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Gentiloni in difficoltà per la vicenda Alitalia

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Analizzando il ”NO” al piano per il futuro dell’Alitalia, Mario Deaglio, nel suo editoriale odierno su La Stampa, scrive: questo risultato è un serio ostacolo per il premier Gentiloni perché “mette in crisi il sistema italiano di relazioni sindacali, l’equilibrio del bilancio dello Stato e la capacità del governo di varare una politica industriale”.

L’ostacolo più alto per Gentiloni

Fino a pochi giorni fa, era sembrato che l’Italia del governo Gentiloni, con il suo stile «non gridato», con l’uso attento delle piccole misure e dei pochi spiccioli disponibili alla finanza pubblica, potesse riuscire a far diminuire le tensioni e a preparare un clima più sereno e un dibattito che uscisse dalle piccolezze del giorno per giorno.

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uesta speranza è posta in forte dubbio dai risultati del referendum tra i dipendenti dell’Alitalia sul possibile accordo lavoratori-società siglato dai sindacati. Il «no» all’accordo mette in forse in un colpo solo il sistema italiano di relazioni sindacali, l’equilibrio del bilancio dello Stato, la capacità del governo di varare una politica industriale.

Il pilastro maggiormente colpito da questo terremoto è il sistema delle relazioni sindacali: dopo Almaviva – impresa italiana operante a livello globale nel settore dei servizi informatici, a cominciare dai call center – in cui i dipendenti della sede di Roma rifiutarono un accordo negoziato dal sindacato, questa è la seconda volta in pochi mesi che la base dei lavoratori sconfessa i propri rappresentanti. C’è da augurarsi che, a differenza del caso precedente, il «no» dei lavoratori Alitalia apra un dibattito nazionale sul ruolo della rappresentanza sindacale in un mondo del lavoro in profondissima trasformazione globale.

Una trasformazione dalla quale sarebbe pressoché impossibile per l’Italia tirarsi fuori. Finora, imprenditori e sindacati hanno fatto finta di non vedere ma il sistema andrebbe rapidamente modificato senza che se ne intraveda la volontà politica di farlo.

Mentre si incrina l’equilibrio delle relazioni sindacali, si incrina anche un altro, ancor più difficile, equilibrio, quello del bilancio pubblico. Sarebbe semplicistico parlare di nazionalizzazione dell’Alitalia, spendendo una quantità di denaro pubblico che l’Italia non può permettersi, solo per consentire, come è già successo ripetute volte, per un totale di 7,4 miliardi di fondi pubblici, all’Alitalia di continuare a perdere soldi come prima, quando queste stesse risorse vengono negate ai Comuni, al sistema sanitario, alla ricerca scientifica e quant’altro.

Un semplicistico salvataggio dell’Alitalia potrebbe bloccare il faticosissimo tentativo di rilancio dell’economia italiana in corso da diversi anni anche perché sarebbe facile attendersi, dopo il risultato del referendum, un passo indietro dei principali soci esteri, e forse anche di quelli italiani. È ugualmente chiaro che non si può chiudere l’Alitalia a cuor leggero. Quale strada si può seguire per venir fuori da questo pasticcio?

Per abbozzare una risposta, occorre considerare il sistema aeroportuale italiano nel suo insieme; è allora facile individuare uno dei problemi principali di Alitalia nelle attuali normative che permettono alle autorità locali di sussidiare i voli a basso prezzo delle compagnie «low cost» che fanno scalo agli aeroporti piccoli e medi della loro zona (in totale 112 in Italia contro 46 in Francia e 53 in Germania) e che inevitabilmente sottraggono passeggeri e incassi all’ex compagnia di bandiera. Non si può risolvere la crisi Alitalia senza prima metter mano alla situazione aeroportuale italiana.

Va anche aggiunto che le compagnie «low cost» – quasi tutte straniere – molto frequentemente assumono i loro dipendenti (anche italiani) con contratti di lavoro che in Italia non sarebbero ammessi. Eppure una gran parte del personale di volo che in questo momento sta solcando i cieli italiani lavora in condizioni inconcepibili per un dipendente Alitalia.

È chiaro a questo punto che non è credibile l’ipotesi di un manager-taumaturgo che, con pochi e indolori cambiamenti, rimetta Alitalia sul sentiero dorato della crescita. L’impegno governativo non deve essere sul piano delle risorse – che questo governo non ha – ma sul piano delle regole, che questo governo dovrebbe provare a cambiare rapidamente. Solo allora sarebbe possibile aprire il discorso delle alleanze: la compagnia aerea italiana dovrebbe essere assai più presente sui voli di lungo percorso che hanno in Italia il loro luogo di partenza e di arrivo. Solo con queste premesse, è possibile pensare a un risanamento, in ogni caso lungo, duro e dall’esito incerto.

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lastampa/L’ostacolo più alto per Gentiloni MARIO DEAGLIO

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