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La resa di conti fra governo e Ue arriverà il 5 dicembre

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arco Zatterin parla di “tregua referendaria a Bruxelles” ovvero la resa di conti fra governo e Ue arriverà il 5 dicembre. Nel frattempo si lavora sul fronte libico

La Ue attende il premier al varco. Ma niente scontro fino al referendum

Francesi e tedeschi infastiditi dai toni del capo del governo. Il voto di dicembre è però ritenuto cruciale per la stabilità
Matteo Renzi arriva a Bruxelles forte dell’investitura a stelle strisce quale potenziale «salvatore dell’Europa». Nella capitale Ue, vestita a festa per il vertice d’autunno, il premier sbarca per dare battaglia sui migranti e, in controluce, per difendere la sua manovra, non propriamente simile a quella che la Commissione si aspettava. In città trova un clima di pace artificiale, tanto dolce quanto fragile e armata.

Nessuno fra i partner vuole dissidi con l’Italia a meno di 50 giorni dal referendum, ma ciò non significa che tutti siano entusiasti di come il governo amministra l’economia, amministra le frontiere e si rivolge all’Europa. E neanche che siano pronti ai passi che potrebbero evitare risse verbali che, a questo punto, sorprenderebbero solo i distratti.

Una voce italiana nei palazzi brussellesi dipinge l’umore recente di Renzi come «poco incline ad ascoltare consigli miti» e alla ricerca di spunti per contestare il patto a dodici stelle, «anche per conquistare consensi nel popolo euroscettico» in vista della consultazione del 4 dicembre. Il premier gioca la carta dell’attacco preventivo su deficit e debito per scongiurare una procedura di Bruxelles. Quindi contesta la «inaccettabile solidarietà flessibile» che l’Ue sta intrecciando per provare a dar dignità al dossier dei «salvataggi mediterranei».

Sui rifugiati qualcosa l’Italia dovrebbe portare a casa, fra oggi e domani. Si intravedono progressi sul Migration Compact, il piano di investimenti nei Paesi dove le migrazioni hanno origine, pensato per tagliare i flussi alla radice. Peccato che sulla redistribuzione di chi approda in Italia si sia davvero al palo: il peso dell’accoglienza resta in gran parte su di noi e non si vedono progressi sulla riforma del Regolamento di Dublino che dovrebbe alleggerirci il peso. A parte le solite capitali dell’Europa orientale, anche i francesi sono duri. Sostengono che ognuno deve fare la sua parte, il che equivale a stabilire che l’Italia deve gestirsi da sola la sua frontiera europea. Berlino vorrebbe aiutare, però da sola non basta.

Lo scontro sui migranti ha ricadute sulla partita economica. A Bruxelles vedono un Renzi furioso sulla solitudine italica nell’emergenza sbarchi perché vuole che la Commissione giustifichi i due decimi di punto di deficit in più non autorizzati che Roma ha messo in conto per il 2017. Sebbene le contrarietà di fondo dei soliti falchi non siano svanite, il consenso nel Team Juncker è «che non si vuole turbare il clima pre-elettorale». La prossima settimana diversi Paesi riceveranno una lettera con una richiesta di maggiori informazioni e spiegazioni sulle loro leggi di bilancio. L’Italia è per ora nella lista, anche se il regolamento non precisa in quale forma debbano avvenire le consultazioni e scrivere non è un obbligo. «Ci saranno molti negoziati, non semplici», si sente raccontare da una fonte che ribadisce le volontà per nulla aggressiva della Commissione. Risultato: o ci promuovono il 16 novembre; o prendono tempo e aspettano il dopo referendum. Una bocciatura diretta non è fra le soluzioni più probabili.

Renzi gioca su un terreno pieno di buche. La prospettiva referendaria lo aiuta. I suoi partner lo preferiscono alle possibili alternative, oltre che all’incertezza. «Non ci sarà una conferenza stampa a due qui a Bruxelles», giurano i francesi: «Bratislava non si replica». Nelle stanze tedesche si confessa «noi auspichiamo che il premier si affermi perché temiamo ripercussioni negative». Per questo, si aggiunge, «non vedete nostre dichiarazioni». Però è anche vero che, chiuse le urne, «sarà difficile restare fermi davanti all’atteggiamento di Renzi».

Quale? A Berlino c’è chi pensa che il premier dovrebbe moderare le parole su Francia e Germania perché «non è un modo accorto di intrattenere le relazioni». La tesi è che i problemi si risolvono con il dialogo, come ha fatto la Spagna. L’irritazione, privata, vale anche per la cattiva interpretazione dell’incontro a tre di fine agosto: Berlino e Parigi negano «uno spirito di Ventotene» che vada oltre l’asse bilaterale fra i due big.

La minaccia è che dopo il 5 dicembre le cose possano cambiare. Non una resa dei conti, ma quasi. Merkel e Hollande potrebbero togliere il silenziatore. La Commissione potrebbe metterci in mora per i conti fuori norma. Scenario minaccioso. Tanto tosto quanto forzatamente idilliaca è l’atmosfera che si prepara intorno alla delegazione Italia al vertice Ue. Per Renzi comunque è un’occasione da cogliere. Ma deve tenere presente che, se tirerà troppo la corda, la reazione dei soci potrebbe essere decisa se non violenta.

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