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e conseguenze del Coronavirus sulla mente umana. Studiosi e psicologi incoraggiano l’Italia in un momento di condizione sociale drammatica.
Le parole di Raffaele Morelli “abbiamo tutti molto su cui riflettere ed impegnarci. Perchè col cosmo e le sue leggi, evidentemente, siamo in debito spinto. Ce lo sta spiegando il virus, a caro prezzo“.
Coronavirus, le conseguenze sulla mente umana: fobie e psicosi
La maggior parte degli esseri umani ha paura anche del buio. Ciò nonostante, in un’eventuale occasione, riusciamo a razionalizzare. Quando una tempesta provoca un blackout, accendiamo una candela e tutto è subito risolto. Ma nella società occidentale contemporanea, la paura del contagio è una paura remota, che non siamo abituati ad affrontare. Per questo è più probabile avere una reazione di panico.
Avere paura è normale. È la nostra psiche che fa di tutto per proteggerci. Osserviamo che cosa stanno facendo molti di noi: scappano dal contagio e cercano rifugio in posti che gli sembrano più salubri (il mare, la montagna); scappano dal contagio e cercano rifugio in regioni poco colpite dal virus; scappano dal contagio e cercano rifugio dalla mamma. Tante persone che nelle ultime ore hanno lasciato le zone rosse, stanno tornando alla terra natia, dai genitori che magari sono anziani, ma che forniscono ancora un’idea di protezione.
I primi effetti causati dalla paura:
Nessuna autorità sanitaria ha consigliato di affollare i supermercati per rifornirsi ossessivamente di scorte alimentari, eppure questa “psicosi” si è diffusa portando a molteplici effetti negativi, come concentrare parecchie persone in spazi chiusi, con la possibilità di favorire la diffusione del virus, oppure far mancare certi alimenti a chi non era corso subito al supermercato.
Altro esempio è la corsa ad accaparrarsi le mascherine, scelta non logica ma emotiva: il risultato finale, nel pieno rispetto del principio della profezia che si autoavvera, è che le mascherine sono finite nelle mani soprattutto dei sani (per i quali sono meno indicate), venendo a mancare per i malati (per i quali sono più utili per limitare il contagio).
Anche gli episodi di odio verso gli “untori”, oltre a essere vergognosi dal punto di vista etico e morale, hanno provocato esattamente l’effetto opposto: il povero “untore” ferito, finito necessariamente al Pronto Soccorso, avrebbe così solo aumentato la possibilità di infettare gli altri.
Alla paura di contrarre il Coronavirus si associa anche la paura di rimanere in trappola. Chi è in quarantena è confinato. Certo, in ambienti familiari e razionalmente sicuri, ma il nostro inconscio potrebbe non vederla così e sentirsi bloccato in un posto talvolta anche pericoloso. L’angoscia claustrofobica che stanno provando alcune persone nelle zone rosse è assolutamente comprensibile e reale. È una sensazione potente, che tendi a sottostimare finché non la provi. Ne chiarisce benissimo il concetto il Professor Umberto Galimberti, filosofo e psicologo: «Mettiamo a posto le parole, non è una fobia, è un’angoscia, che è una cosa ben precisa: la gente di solito parla di paura, ma la paura ha sempre un oggetto determinato. E quindi è un ottimo meccanismo di difesa per riuscire a salvarsi da quel pericolo: quando attraversiamo la strada guardiamo a destra e sinistra perché abbiamo paura di essere presi sotto dalle automobili; quando vediamo un incendio scappiamo perché ne abbiamo paura.
Qui invece si tratta di angoscia, che è un concetto differente perché non ha un oggetto determinato, non si sa da dove viene il pericolo e quindi si è sempre in uno stato di fibrillazione perenne. Qualcosa che assomiglia al terrorismo, in cui non si sa da dove verrà l’agguato. La condizione di angoscia è una cosa tipica dei bambini… per questo vanno incontro al pericolo e devono essere sempre accuditi. Hanno angosce, basta metterli a letto con la luce spenta quando non sono ancora addormentati che perdono i punti di riferimento: questo è lo stato di angoscia.
L’angoscia è molto complessa da curare. Come dice Heidegger, “non c’è nulla a cui agganciarsi” e allora si assumono atteggiamenti scomposti, pratiche e pensieri sbagliati. L’angoscia si può contenere solo se si comincia ad accettare dentro di noi che la vita è precaria, la vita è incerta e questa incertezza e precarietà a cui non siamo abituati… perché siamo assistiti sempre dalla tecnica.
Dimentichiamo altre condizioni molto più tremende di questa, come quella dei bambini che vivono in territori di guerra, come in Siria. Non ci sfiora minimamente questo pensiero perché siamo avvolti dalle nostre angosce, dalla possibilità di ammalarci. Beh, ma nella vita c’è anche la malattia, la morte, tutta la precarietà. E più la globalizzazione si espande più saremo esposti a queste dimensioni, perciò consegnamoci all’incertezza della vita.
Poi, una volta che siamo costretti in casa, che non possiamo uscire, che anche i bambini sono in casa, usiamo questo tempo per curare la nostra interiorità, da cui solitamente scappiamo come se fosse il nostro peggior nemico. Cominciamo a pensare a cosa stiamo facendo, proprio adesso in cui si interrompe l’abitudine lavorativa, il tran-tran quotidiano, incominciamo a pensare all’interiorità, leggiamo qualche libro, parliamo con i nostri bambini che non sono a scuola, con cui non parliamo quasi mai se non per chiedergli come sono andati a scuola, facciamo queste pratiche di umanesimo vissuto visto che siamo costretti nelle nostre abitazioni ed è interrotto il ritmo abituale della vita».
Come gestire anche lo stato di isolamento e solitudine causati dalla situazione attuale?
Il Prof. Gianluca Castelnuovo, psicologo e psicoterapeuta presso il Servizio di Psicologia Clinica di Auxologico e Professore Ordinario di Psicologia Clinica all’Università Cattolica in un intervista riportata sul sito www.auxologico.it dove potete approfondire l’argomento, esplica:
I periodi di quarantena costringono a interrompere le rassicuranti abitudini quotidiane creando a volte uno stato temporaneo di disorientamento.
Si può cogliere però l’occasione di investire su nuove attività o su quelle attività che, nonostante fossero desiderate, non permettevano di essere coltivate a sufficienza proprio dalle abitudini.
Da alcuni pazienti sono venuto a sapere di progetti ripresi, libri finalmente letti fino alla fine, persone contattate in attesa da tempo: quasi che la quarantena forzata sia stata un beneficio per riprendere o completare cose importanti lasciate in sospeso.
Chiaramente le tanto demonizzate nuove tecnologie, in particolare i social media, sono molto utili in questo momento e hanno permesso di evitare il senso di isolamento e solitudine. Anche molte famiglie hanno potuto vivere momenti insieme quasi unici e irripetibili.
Diminuiamo lo stress diminuendo il rischio. Mettiamo consapevolmente in atto comportamenti di prevenzione. L’OMS ha fornito una serie di suggerimenti ragionevoli, seguiamoli senza strafare. Nella vita di noi tutti ci sono attività indispensabili e attività semplicemente gradevoli. Le attività indispensabili non sono in questione, ma molte delle attività gradevoli vanno ripensate.
In molte regioni sono stati attivati sportelli psicologici gratuiti online. Se l’ansia diventa troppa, non vergognatevi a consultarli. È un’ansia che proviamo tutti.
Come comportarsi con i bambini?
Riportiamo qui di seguito, infine, il pensiero di Alberto Villani, responsabile del reparto di pediatria generale e malattie infettive dell’ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma, secondo cui, oltre che inutile, vista la portata delle misure adottate, sminuire il problema rischia di essere anche controproducente. Perciò, con un linguaggio chiaro e scevro da qualsiasi sensazionalismo, è il caso di raccontare tutta la verità ai bambini, che tra qualche anno si ritroveranno a studiare la più importante epidemia dell’ultimo secolo sui banchi di scuola. I bambini, dai 3 anni in su, percepiscono cosa sta accadendo e riconoscono il cambiamento nelle abitudini quotidiane. Occorre essere sinceri: spiegando cos’è un virus, come si trasmette, quali malattie può causare e quali strumenti abbiamo per difenderci. L’occasione è utile anche per far capire ai bambini quanto sia importante, in questo momento, lavare spesso e accuratamente le mani. Una volta rimarcato il concetto, bisogna però lasciarli liberi di compiere questo atto da soli. È un modo che gli adulti hanno per responsabilizzarli».
Concludendo, ci invita ad una sana riflessione lo psicologo Raffaele Morelli:
“Credo che il cosmo abbia il suo modo di riequilibrare le cose e le sue leggi, quando queste vengono stravolte.
Il momento che stiamo vivendo, pieno di anomalie e paradossi, fa pensare.
In una fase in cui il cambiamento climatico causato dai disastri ambientali è arrivato a livelli preoccupanti, la Cina in primis e tanti paesi a seguire, sono costretti al blocco; l’economia collassa, ma l’inquinamento scende in maniera considerevole. L’aria migliora; si usa la mascherina, ma si respira…
In un momento storico in cui certe ideologie e politiche discriminatorie, con forti richiami ad un passato meschino, si stanno riattivando in tutto il mondo, arriva un virus che ci fa sperimentare che, in un attimo, possiamo diventare i discriminati, i segregati, quelli bloccati alla frontiera, quelli che portano le malattie. Anche se non ne abbiamo colpa. Anche se siamo bianchi, occidentali e viaggiamo in business class.
In una società fondata sulla produttività e sul consumo, in cui tutti corriamo 14 ore al giorno dietro a non si sa bene cosa, senza sabati nè domeniche, senza più rossi del calendario, da un momento all’altro, arriva lo stop.
Fermi, a casa, giorni e giorni. A fare i conti con un tempo di cui abbiamo perso il valore, se non è misurabile in compenso, in denaro.
Sappiamo ancora cosa farcene?
In una fase in cui la crescita dei propri figli è, per forza di cose, delegata spesso a figure ed istituzioni altre, il virus chiude le scuole e costringe a trovare soluzioni alternative, a rimettere insieme mamme e papà con i propri bimbi. Ci costringe a rifare famiglia.
In una dimensione in cui le relazioni, la comunicazione, la socialità sono giocate prevalentemente nel “non-spazio” del virtuale, del social network, dandoci l’illusione della vicinanza, il virus ci toglie quella vera di vicinanza, quella reale: che nessuno si tocchi, niente baci, niente abbracci, a distanza, nel freddo del non-contatto.
Quanto abbiamo dato per scontato questi gesti ed il loro significato?
In una fase sociale in cui pensare al proprio orto è diventata la regola, il virus ci manda un messaggio chiaro: l’unico modo per uscirne è la reciprocità, il senso di appartenenza, la comunita, il sentire di essere parte di qualcosa di più grande di cui prendersi cura e che si può prendere cura di noi. La responsabilità condivisa, il sentire che dalle tue azioni dipendono le sorti non solo tue, ma di tutti quelli che ti circondano. E che tu dipendi da loro.
Allora, se smettiamo di fare la caccia alle streghe, di domandarci di chi è la colpa o perché è accaduto tutto questo, ma ci domandiamo cosa possiamo imparare da questo, credo che abbiamo tutti molto su cui riflettere ed impegnarci.
Perchè col cosmo e le sue leggi, evidentemente, siamo in debito spinto.
Ce lo sta spiegando il virus, a caro prezzo”.
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