungere a questa di sinistra un’alleanza al centro con Alfano e Parisi: insomma il centro moderato che è perfettamente consono a un partito che non a caso si definisce riformatore di centrosinistra. Questo dovrebbe essere l’obiettivo. Temo che non ce la faremo a vederlo.
Caro Matteo, dei libri che ti ho consigliato temo che tu non ne abbia letto una riga perché sei molto occupato in altre cose. Ma dovresti fare uno sforzo almeno per il Tocqueville che ho sopra ricordato. Quello sembra scritto per te. Fai questo sforzo nel tuo interesse che sarebbe, se fosse ben considerato da te medesimo, anche l’interesse del Paese e soprattutto non ti mettere in testa di far fuori Gentiloni a ottobre, questo sarebbe un altro drammatico errore
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