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Castellammare di Stabia

Calenda greca. MASSIMO GRAMELLINI*

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I

n una lettera anticipata dall’Huffington Post, duecentotrenta giovani diplomatici esprimono a Renzi il loro «disorientamento» (traduzione: incazzatura, ma sono pur sempre diplomatici) per la nomina ad ambasciatore presso l’Unione Europea di un politico amico suo, il viceministro Calenda. Il presidente del Consiglio potrebbe liquidare la sollevazione come un rigurgito di casta e probabilmente i sondaggi gli farebbero la ola: nel luogo comune, che contiene sempre un pizzico di verità, gli inquilini della Farnesina vengono vissuti come un sinedrio di privilegiati. Oppure potrebbe chiedersi se quella lettera non gli stia ricordando qualcosa che, nell’impetuosa cavalcata attraverso le praterie del potere di un Paese sfibrato, sembra avere rimosso. Che la sua avventura politica si giustifica in nome della meritocrazia. Perché poi questo significava la fin troppo abusata epica della rottamazione: sostituire gli inamovibili, i raccomandati, gli incompetenti e qualche corrotto (tutti è impresa impossibile, specie in Italia) con i più bravi. A prescindere da conoscenze, tessere e date di nascita. 

 

Magari i contestatori hanno preso il caso sbagliato, perché adesso a Bruxelles serve più un politico che un diplomatico di carriera. Ma Renzi dà troppo spesso l’impressione di scegliere le persone in base all’amicizia e alla fedeltà. Come i suoi predecessori, sia chiaro. Solo che lui, a differenza loro, è salito al potere sull’onda di un’aspettativa prepolitica, quasi di un moto dell’animo. Se la delude, perderà il referendum decisivo. Quello con il sogno che egli stesso ha agitato.

 

*lastampa

 
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