Una tragedia che tocca ogni famiglia FRANCESCA SFORZA *
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RANCESCA SFORZA – Lo sgomento e il dolore per le giovani vite spezzate dall’incidente in Catalogna non si era ancora potuto stringere intorno ai nomi e alle identità di ognuna di loro che già era partito, tra le famiglie italiane, il tam tam dell’ansia. Come se fosse una questione personale, come se prima di essere un fatto di tutti, fosse un fatto di ognuno.
Grazie alla potenza di fuoco dei social network l’emotività collettiva diventa immediatamente percepibile: su Twitter la parola chiave #Erasmus è stata ieri tra il primo e secondo posto nei Trending Topics (il barometro che misura i cinguettii più discussi); i gruppi WhatsApp di classe – ma ci sono anche quelli della palestra, della scuola di musica, degli scout, a ciascuno il suo – hanno trillato senza posa sulla notizia sollevando in ordine sparso diversi ordini di preoccupazioni – «Mio figlio è appena partito, suo padre era contrario, e se adesso gli succede qualcosa?», «Chi controlla lo stato psico-fisico di chi si mette alla guida dei pullman con i nostri figli a bordo?», «Ma ci si potrà fidare dei tutor dell’Erasmus?» -, persino l’antica pratica della chiacchiera occasionale ha preso la piega nervosa del voler offrire con ogni mezzo una spiegazione logica, e poi di respingerla, e la fatalità non basta a spiegare tutto questo, e come ci si difende, non si sa.
Un Paese bambino, viene da pensare a un primo sguardo, che non resiste alla tentazione di riportare a se stesso il fatto del giorno, di ricondurlo entro i limiti del proprio circuito di riferimento, siano essi i figli in partenza per l’estero o le gite scolastiche in preparazione con l’arrivo della primavera. Ma a un secondo sguardo – al netto dei toni, di tante frasette accompagnate da faccine tristi o citazioni d’occasione – le ansie e le preoccupazioni che hanno attraversato tante famiglie italiane sono il segno di qualcosa di più forte, e di più vero. C’è lo smarrimento che si era sentito nei giorni del Bataclan, quando insieme a tutto il resto, si strutturò un senso di appartenenza europea che trovò nel volto di Valeria Solesin il suo manifesto più toccante. Come lei, le ragazze dell’Erasmus sono il segno di un Paese sano, che affronta con la forza della giovane età le sfide di un mondo sempre più complicato, in cui la competizione, i pericoli, i cattivi maestri sono sempre in agguato.
Sorridevano tutte, nelle foto che ora ce le ricordano. E le loro famiglie sanno meglio di ogni altro quanto è costato costruire dei sorrisi così: ci vuole impegno, ci vuole fortuna, ci vuole di non mollare mai la presa quando tornano a casa la sera avvilite per le battute dei compagni o per un brutto voto o per una cosa che è andata storta e non vogliono dire cos’è. Perché la vita nelle famiglie italiane non è mai facile, i percorsi sono sempre a ostacoli, e la probabilità che un piccolo problema si trasformi in un grande problema è molto più elevata rispetto a quella che vede il problema risolversi. E forse, tra i sogni più pazientemente coltivati, c’è proprio quello di vedere i propri figli diventare europei, partecipare al grande gioco dello scambio tra i Paesi, sapere che si sanno muovere con disinvoltura tra lingue e culture, nella convinzione che questo renda migliori loro e noi. Ecco perché, ognuno a suo modo, nessuno si sente escluso dal dolore di una morte arrivata così.
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