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Le feroci baby gang di Napoli nel reportage di Grignetti

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ue sere fa, a Pomigliano d’Arco, una baby gang composta da un branco di dieci adolescenti, ha aggredito due coetanei, di 15 e 14 anni. Un’aggressione con catene e botte e alla fine il cellulare delle vittime è stato il loro trofeo. È solo l’ultimo episodio di tanti di una «Napoli della violenza cieca, dei modelli negativi, delle “paranzelle” come ci racconta Saviano, dove ci si divide tra “chi fotte e chi è fottuto”, dove i bambini non sognano, si sentono vecchi e disillusi a 15 anni» che Francesco Grignetti descrive nel suo reportage dalla città partenopea.

Ragazzi selvaggi. Nella Napoli dove il vuoto diventa violenza urbana

Ieri l’ultimo caso: due giovani presi a catenate in una rapina. Rintracciati due componenti del branco: hanno 15 e 13 anni

NAPOLI – L’ultima aggressione, due sere fa. A Pomigliano d’Arco un branco di dieci adolescenti ha aggredito due coetanei, di 15 e 14 anni, per rubargli il cellulare. I carabinieri sono riusciti a bloccare due degli aggressori: uno di 15 e l’altro di 13 anni. Colpisce in questa storia l’età delle vittime e dei carnefici. Che fossero in strada a tardissima ora. Che lo smartphone sia un trofeo, a coronamento dell’aggressione. E la serialità dei fatti.

La penultima aggressione è della sera prima. Davanti alla stazione della metropolitana di Chiaiano, estrema periferia di Napoli, il branco ha colpito Gaetano, 15 anni, preso a calci e pugni fino a spappolargli la milza. Ci sono già dieci minori identificati per quel pestaggio.

Stazione di Chiaiano, ieri. La nuova linea di metropolitana parte dal cuore della città e vi deposita a destinazione in venti minuti. Dietro le spalle ci si lascia l’arte, le opere di Pistoletto lungo i percorsi, le scale mobili luccicanti. Ma già il viaggio inizia con un pugno allo stomaco. Un uomo sui cinquant’anni chiede la carità, offre il solito campionario di calze. Poi di colpo si getta a terra: «Aiutatemi. È da stamattina che vado in giro e non ho abbastanza da mangiare. Io mi inchino di fronte a voi. Meglio umiliarsi che andare a rubare o fare rapine… Aiutatemi». E bacia il pavimento della carrozza.

Arrivati a Chiaiano, il nulla. Qualche murales a ingentilire il cemento armato. Cassonetti fetidi della spazzatura. Tre ambulanti di colore con una misera bancarella e qualche occhiale da sole. La gente, soprattutto giovani, va via a testa bassa. Si aspetta l’autobus o la macchina del papà che viene a prendere. «Sa – arriva per telefono la voce del questore di Napoli, Antonio De Iesu – da quelle parti mi colpisce soprattutto il vuoto. Non c’è un centro di aggregazione, non un esempio positivo. I ragazzi vivono in strada. E la strada è la loro unica prospettiva. Ma guardi che a Napoli sono tanti i quartieri sensibili, anche in centro. E il problema di queste nuove generazioni violente è serio per davvero».

Il vuoto. A Chiaiano, si tocca con mano. C’è un addetto della metropolitana barricato nel suo gabbiotto blindato. E nulla più. La polizia sta esaminando le registrazioni delle telecamere di sorveglianza per identificare gli aggressori. Ma nessuno ha visto, nessuno si è fatto avanti. E si è trattato di un pestaggio violentissimo e reiterato. Gaetano, il quindicenne su cui si sono accaniti di più, ha perso la milza al termine di un’operazione d’urgenza. «Mio figlio è vivo per miracolo – si è sfogata la madre, Stella – , se qualcuno ha visto qualcosa, lo denunci. Fatti del genere o non si devono ripetere più».

Qualche tempo fa, il sociologo Domenico De Masi, per parlare della sua amata Napoli, disse che «ormai è come vivere in Afghanistan». Se lo divorarono di polemiche. Ma poi ieri anche Roberto Saviano ha parlato di «barbarie» per descrivere la realtà giovanile di Napoli. Secondo Saviano, con tassi di abbandono scolastico come quelli di Napoli, al 18%, inimmaginabili nel resto della civile Europa, è la cultura della sopraffazione che sta vincendo.

Violenza cieca. Se ne parla da mesi a Napoli. Inizialmente quando si scoprì la movida violenta. Bastava uno sguardo di troppo, per dare il via a risse selvagge. Ma anche pestaggi di tanti contro uno. Ed ecco come è finita. L’animatore di un comitato contro la movida selvaggia, Mauro Boccassini, presidente dei residenti in via Aiello Falcone, è terrorizzato. Si è sfogato con Il Mattino. Da settimane gli squarciano le ruote della macchina. «Ormai è più il tempo che passo in commissariato di quello in famiglia». Alla vigilia di Natale lo hanno dovuto scortare al supermercato perché era stato sufficiente affacciarsi dal terrazzo per scatenare gli insulti e le minacce dagli avventori di un bar vicino. È stato pestato a sangue a ottobre. E c’è stato un raid di cinque incappucciati nel palazzo che hanno distrutto tutto al loro passaggio, dai citofoni alle piante.

«Noi siamo ormai sotto attacco di un nuovo terrorismo urbano», dice con voce accorata la mamma di Arturo, 17 anni, accoltellato al collo il 18 dicembre scorso nella centralissima via Foria. Il ragazzo, studente modello di liceo, mentre cammina viene preso di mira da una banda di minorenni. Lo mettono in mezzo, lo spintonano, poi partono le coltellate. È salvo per miracolo. Oggi torna a scuola. «Ma è ancora traumatizzato e non riesce a parlare. Però i compagni insistono. E anche a lui farà bene un primo avvicinamento alla normalità», dice la mamma, la signora Marisa Iavarone. Per lui si mobilitano in tanti. I compagni di scuola, altri adolescenti che non ce la fanno più. Sotto Natale c’è stata persino una manifestazione con centinaia di ragazzi che rifiutano questa violenza dilagante e senza scopo. «Io lo definisco terrorismo urbano perché lo scopo è solo di spargere il terrore tra i nostri figli. E temo che siamo solo agli inizi di questa storia. Il quadro è drammatico. Stanno crescendo delle nuove generazioni che conoscono solo la cultura della violenza, sono camorristi dentro. E i loro genitori li spalleggiano. L’unico del gruppo che hanno arrestato è un quindicenne che fa il bullo pure con il magistrato, non si rende conto, è evidente che queste sono le uniche regole che conosce. E sua madre lo giustifica pure. Dice che “non è cattivo. Sono solo atteggiamenti”. Io mi rivolgo a quella madre, a tutte le madri. Ma si rendono conto del vuoto genitoriale dove crescono i loro figli?».

C’è una Napoli che funziona, insomma. La Napoli del turismo sempre in crescita. Con i suoi monumenti e musei tirati a lucido. E poi la Napoli della violenza cieca, dei modelli negativi, delle «paranzelle» come ci racconta Saviano, dove ci si divide tra «chi fotte e chi è fottuto», dove i bambini non sognano, si sentono vecchi e disillusi a 15 anni.

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lastampa/Ragazzi selvaggi. Nella Napoli dove il vuoto diventa violenza urbana FRANCESCO GRIGNETTI – INVIATO A NAPOLI


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