In Italia i lavoratori in nero sono tre milioni e trecentomila. La crisi ha contribuito ad allargare le maglie del sommersocostringendo tante persone ad accettare un impiego non regolarizzato. Tra i settori più critici l’edilizia e la ristorazione.
In 3,3 milioni senza contratto. Esplode il nero in un’Italia che non cresce abbastanza
In tre anni oltre 200 mila i lavoratori in più senza garanzie
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OMA – Sono 3 milioni e 300 mila i lavoratori in nero. La crisi ha allargato le maglie del sommerso e costretto tante persone ad accettare un impiego pur che sia, anche per pochi euro. In pratica, segnala uno studio realizzato dal Censis per Confcooperative, la metà dei disoccupati colpiti dalla crisi negli anni passati è stato risucchiato nell’illegalità: nel periodo 2012-2015, mentre nell’economia regolare venivano cancellati 462 mila posti di lavoro la schiera di chi era occupato illegalmente è cresciuta di 200 mila unità toccando quota 3,3 milioni (+6,3%) a fronte di 21,1 milioni di regolari (-2,1%).
I settori più critici
All’espansione dell’occupazione irregolare, secondo la ricerca sul «lato oscuro del lavoro» presentata ieri a Roma, ha contribuito soprattutto l’occupazione dipendente (+7,45). Il sommerso cresce in particolare nelle attività legate all’impiego di personale domestico da parte delle famiglie (colf e badanti), con un tasso di irregolarità che sfiora il 60% (quasi quattro punti in più tra 2012 e 2015). A seguire attorno al 22-23% si collocano le attività agricole e quelle del terziario, in particolare attività artistiche e di intrattenimento, quindi il settore alloggi e ristorazione col 17,7% e le costruzioni col 16,1%. Più contenuti, rispetto ad una media del 13,5%, ma in ogni caso anche questi in crescita, i valori relativi a trasporti e magazzinaggio (10,6%) e commercio (10,3%).
Sul piano territoriale se si guarda all’incidenza sul valore aggiunto regionale sono invece Calabria e Campania sono le Regioni che registrano le percentuali più alte di sommerso (rispettivamente il 9,9% e l’8,8%), seguite da Sicilia (8,1%), Puglia (7,6%), Sardegna e Molise (entrambe con il 7,0%). Su 3,3 milioni di lavoratori in nero 2,39 milioni sono inquadrati come dipendenti mentre 907 mila sono autonomi. Secondo il presidente di Confcooperative Maurizio Gardini va però «va fatta una distinzione tra i livelli di irregolarità di una badante e quella di un lavoratore sfruttato nei campi, nei cantieri o nel facchinaggio. Il primo, seppur in un contesto di irregolarità, fotografa le difficoltà delle famiglie nell’assistere un anziano, un disabile o un minore. Le famiglie evadono per necessità. Negli altri casi si tratta di sfruttamento che nasce solo per moltiplicare i profitti e mettere fuori gioco le tantissime imprese che competono correttamente sul mercato».
L’altra faccia del boom del sommerso riguarda il crollo dei salari. In questo caso il divario maggiore si registra nell’industria con uno scarto del 53,7% tra retribuzione lorda oraria regolare (17,7 euro) e non (8,2 euro). Seguono i servizi alle imprese (-50,3%, 9,5 euro anziché 19,1), mentre nelle costruzioni del 41,4%. In agricoltura, dove la retribuzione oraria è più bassa, la differenza non supera il 36% (35,7): un’ora di lavoro è infatti pagata 6,3 euro anziché 9,8, in media il taglio è invece del 49,4%, che corrispondono a 8,1 anziché 16.
«Attraverso questo focus – commenta Gardini – diciamo basta a chi ottiene vantaggio competitivo attraverso il taglio irregolare del costo del lavoro che vuol dire diritti negati e lavoratori sfruttati. Se le false cooperative sfruttano oltre 100.000 lavoratori, qui fotografiamo un’area grigia molto più ampia che interessa tantissime false imprese di tutti settori produttivi. «Chi ricorre al lavoro irregolare – sottolinea Andrea Toma del Censis – mette anche una grave ipoteca sul futuro dei lavoratori lasciandoli privi di coperture previdenziali e sanitarie e contribuendo in buona parte a un’evasione tributaria e contributiva che ha raggiunto i 107,7 miliardi di euro», compresi 10,7 di mancato gettito contributivo.
«E’ comprensibile che di fronte alla crisi ci sia stato uno spostamento verso il sommerso, per pura necessità di sopravvivenza – commenta Francesco Seghezzi, direttore della Fondazione Adapt, il centro studi fondato da Marco Biagi – con alcuni datori di lavoro che hanno approfittato della situazione e diverse persone costrette a stare al gioco. La domanda da farsi adesso è però questa: visto che i dati si fermano al 2015, perché tutti i dati sul sommerso arrivano purtroppo sempre in ritardo, cosa è successo dal 2015 in poi con l’introduzione dei voucher? La situazione è cambiata oppure no?».
vivicentro.it/ECONOMIA
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