Le ultime mareggiate di Napoli: ultime, perché è già successo. E cosa intendiamo per cambiamento climatico quando ci riferiamo alla distruzione del lungomare. Ce lo spiega l’esperto: Michele Buscè.
Le ultime mareggiate di Napoli: cosa intendiamo per climate change
La redazione ha incontrato Michele Buscé, giornalista ambientale ed esperto in materia, per discutere delle mareggiate avvenute a Napoli nei giorni scorsi. La più visibile, il 28 dicembre.
P
artiamo col comprendere quali sono stati i fattori che hanno determinato il fenomeno grazie alla spiegazione di Michele Buscè:
“Il primo fattore a determinare l’innalzamento del mare è il vento. In particolar modo nelle aree come quella del Tirreno, cioè la costa che parte dal Lazio e arriva alla Calabria. Il vento, insieme a fattori concomitanti quali la bassa pressione, la morfologia della costa e la barimetria, generano ciò che è successo a Napoli”.
Tuttavia, per vento non si intende quello, seppur forte, percepibile in città. “Il vento che spinge al largo, in una zona vastissima centinaia di chilometri sulla superficie marina, determina il direzionamento delle acque verso una traiettoria. E le acque si spostano”. Bisogna, quindi immaginare un soffio enorme.
“È una cosa banale, semplice” commenta Buscè. Quasi naturale considerarla naturale. Ma è chiaro che, in relazione a questo, “parlare di cambiamento climatico, se vogliamo chiamarlo così, vuol dire tutto e nulla”.
Ci sono cambiamenti climatici e cambiamenti climatici.
“È chiaro che ci siano i cambiamenti climatici: da un lato intendiamo il clima che cambia. È un concetto da intendere in senso generale, che comprende tutti i fattori metereologici”.
Buscè spiega che il clima di sezioni di terra o di vaste aree e continenti varia a seconda di quello che accade nel suo microcosmo: “può esserci un particolare maltempo in una determinata area. Ma per dire che si tratti di cambiamento climatico bisogna studiarlo per lungo tempo e paragonarlo con un periodo antecedente”.
Michele Buscè ci parla, quindi, di due cambiamenti climatici: quello del naturale decorso delle forze che regolano la terra, e il cambiamento climatico che abbiamo imparato a conoscere come climate change. È in nome di quest’ultimo che sono state fondate numerose associazioni, alzate bandiere in segno di rivolta, creati piani politici millantando l’ecosostenibilità. La differenza tra i due cambiamenti climatici è una sola: l’attività dell’uomo.
Insomma, è sempre di moda parlare di cambiamento climatico. Anche quando non c’entra.
“Se vogliamo dire che le attività antropiche generano il cosiddetto cambiamento climatico, bisogna andarci coi piedi di piombo. Bisogna addurre prove. Sui social ho visto utenti che associavano subito la mareggiata agli effetti dell’immissione aumentata di gas come CO2 o metano. Si tratterebbe dei fattori che sono considerati generare il cambiamento climatico che influisce sul riscaldamento globale”.
Se è vero che la scienza funziona sulla contraddizione, allora è vero che ci sono diverse posizioni anche per questo aspetto. L’attività antropica genera inquinamento, ma bisogna provare in che modo abbia avuto impatto sul fenomeno in questione.
“La mareggiata ha creato danno laddove l’uomo si è insediato. Lì c’era una costa che è stata annullata. L’arenile non esiste più perché lo spazio è stato sottratto per creare il lungomare. A quelli che dicono che il cambiamento climatico ha creato danno, io dico di no: è colpa dell’umano che ha quell’insana voglia di stare vicino al rischio o vicino alle comodità. Abitare laddove ci sono gli elementi primari, principalmente l’acqua, si associa al rischio di subire gli stessi elementi quando si scatenano. Lo stesso vale per le abitazioni in montagna e le pareti scoscese”.
Quindi, non c’è da stupirsi. Il fenomeno generatosi a Napoli ha un termine tecnico ed è Fetch, “vento che spira in maneira costante e spinge verso una traiettoria specifica” chiarisce Buscè.
I fenomeni metereologici e climatici avvengono anche per ciclicità. “Gli stessi fenomeni accadono anche a distanza di anni. A Napoli, una mareggiata di questo tipo è già accaduta: nel 1927, il 28 dicembre”. Proprio nello stesso giorno. “È accaduta quasi la stessissima cosa. Il tipo di maltempo ha causato quasi lo stesso danno che ha causato questa volta”.
“Non è stato tramandato il rischio che può generare un evento naturale. E non è stato detto neanche a chi aveva una struttura commerciale, che ora vediamo tutte divelte. Gli eventi metereologici possono essere anche previsti: quattro giorni prima della mareggiata, era già possibile avere previsione del vento. Nessuno ha avuto la premura di attrezzarsi”.
Se è vero che Napoli ha guadagnato un lungomare meraviglioso, ha perso l’arenile. Al suo posto, sorgono scogli frangionde su cui spesso si posano i gabbiani. Noi li fotografiamo, e non pensiamo che un mare senza spiaggia ha nei suoi piani di crearsene una nuovamente.
Commentando le foto dell’arenile della zona di Lido Mappatella, Michele Buscè ci regala la sua esperienza in merito ai bacini idrici. È molto approfondita: abbiamo avuto modo di constatarlo durante la nostra prima chiacchierata, in merito al fiume Sarno.
“Un paio d’anni fa c’è stata un’occlusione fluviale: in quell’occasione avemmo l’occasione di constatare il passaggio di una media di 30 quintali di rifiuti giornalieri (rifiuti di tutti i tipi, tra cui canna d’acqua dolce, plastica, metalli, polistirolo) nel Sarno. Questo è un dato, anche l’unico dato, per dire che solo nel fiume Sarno passano 30 quintali di rifiuti al giorno. Poi c’è il Vernotico, poi quelli a Portici, Barra, Napoli, Torre del Greco, Torre Annunziata, sul cui arenile ritrovi tutto quello che il fiume porta. E poi c’è l’immondizia che viene scaricata a mare, come le navi che trasportano merci. C’è stata un’indagine attraverso cui si è constatato che l’immondizia è gettata a mare, al largo. Si tratta anche di rifiuti speciali. Di regola, quando le navi arrivano al porto dovrebbero conferire i rifiuti e portarli all’inceneritore. Capita spesso che nessuno li conferisca. Questo fa capire che sono stati buttati a mare. Perché conferire costa. E questo succede soprattutto nelle aree turistiche”.
Non solo plastica, quindi. Se solo quella è approdata a riva, destinata ad essere rimangiata e digerita dalla stessa pancia che ha potuto ora sputarla, dobbiamo immaginare ogni tipo di rifiuto galleggiante nelle viscere del mare. Ma la plastica è anche il simbolo del tempo, specie di quello che ci vorrà per smaltirla. E non sembra che di tempo ce ne sia ancora poi molto.
Quindi, è utile tenere a mente che gli eventi metereologici sono sempre e unicamente fattori naturali. “L’uomo potrebbe generare dei terremoti. Questo attraverso processi sotterranei come il prelievo dell’acqua dal sottosuolo e le trivellazioni. Però il maltempo, come fattore naturale, è considerato negativo dall’uomo. Ma, di per sé, è un fenomeno naturale. Diventa negativo quando si combina alla presenza dell’uomo. Ed è lì che deve scattare la prevenzione”.
In particolare, “è necessario un lavoro di consolidamento con materiali pregiati. In modo che le mareggiate facciano un danno diverso. Chi ha una struttura lì vicino avrà memoria di ciò che è accaduto per una decina d’anni, poi sarà dimenticato. Quello che dobbiamo cercare di fare è ravvivare la memoria, altrimenti ci troveremo sempre nella stessa condizione”.
Non solo Napoli dimentica. “È successo anche in Sardegna, a Bitti. In un bacino è stata edificata una piazza ed è stato tombato un corso d’acqua. Il cemento armato è stato divelto in un attimo e tutto è stato riportato alla situazione di partenza. questo vuol dire che dimentichiamo”.
E, che si tratti di plastica in mare o di edificazione spinta al limite, facciamo sempre gli stessi errori.
© TUTTI I DIRITTI RISERVATI. Si diffida da qualsiasi riproduzione o utilizzo, parziale o totale, del presente contenuto. E’ possibile richiedere autorizzazione scritta alla nostra Redazione. L’autorizzazione prevede comunque la citazione della fonte con l’inserimento del link del presente articolo.
Lascia un commento