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Brexit ora, tra un anno, mai? Renzi dica la sua!

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ome scrive oggi Stefanini, nel suo Editoriale pubblicato su la Stampa, su Brexit l’Italia ha finora giocato di rimessa. Matteo Renzi si barcamena fra Berlino e Parigi. Ha bisogno di entrambe (di appoggio francese e di comprensione tedesca) sul tavolo della flessibilità di bilancio e delle banche. Ma la neutralità non può durare in eterno per cui è necessario che, su Brexit, Renzi si faccia sentire.

Su Brexit Renzi si faccia sentire STEFANO STEFANINI

La tregua su Brexit era una finta quiete prima della tempesta. I nodi erano rinviati a settembre senz’ombra d’intesa. A rompere gli ozi d’agosto, giunge la notizia che Angela Merkel sta cercando di convincere Theresa May ad aspettare le elezioni tedesche dell’autunno 2017. Se ci riuscisse, molti giochi sarebbero da rivedere: quattordici mesi sono un’eternità politica.

Non è escluso che May, che vuole comunque aspettare fino all’anno prossimo, le dia ascolto. Fra le due ci sono affinità e simpatie. Hanno bisogno l’una dell’altra per gestire Brexit col minimo danno reciproco. Gli altri europei, Francia in testa, possono protestare quanto vogliono: è Londra a decidere quando chiedere l’uscita dall’Ue secondo l’ex Art. 50 del Trattato di Lisbona. Il referendum non è costituzionalmente vincolante. Lo è politicamente, ma Theresa May può giocare sui tempi. Ha dietro di sé un partito conservatore più unito di quanto non fosse con Cameron. I fautori di Brexit sono stati in parte cooptati, in parte licenziati.

Parigi e la Commissione Ue vorrebbero invece accelerare i tempi. François Hollande guarda a Brexit con le stesse preoccupazioni elettorali di Angela Merkel, ma traendone conclusioni opposte. Non intende fare sconti d’uscita al Regno Unito per non portare acqua al mulino del Fronte Nazionale di Marine Le Pen. I tempi stringono perché in Francia si vota in primavera.

Nominando negoziatore Brexit per l’Ue Michel Barnier, il Presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, ha dato una mano a Parigi, ma resta un alleato debole, non spalleggiato dal Donald Tusk. Brexit sta mettendo a nudo i limiti dell’Ue in situazioni d’emergenza: la complessità istituzionale, i «tre Presidenti» (Consiglio, Commissione, Parlamento), una Bruxelles che chiude i battenti in agosto. Comunque Berlino e altre capitali hanno indicato chiaramente che nel negoziato con il Regno Unito il Consiglio (cioè i governi nazionali) ha la precedenza sulla Commissione.

Londra sta studiando una strategia Brexit. Tranne le famose linee rosse delle quattro libertà di movimento (beni, servizi, capitali, persone), nulla di simile è ancora in vista sul versante Ue. Prima ancora che sulla Manica, la tempesta Brexit rischia di abbattersi all’interno dell’Ue e di spaccare i restanti 27 membri dell’Unione, non solo sui tempi ma anche e soprattutto sui contenuti del divorzio.

Le motivazioni tedesche non sono un mistero. Su queste colonne è stata illustrata la riluttanza a colmare troppo presto il buco lasciato nel bilancio comunitario lasciato dall’uscita dei britannici. La Germania ha anche interesse a minimizzare l’impatto commerciale di Brexit: il surplus tedesco nei confronti del Regno Unito (51 miliardi di euro nel 2015) è secondo solo a quello nei confronti degli Usa; dietro Usa e Francia, la Gran Bretagna è il terzo mercato dell’export tedesco. Berlino vuole il Regno Unito dentro il mercato unico – anche a condizione di qualche concessione sulla libera circolazione.

Su Brexit l’Italia ha finora giocato di rimessa. Matteo Renzi si barcamena fra Berlino e Parigi. Ha bisogno di entrambe (di appoggio francese e di comprensione tedesca) sul tavolo della flessibilità di bilancio e delle banche. Ma la neutralità non può durare in eterno. Un’occhiata alla bilancia commerciale ci vede con un forte surplus di quasi 12 miliardi. L’uscita del Regno Unito dal mercato unico avrebbe un costo pure per noi. È tempo che anche Roma individui i propri interessi e faccia sentire la sua voce su Brexit – su tempi e sostanza.

E se Brexit fosse una finta? Se il calcio d’avvio sarà rinviato all’autunno del 2017 (e nulla può vietarlo), i britannici potrebbero anche ripensarci. A Londra c’è sicuramente chi ci ha fatto un pensierino, anche se poco probabile. Theresa May si è impegnata su Brexit – difficile per lei fare il passo indietro. Certo è che, nei prossimi mesi e oltre, il dibattito assorbirà severamente un’Ue già stremata da crisi ed emergenze.

L’Europa continuerà così a chiudersi in se stessa mentre s’insedia una nuova amministrazione americana, la Russia di Putin continua nelle sue sfide, il Medio Oriente brucia, l’Africa cresce, Cina, India e Pacifico navigano fra prosperità e tensioni. Perché Brexit proprio adesso? Gli storici avranno difficoltà a spiegarlo alle future generazioni di europei.

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