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“Il cane non è un figlio”, giudice bacchetta coppia che divorzia: criticato lessico da “relazione genitoriale”

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Nell’accordo tra i coniugi in tribunale a Como il punto centrale era la gestione dell’animale domestico: con chi doveva stare nei weekend, chi doveva comprare croccantini e provvedere alle spese veterinarie. Il magistrato parla di “caduta di stile a livello culturale”

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aragonare un cane a un figlio è “una caduta di stile a livello culturale”. Ad affermarlo, nero su bianco, è il tribunale civile di Como, pronunciandosi sulla causa di divorzio. Punto centrale dell’accordo fra i coniugi era proprio “la gestione dell’animale domestico della coppia, sotto il profilo sia economico sia relazionale”.

Il collegio, presieduto dal giudice Donatella Montanari, ha accettato l’accordo raggiunto nella coppia su chi dei due dovesse tenere il cane nei week-end, comprare i croccantini e sostenere le spese veterinarie. Ma ha bacchettato marito e moglie per il fatto di avere utilizzato nell’accordo la terminologia che il diritto riserva ai figli. Il decreto definisce infatti “impropria sul piano lessicale l’assimilazione” fra il mantenimento del cane e la “relazione genitoriale”, visto che l’oggetto del contendere non sono le regole sull’affidamento e il mantenimento di una persona, ma di un animale.

Al cane, il giudice riconosce comunque uno status affettivo che lo differenzia dagli oggetti. In pratica, se di certo non è un figlio, il cane da un punto di vista giuridico non può nemmeno essere considerato alla stregua di un’automobile o di un letto, di cui si debba semplicemente decidere il proprietario al momento di sciogliere il matrimonio. Nel decreto, si legge infatti che le relazioni con il cane “rivestono per i coniugi un particolare interesse che, nella materia negoziale, per risultare meritevole di tutela, non si esaurisce nella sola sfera patrimoniale”, come previsto dall’articolo 1174 del codice civile. In pratica, i coniugi hanno il dovere di accordarsi (e in questo caso lo hanno fatto) anche su tutti gli aspetti di cura di cui il cane ha bisogno.

Cinzia Calabrese, presidente della sezione lombarda dell’Associazione italiana degli avvocati per la famiglia e per i minori (Aiaf), spiega: “L’equiparazione fra animali domestici e figli nei procedimenti di separazione e divorzio è giuridicamente assurda. Giusto invece tenere conto nell’assegno di mantenimento delle spese relative al cane o al gatto. In ogni caso, non trattandosi di una persona, il giudice non può decidere a quale dei coniugi debba essere affidato un animale da compagnia, ma deve limitarsi a recepire gli accordi già raggiunti dalle parti”. Questa impostazione è già stata affermata da decreti firmati dal giudice Giuseppe Buffone della Nona sezione civile del Tribunale di Milano.

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