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Cittadini e diritti

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Cittadini e diritti“L’impressione – scrive Francesca Sforza – è che sulle questioni riguardanti le difficoltà dei cittadini si possa sempre prendere tempo. Ma in questo modo le sofferenze continuano e i tribunali si incaricano sempre di più di riempire i vuoti lasciati dalla politica”.

La vita riempie i vuoti della politica

Ogni volta che nel nostro Paese si solleva la questione di un’emergenza sui diritti c’è sempre qualcuno pronto ad alzarsi in piedi: «E il lavoro?», «E l’economia che non riparte?», «E il costo della vita?».

C

ome se parlare di diritti fosse un lusso che solo Paesi che superano un determinato grado di benessere potessero permettersi, quasi ci fosse un che di ozioso o salottiero nei dibattiti e nelle questioni relative ai diritti delle minoranze, delle donne, dei disabili, degli anziani o dei poveri. A parte che se così fosse allora di diritti si finirebbe per non parlare mai – quando saremo abbastanza ricchi tutti quanti per potercelo finalmente permettere? – ma piuttosto è vero il contrario: un Paese che si occupa dei diritti dei propri cittadini è già per questo un Paese più ricco.

Le cronache di questi giorni ci portano una serie di esempi che sembrano fatti apposta per dare una sveglia al nostro Parlamento: il caso del dj Fabo, costretto ad andare a morire in Svizzera (Paese per cui gli economisti hanno previsto un aumento dell’1,7% di Pil nel 2017, tanto per dire) ha squarciato il velo sui tanti concittadini meno famosi e sulle loro famiglie, a cui viene negato il diritto a porre fine a una vita che non può più definirsi tale. Sono passati dieci anni dal caso Englaro, e l’anno scorso, di questi tempi, si parlava di una legge sul fine vita praticamente pronta. Quanto dolore deve ancora scorrere nelle famiglie italiane perché i tempi di una decisione siano maturi?

È di ieri l’ennesimo pronunciamento di un tribunale su una questione etica piuttosto delicata, quella riguardante la maternità surrogata. Secondo la Corte del tribunale di Trento, due padri possono essere legittimi genitori di due gemelli ottenuti con la surrogata all’estero, in nome del principio che la genitorialità non si fonda sul legame biologico. Ora, non è una questione da nulla espellere una madre biologica dalla partita, ancorché consenziente (e poi bisogna vedere), ma soprattutto non va bene che siano i tribunali a dettare le linee guida sulla maternità surrogata. Il nostro Paese è un laboratorio a cielo aperto di idee e proposte sulle questioni di bioetica: basta vedere il livello di ricerca nelle nostre università, il numero di convegni incontri e seminari che ogni giorno si organizzano in tutta Italia, persino il livello del dibattito nei nostri livorosissimi social si mantiene alto, malgrado i toni. Come mai la politica interagisce così poco con i ricercatori, con le femministe (sì, diciamolo, sono tante, diverse, attive e intelligenti), con le tante organizzazioni civiche che si interrogano sulle cose, più che sventolare bandiere?

Fra poco sarà l’8 marzo, più che una festa (che c’è da festeggiare?) sarà l’occasione per fare il punto sulla condizione delle donne nel nostro Paese. Oggi la «Stampa» comincia il suo racconto con l’inchiesta di Linda Laura Sabbadini, da cui emerge un quadro difficile per le donne italiane: pagate meno, sovra-istruite rispetto alle occupazioni, sempre più sole nella gestione del welfare familiare. Non è anche questo un segno di povertà profonda?

Il presidente del Consiglio ha assicurato che il Parlamento è al lavoro, ma l’impressione è che sulle questioni riguardanti le difficoltà dei cittadini – e i cittadini in difficoltà – si possa sempre prendere tempo. Ecco, in questo tempo però le cose non smettono di accadere: le sofferenze continuano, i tribunali si incaricano sempre di più di riempire i vuoti lasciati dalla politica e alle quotidiane difficoltà di ognuno si aggiunge un senso di solitudine, non quella di chi non è accudito – i liberalisti non temano – ma quella di chi non è ascoltato. Pare sia una cosa comune, nei Paesi poveri.

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