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Castellammare di Stabia

La gioia della quotidianità semplice

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i sono terre che sembrano vivere di contraddizioni; alcune delle quali saltano subito agli occhi, mentre altre richiedono conoscenze specifiche e occhi particolarmente allenati per essere colte.

È l’esperienza che ho fatto nei giorni scorsi tornando in Calabria per un confronto tra storia, cronaca, impegno sociale e fede, alimentato dal romanzo «La tomba di Erodoto» (Falco editore) del giornalista Domenico Marino. La Calabria, spesso terra di confine geografico e forse pure “periferia economica”, ma che non è affatto periferica dal punto di vista culturale. Soprattutto non lo è quella che in Calabria fu la piana di Sybaris, la polis magnogreca che ha lasciato tracce nella storia oltre che in scritti di altra natura. Lo attestano le sentenze riguardanti la Sybaritica mensa, registrate fra le sentenze medievali (Walther 30945b) e attestate, ad esempio in Libanio (Ep 1175,1 [11,15s. FӦrster]); ma lo attestano anche i Sybaritici libelli presenti in Marziale (12,95,2). Tra i profumi magnogreci dello Jonio calabrese e l’area di casa del Tavoliere delle Puglie ho trascorso i pochi giorni successivi alla Gmg di Cracovia prima di tornare a Roma per gli impegni e il servizio quotidiani. Un po’ di “riposo” tra gli affetti familiari e un abbraccio a vecchie amicizie per riassaporare il gusto di ritmi lenti e appuntamenti non rigidamente scanditi dall’agenda, seppure non meno importanti né interessanti. Sono stati giorni affidati alla normalità giornaliera che non è un risultato scontato né un obiettivo semplice. Mi è tornato lietamente alla memoria il decalogo della quotidianità di papa Giovanni XXIII e ho pensato di aggiungere un’undicesima frase che però non fosse un impegno ma una semplice speranza, un augurio: vivere una quotidianità semplice. Magari pure santa come tanti cristiani animati dalla speranza in Gesù. Sentiamo spesso il bisogno d’un bagno di semplicità assieme ad esempi di testimonianza coerente come ho già scritto su queste colonne nelle scorse settimane ricordando la “preferenza” di Paolo VI per i testimoni rispetto ai maestri e citando il circolo virtuoso della Locride dove è stata inaugurata un’opera segno dell’anno giubilare che il Santo Padre ha voluto dedicato alla misericordia. Sì, anche la neonata struttura calabrese è esempio e testimonianza, ennesimo meraviglioso volto dell’ordinarietà, racconto della normalità positiva che abbonda nelle nostre città come nei paesi più piccoli. La quale, però, spesso resta malinconicamente sullo sfondo, impaginato con due colonne di piede volendo usare un linguaggio giornalistico.

Esempi di coerenza e portatori sani di correttezza sono i tre laici protagonisti del romanzo storico socialmente impegnato scritto da un giovane intellettuale calabrese, che ho letto e del quale ho discusso nei giorni calabresi e magnogreci. Il libro di Domenico Marino, prendendo spunto da due fonti di epoca bizantina oltre che da Aristotele, coinvolge il lettore in un piccolo giallo che per poco meno di duecento pagine lo accompagna alla ricerca del sepolcro del padre della storiografia tra fango e ruderi dell’area archeologica che conserva i ruderi della polis magnogreca Sybaris oltre che della romana Copia e della colonia panellenica Thurii dove Erodoto visse, scrisse le sue Storie e secondo Marino fu pure sepolto. A colpirmi particolarmente è stata la normalità dei quattro personaggi centrali: uomini e donne come tanti altri, solo apparentemente senza qualità, che coinvolgono costringendo a diventare tifosi. Loro malgrado si trovano protagonisti d’una ricerca caparbia e determinata che seppur povera di tempo e risorse economiche ma alimentata dalla passione, spinta dalla voglia di fare che è figlia dell’affetto nei confronti della propria terra, dall’amicizia, dalla determinazione e dall’esigenza di non restare «seduti sul divano» ad aspettare chissà cosa, raggiungono risultati cui nessuno prima di loro aveva nemmeno sperato d’arrivare. Anche se, magari, erano in possesso di strumenti e possibilità ben maggiori. Le quali, però, pur importanti, non servono o comunque non bastano né fanno la differenza se alla base non v’è dell’altro; se non ci sono le motivazioni che, a esempio, sostengono Paola, Luciana, Rocco e infine pure don Ettore. Quattro esempi credibili e testimoni coerenti. Eroi quotidiani come infiniti altri nostri colleghi di lavoro, compagni di strada, confratelli nel sacerdozio, di cui i personaggi di Marino diventano simbolo anche se non ne avevano nessuna intenzione. Sono una borsista universitaria, la direttrice del Museo nazionale archeologico della Sibaritide, un lavoratore socialmente utile e un prete. Cittadini e impiegati della porta accanto tra l’altro impegnati nella missione impossibile di smentire qualche luogo comune di troppo, bocciare stereotipi abusati e cancellare forzature più o meno giustificate sul Sud, il lavoro pubblico, la vita di coppia, i rapporti d’amicizia e pure la fede che trova spazio nelle pagine del romanzo. Una fede vissuta e praticata ancora nella vita di tutti i giorni, in piccoli e grandi gesti che però non la schiacciano né indeboliscono, non la affievoliscono né impoveriscono. Perché anch’essa non ha bisogno di eroi.

Lo ha ricordato più volte papa Francesco. Ricordo, a esempio, l’omelia durante una celebrazione eucaristica a Santa Marta, quando sottolineò che «il regno di Dio è nascosto nella santità della vita quotidiana». È proprio il buon lavoro quotidiano dell’intera catena produttiva, dai raccoglitori delle radici nei fertili terreni sibariti (non a caso i Romani chiamarono Copia il municipium che crearono qui) ai venditori al dettaglio, che da secoli permette alla fabbrica Amarelli d’esportare in tutto il mondo i suoi numerosi e tutti ottimi prodotti a base di liquirizia. Una straordinaria realtà produttiva diventata storia di un’impresa di successo grazie all’attenzione alla qualità da parte di ogni ingranaggio (che come i personaggi di Marino fanno semplicemente il loro dovere anche se e quando nessuno li controlla) oltre che alla capacità industriale e al rispetto del fondamentale patto con i clienti. A prescindere da giuramenti e controlli, ispezioni e verifiche. Terre di confine ma anche pezzi di Storia ed episodi di positività per non dire eccellenza. Umana prima che imprenditoriale e letteraria. Racconti di uomini e donne, di ieri e di oggi, che non hanno seppellito o nascosto i propri talenti ma li hanno fatti fruttare, non si sono lasciati rubare la speranza, non hanno permesso fosse loro anestetizzata l’anima, sono stati protagonisti della propria vita non concedendo spazio allo scoraggiamento e magari non hanno neanche avuto paura di dire sì al Signore. Soprattutto, non hanno temuto la «folla mormorante» che avrebbe potuto giudicarli dei sognatori. Negli spazi della Amarelli mi sono ritrovato a godere della ricchezza culturale e della capacità d’impresa di una parte del nostro Sud che non spreca le proprie energie in sterili rivendicazioni e che non sopporta nemmeno le puntuali quanto inaccettabili giustificazioni di chi ha contribuito a sfregiare questa parte del nostro Paese.

vivicentro.it/cultura /  ilsole24ore/La gioia di una quotidianità semplice (Nunzio Galantino) * – Il sole 24 Ore 13 agosto 2016


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