Gabriele Lavia incanta al Teatro Antico di Taormina con la sua interpretazione de “Il sogno di un uomo ridicolo” di Dostoevskij
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Io non posso credere che il male sia lo stato normale degli uomini, gli uomini possono essere felici sulla terra, ama gli altri come te stesso, è tutto qui. Non occorre altro… È tutto qui e subito troverai il modo giusto di comportarti con l’altro” – Con questa “vecchia verità” Lavia dà voce al protagonista del testo -.
La tormentata vita dello scrittore Fëdor Michajlovič Dostoevskij è stata portata in scena ieri sera, al Teatro Antico di Taormina da Gabriele Lavia, riscuotendo intenso successo.
Dopo il lungo lockdown per questa stagione di spettacoli al Teatro Antico organizzata dalla Fondazione Taormina Arte Sicilia, un ritorno atteso e gradito ha riportato il Teatro in un luogo magico. Gabriele Lavia fa entrare nel teatro tutto sé stesso, con quello che è e pensa di essere e quello che pensa e crede sia vita.
Nelle sue opere Dostoevskij, indagò l’interiorità umana e i sentimenti contrastanti che interessavano l’io, anticipando Freud e la psicoanalisi prestando grande importanza alle contraddizioni dell’inconscio. Di forte impatto articoli e testi di questo scrittore hanno sempre fatto riflettere e condotto lettori e appassionati ad una forte introspezione personale, fra i quali si annovera “Il sogno di un uomo ridicolo”, del 1877.
Quest’uomo ridicolo, perché privo di stimoli rispetto alla vita, ha deciso già da qualche tempo di mettere fine alla sua esistenza. In casa ha una rivoltella e ogni notte immagina di puntarsela alla tempia, finché una sera, ispirato da una stella nel cielo, decide che è giunto il momento. Mentre l’idea assume contorni netti nella sua testa, viene distratto da una bambina, che dopo avergli tirato la giacca, con poche parole invoca il suo aiuto. Pare che la sua mamma stia male ma l’uomo noncurante della richiesta, la scaccia brutalmente. Giunge così alla sua umile casa dove, dopo aver compiuto il mesto rituale, è pronto a uccidersi. A un tratto il pensiero della bambina fa scattare in lui qualcosa, si sente sopraffatto da emozioni discordanti, come l’empatia e la vergogna, che non pensava più di poter provare, accantona dunque l’idea di suicidarsi e si addormenta. Nel sogno l’uomo vede se stesso, giace morto dopo essersi sparato al cuore e sente tutto ciò che avviene durante il suo funerale e la sua sepoltura, in una condizione indefinita di spazio e tempo.
Si chiede allora chi è quell’essere che lo costringe a patire tali tormenti, lui, che ha sempre creduto all’esistenza di un non-essere. A questo punto, una creatura lo conduce sulla Terra, ma si tratta di una copia, qui, infatti, gli uomini vivono felici e in pace tra loro e la natura è rigogliosa. A un tratto l’uomo è pervaso dalla vita, ma ben presto quell’Eden inizia a essere devastato dalla menzogna, dalla gelosia, dalla crudeltà, che lui ha portato, così quasi per gioco, mentre la natura viene distrutta e gli animali diventano cattivi. Quel sogno non è altro che la realtà.
Alla fine svegliatosi, comprende che la sua missione è di predicare la verità. Ritrova la bambina ma il suo messaggio d’amore lo porta a essere deriso dagli uomini e a finire in manicomio.
Il testo è un’attenta riflessione sulla vita che sfiora la filosofia e la religione, e che per la profondità della tematica non può far altro che smuovere le coscienze. Per l’autore la presenza di Dio si concreta nell’approccio con gli ultimi della società, siano questi una prostituta o una bambina. Una contraddizione apparente, che mostra come anche l’uomo più distaccato alla fine possa provare amore incondizionato verso i suoi simili, essendo questo uno status innato.
Le opere di Dostoevskij risentono di aspetti autobiografici e un inno così sofferto alla vita non può che essere figlio del dolore. Il protagonista Gabriele Lavia nel doppio ruolo di attore e regista ha dimostrato ancora una volta di essere uno dei migliori interpreti contemporanei, conducendo il pubblico presente verso un’introspezione e un’analisi di se stessi rilevante. Perchè in fondo la linea di confine che pensiamo possa esistere tra noi e il mondo non è poi così spessa.
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