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La rivolta dei giovani in Giappone: in crisi il modello del lavoro

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«Basta sacrificare la vita per il lavoro». I giovani del Sol Levante rifiutano i modelli produttivi del passato e vogliono un mondo del lavoro che preveda più dinamicità e tempo libero. E le aziende si adeguano: molte cercano di attrarre le nuove leve offrendo non tanto una busta paga più solida, ma orari di lavoro più flessibili, un ambiente d’ufficio più piacevole o un avanzamento di carriera.

La rivolta dei giovani in Giappone: “Basta sacrificare la vita per il lavoro”

In crisi il modello di straordinari spropositati e impiego a ogni costo. Adesso le aziende offrono orari flessibili e permessi come benefit

TOKYO – Tre anni fa fece clamore in Giappone il suicidio di una 24enne per motivi legati al troppo lavoro. Alla condanna mediatica del suo datore – che infliggeva centinaia di ore di straordinario ai dipendenti – seguirono le affermazioni di un anziano professore dell’università Musashino (Tokyo): disse che era normale lavorare per centinaia di ore di straordinari al mese e chi non ce la faceva meritava di essere disoccupato.

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ui social ricevette una valanga di critiche: le nuove generazioni rifiutavano un mondo a trazione tecnologica che non riesce a dare forma a un lavoro più efficiente. Se anche oggi siamo costretti a lavorare cento ore di straordinari come due generazioni fa (quando non c’erano computer e smartphone) significa che c’è qualcosa di tremendamente sbagliato in questo sistema: questo il ragionamento dei giovani utenti via Twitter.

Ma quella reazione era solo il sintomo di un rovesciamento dei valori già in atto nella società reale: il nuovo credo per chi si affaccia nel mondo del lavoro oggi prevede più flessibilità e tempo libero. Intere catene di caffè e hotel si stanno adeguando ai nuovi stili di lavoro della «popolazione nomade» – così vengono chiamati qui coloro che usano dispositivi mobili per lavorare fuori dall’ufficio – perché se una tecnologia avanzata esiste, che senso ha per un cittadino di una metropoli come Tokyo spendere una media di 102 minuti su un treno (ovvero 18 giorni l’anno) per andare e tornare dall’ufficio quando si possono svolgere le stesse mansioni comodamente da casa?

Le aziende più intraprendenti cercano di attrarre nuove reclute offrendo non tanto una busta paga più solida ma orari di lavoro più flessibili, un ambiente d’ufficio più piacevole o un avanzamento di carriera. C’è una nuova generazione di giapponesi che non solo non si è mai fatta illusioni su un impiego unico a vita, ma non ne ha mai avuto l’ambizione.

Negli Anni 90 la pubblicità di un energy drink, che strizzava l’occhio agli yuppies del boom, spiegava che con quella bevanda si poteva lavorare anche 24 ore di fila. Oggi lo stesso spot genererebbe un’infinità di denunce per istigazione al «karoshi» (suicidio per troppo lavoro). Attualmente le start-up più appetite sono infatti quelle che offrono la possibilità di arrivare a lavoro più tardi e di lavorare da casa almeno un giorno a settimana.

C’è un termine che recentemente circola molto durante lo «shukatsu» – ovvero i periodi di reclutamento dei giovani laureandi giapponesi – «work-life-balance». Non è un caso che sia un inglesismo a sintetizzare il trend di uno stile di lavoro alternativo: prende infatti ispirazione dalle politiche delle aziende straniere in Giappone. I nipponici hanno capito che un buon equilibrio tra vita privata e lavoro non è un’eresia, ma una consuetudine per culture diverse dalla propria. Hanno «scoperto» che gli straordinari non sono scontati, come avviene nella maggior parte delle aziende locali, ma è appunto qualcosa di fuori dall’ordinario.

Un altro sintomo del cambiamento in atto lo si evince dagli scandali legati a due grosse multinazionali, Nissan e Subaru. Di recente sono state costrette ad ammettere una seria carenza di personale qualificato tra gli ispettori della sicurezza sui veicoli. Non solo aziende automobilistiche, anche compagnie ferroviarie hanno fatto i conti con una mancanza di personale nella manutenzione, che ha generato una serie di ritardi dei treni, che qui equivalgono a veri e propri drammi esistenziali: l’assenza dal posto di lavoro per diverse ore, anche se giustificata, è vissuta come una grave colpa che va espiata con un’infinità di scuse e ripetuti inchini.

Viene fuori che queste compagnie se da una parte intendono risparmiare sui costi di un personale specializzato, dall’altra non riescono più ad attirare giovani reclute da addestrare: i giovani laureati rifiutano lavori ripetitivi, poco flessibili e potenzialmente ricchi di straordinari.

Qualcuno già lancia l’allarme per un potenziale declino della sicurezza in diversi settori legati ai trasporti. Insomma, come rendere attraente un lavoro di fatto estenuante sarà la vera sfida del futuro per le risorse umane di migliaia di aziende.

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lastampa/La rivolta dei giovani in Giappone: “Basta sacrificare la vita per il lavoro” CRISTIAN MARTINI GRIMALDI

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