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6 maggio 2013. Chissà quante cose importanti nella storia sono successe il 26 maggio, forse mille, forse nessuna, forse solo quel derby maledetto e benedetto insieme. Maledetto perché ci ha fatto male al cuore, benedetto perché ci ha dato l’opportunità di ricominciare, di vivere un 1968 giallorosso, tutto nostro. Rudi Garcia è stato la rivolta studentesca dei romanisti, i 3 giorni di Woodstock, quel qualcosa nell’aria che sa di cambiamento, quella rivoluzione che tutti si aspettano ma che nessuno vuole prendersi la briga di far scoppiare. È partito dalle macerie di un progetto naufragato e dalla diffidenza generale di una piazza esasperata e ferita ed ha “rimesso la chiesa al centro del villaggio” come piace dire a lui. Rudi Garcia ha restituito dignità e fierezza ad un intero popolo nel momento forse più basso della sua storia e di questo i tifosi giallorossi lo ringrazieranno sempre.
“Il ruolo di un condottiero è quello di definire la realtà e dare speranza” disse una volta Napoleone Bonaparte, che ad occhio e croce era uno che se ne intendeva di comandanti. E se questa è la definizione corretta si può dire che per un anno Rudi Garcia sia stato un eccellente condottiero, uno stratega tanto abile da aver portato i suoi “soldati” a costruire il record dei record della storia romanista: 85 punti totalizzati in serie A ed accesso diretto in Champions League dopo anni di assenza dai palcoscenici europei. Una marcia trionfale, che solo una macchina da guerra perfettamente calibrata come la Juventus di Antonio Conte è riuscita ad ostacolare. Se è vero, però, che quel che conta non è la meta ma il viaggio, quel tragitto fu spettacolare quanto i botti di capodanno sul lungomare di Miami Beach. E l’amarezza per la mancata (meritatissima) vittoria finale fu mitigata dalla consapevolezza che la strada intrapresa era quella giusta e quindi pazienza, ci si sarebbe rifatti l’anno successivo con gli interessi. Il destino,però, certe volte è beffardo e non ti dà tempo. Chissà se esiste davvero poi, questo destino. Shakespeare per esempio, era uno di quelli convinti che “non è nelle stelle che è conservato il nostro destino, ma in noi stessi” e forse aveva pure ragione lui. Fatto sta che qualcosa si è rotto. Inspiegabilmente. Incomprensibilmente. Da gennaio scorso ad oggi abbiamo assistito alla degenerazione dell’invincibile armata nell’armata Brancaleone e si è andati incontro ad una lenta ed estenuante agonia, trascinatasi per troppo tempo. La saggezza popolare suggerisce che “il buon marinaio si conosce al cattivo tempo” e allora forse avevamo preso tutti un abbaglio. Un clamoroso abbaglio. Garcia non ha saputo tenere la barra dritta nel momento delle difficoltà e chi avrebbe dovuto vigilare non ha avuto il coraggio di prendere una decisione drastica ma inevitabile. Un po’ come quando ci si accorge che non ci si ama più ma chissà per quale complicatissimo meccanismo psicologico non si trova la forza per dirselo in faccia e si fa finta di nulla sperando che le cose si aggiustino, che la tempesta passi, perché in fondo si sa che “dopo la pioggia spunta sempre il sole”. Questo benedettissimo sole, però, ormai non spuntava quasi più e quando faceva sporadicamente capolino era per pochi minuti all’interno di una gara. Un’illusione. Un inganno. In buona fede, sia chiaro, ma pur sempre un inganno. Un sole tiepido, di quelli che non ti riscaldano e che neanche ti godi perché tanto lo sai, da un momento all’altro arriveranno di nuovo i nuvoloni neri. Si è aspettato tanto, troppo, ma alla fine stamattina l’ineluttabile è successo: fuori Garcia ed i suoi collaboratori, dentro Luciano Spalletti, per un ritorno in grande stile commovente e carico di Speranze.
La testa del francese è dunque saltata, quasi uno scherzo del destino per uno che viene dal paese di Robespierre. La sua, però, di rivoluzione non si è mai completata ed è rimasta una bella storia a metà, perché non sempre la presa della Bastiglia ti riesce. Pure se sei francese. E capita, allora, di rimanere da solo al centro del villaggio.
Claudia Demenica
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