Elezioni USA: ma l’America che democrazia è? Se non riesce a garantire un normale avvicendamento ai vertici dello Stato?
Elezioni USA: ma l’America che democrazia è?
Ci sono state delle elezioni che hanno visto un candidato prevalere sull’altro, seppure di misura. Ci sono dei meccanismi istituzionali ( un po’ normati ed un po’ di prassi) che in questi casi si mettono in moto. Ed il presidente in carica, perdente, non vuole riconoscere la vittoria al vincitore ed impedisce che i congegni per la transizione si mettano in moto. Avvalendosi di suoi fedelissimi che ubbidiscono ai suoi ordini.
Minaccia di adire alla Corte Suprema, dove ha piazzato dei giudici suoi fedelissimi. Ma i giudici vengono scelti per competenza o per appartenenza? E dato per scontato che un giudice possa avere una sua appartenenza, questa non deve di certo influenza le sue decisioni, che si presume debbano essere conformi solo alla Legge e non agli schieramenti.
La democrazia ha congegni delicatissimi che vanno oleati ed assecondati, non certo violentati e manomessi come ci sta capitando di assistere, in America.
Parliamo tanto della nostra “debole” democrazia, rispetto alla “robusta” democrazia americana. Ma a ben guardare, alla luce dei recenti avvenimenti, la democrazia USA è robusta perché è in mano ad una specie di monarca assoluto – il Presidente – che ha ampia discrezionalità nell’esercizio del suo illimitato potere. Ma se, per avventura, va fuori binario come sta succedendo in queste settimane, non c’è nessuno che sia in grado di fermarlo.
La nostra “debole” democrazia italiana ha una Costituzione molto saggia riguardo al Presidente della Repubblica. L’art. 88, secondo comma, prevede che i poteri del Presidente siano limitati negli ultimi sei mesi del suo mandato. Istituto conosciuto come “semestre bianco” e che qualche decisionista nostrano ha criticato in altri tempi. I nostri Padri costituendi si sono dimostrati molto saggi e lo previdero. A scanso di equivoci. Cosa che non previdero i Padri fondatori americani. E le conseguenze sono sotto i nostri occhi. Un Presidente che inceppa pervicacemente il meccanismo di avvicendamento. Che licenzia in tronco collaboratori, funzionari di alto rango, ministri (il capo del Pentagono), generali responsabili delle forze armate e dell’intelligence. Un presidente che ritira di colpo contingenti di truppe all’estero dove ci sono delicati equilibri consolidati (Iraq, Afghanistan) e minaccia azioni di guerra in altri stati del Medio Oriente (Iran?).
Dove può condurre l’America la la lucida follia di un uomo che non si rassegna a perdere perché ne teme le conseguenze?
E allora, viene da chiedersi: ma l’America che democrazia è, se non riesce a garantire un normale avvicendamento ai vertici dello Stato?
E pensando alle cose di casa nostra, viene spontaneo dirci che è meglio tenerci la nostra “debole” democrazia, che però non ci ha ancora fatto assistere a spettacoli così indecorosi. Neanche al tempo del ventennio di Arcore, pur se il magnate nostrano, a metterci qualcosa di suo ci provò anche lui.
Trump, con la sua spregiudicata filosofia mercantile, ha inoculato nella società americana il virus del caos morale e sta minando il consenso alla base della democrazia americana. Anche se qualcuno riuscirà a farlo sloggiare dalla Casa Bianca, i guasti che ha fatto si faranno sentire ancora a lungo. Trump forse traslocherà, ma il trumpismo no.
Il Senato americano, dominato dai repubblicani, avrà la forza e la voglia di emanare una norma che disciplini, ope legis, il trapasso dei poteri dopo ogni elezione?
Lascia un commento