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Gentiloni: “Sui migranti l’Europa va a sbattere”

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All’indomani del referendum fallito in Ungheria sulle quote dei migranti, abbiamo intervistato il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni che mette in guardia l’Europa: “Se non fa rispettare gli accordi presi dagli Stati va a sbattere”. Per Gentiloni “la politica Ue sembra succube dei veti: sull’economia è fiscale, ma poi lascia fare quello che si vuole sui rifugiati”.

Gentiloni: “Sui migranti l’Europa va a sbattere se non fa rispettare gli accordi presi”

Il Ministro degli Esteri: sull’economia è fiscale e poi lascia fare quello che si vuole sui rifugiati

ROMA – «Se l’Unione europea resta ferma al dogma dei decimali in economia e all’idea che ciascun Paese fa quel che vuole sul tema migratorio, va a sbattere». Lo ripete più volte il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, ragionando del futuro dell’Europa all’indomani del referendum ungherese.

In Ungheria non c’è il quorum, ma in 3 milioni hanno votato no ai migranti. Come vanno interpretati questi due dati?  

«

Il voto in sé non è stato il plebiscito cercato, per cui è una sconfitta per chi l’aveva promosso. Purtroppo, però, dire che questo significhi una svolta nella politica migratoria europea sarebbe un’illusione».

Se l’Ungheria insistesse a rifiutare di accogliere 1300 migranti sarebbe giusto infliggerle una sanzione?  

«Io non posso credere che la Ue, così arcigna sui decimali di bilancio nonostante sia evidente la necessità di dare impulso alla crescita economica, sia invece comprensiva verso Paesi riluttanti ad applicare le decisioni sui migranti o addirittura tollerante verso chi alza muri».

Si usano due pesi e due misure a seconda che si parli di economia o migranti?  

«È come se ci fosse una specie di licenza di infrangere le regole per quanto riguarda la questione migratoria».

Infatti il ricollocamento dei migranti non è stato fatto se non in minima parte…  

«La politica europea sembra succube di veti vari e rischia di essere immobile, in attesa della prossima tragedia. A inizio anno l’Italia ha proposto il Migration compact, a giugno la Commissione l’ha fatto proprio: dopo 4 mesi non solo la parte operativa è ferma – le intese con 5 Paesi africani – ma addirittura lo stanziamento, seppur modesto, di 500 milioni di euro chiesto dalla Commissione, è stato bloccato».

Si fanno addirittura passi indietro?  

«Speriamo che quei soldi siano sbloccati al più presto, ma ho l’impressione che in Europa si consideri la questione migratoria come nata nel luglio 2015 e risolta a marzo con l’accordo con la Turchia. Mentre è iniziata da anni e durerà ancora anni, e lo stesso accordo con la Turchia va continuamente mantenuto: per ora regge, ma con qualche incrinatura».

Noi sappiamo quanto la crisi migratoria sia antica: ieri era l’anniversario del naufragio del 3 ottobre 2013. Cosa è cambiato da allora nell’approccio europeo? 

«Qualcosa dal punto di vista della condivisione dell’attività di soccorso in mare, ma pochissimo da quello dell’accoglienza comune».

Sperate nella rifondazione di una nuova Unione entro l’anniversario del Trattato di Roma di marzo?

«A Roma ricorderemo che, senza Unione, l’Europa rischia l’irrilevanza nel mondo globale. Ma l’Ue non può vivere in attesa di un anniversario: servono subito rimedi concreti».

Quel che arriverà di certo sono i negoziati sulla Brexit: saranno avviati a marzo, fa sapere la premier Theresa May… 

«È positivo che finalmente Londra abbia indicato i tempi. La signora May ha lasciato intendere che si tratterà di una sostanziale uscita dal mercato unico, per cui bisognerà definire nuove relazioni tariffarie e commerciali, non semplicemente dare un’aggiustatina. Ci vorrà un atteggiamento equilibrato, non pregiudizialmente ostile, sapendo che ci vorranno anni di negoziato».

Uscita dal mercato unico significa anche no alla libera circolazione delle persone? Per gli italiani vivere e lavorare a Londra diventerà difficile?  

«Certamente non avranno problemi gli italiani che sono già nel Regno Unito. Per il futuro, i britannici invocano sempre il principio di reciprocità. Giusto. Ma siccome hanno bisogno di un’unione doganale, non credo possano limitare più di tanto la circolazione dei cittadini Ue».

Ministro, allargando il fuoco al Mediterraneo: cosa significa per l’Italia prendersi un ruolo da pivot in quell’area, per usare un termine usato da lei?  

«Era un modo per richiamare la centralità di un’area decisiva per i nostri interessi nazionali, come ha scritto domenica nel suo editoriale Molinari su “La Stampa”. Siamo riusciti a riportare il Mediterraneo in cima all’agenda di Ue e Nato: fino a due anni fa si parlava quasi solo di Ucraina. Guidiamo con gli Usa il tavolo libico e svolgiamo un ruolo chiave in quello siriano; promuoviamo un’agenda positiva sulle opportunità economiche, in una regione in cui siamo al quarto posto negli scambi dopo Usa, Cina e Germania. In prospettiva, si tratta di ricostruire le basi di coesistenza e reciproco riconoscimento tra attori della regione: ne parleremo tra due mesi a Roma nella seconda edizione di Med Dialogues».

La regione significa anche Siria: siamo a un passo dalla rottura tra Usa e Russia?  

«Noi siamo stati tra i primi a considerare la presenza russa in Siria come un’opportunità, una leva per indurre il regime siriano a passare dalle bombe al negoziato. Ora c’è il rischio che il tavolo russo-americano salti: per evitarlo, serve da Mosca l’impegno chiaro, non teorico, di fermare l’offensiva di Assad ad Aleppo».

In Libia invece sembra che non si riesca mai a sradicare Isis…  

«È vero che restano sacche di resistenza, ma, in poco più di due mesi, l’offensiva delle forze che appoggiano il governo Sarraj, anche a costo di numerose perdite ha molto ridotto la presenza di Daesh (Isis in arabo, ndr.): a Sirte si parla di un paio di caseggiati».

A proposito di Libia: ci sono novità dei connazionali rapiti a Ghat?  

«Lasciamo lavorare i nostri apparati e le forze di sicurezza».

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