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Castellammare di Stabia

All’alba dell’Anno Nuovo ricco di speranze nella Campania Felix

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All’alba dell’Anno Nuovo ricco di speranze. Nella Campania Felix e nell’area vesuviana le più antiche presenze di Cristiani in Occidente

C

ome sempre accade in alcuni periodi dell’anno, collegati soprattutto alle più importanti ricorrenze cristiane come Natale e Pasqua, riflettiamo un po’ tutti sui misteri della vita e dell’Uomo chiamato a vivere – o sopravvivere – le alterne vicende della vita.

Ora che ci avviciniamo all’alba di un nuovo anno, con il cuore aperto come è d’obbligo alla speranza, ricordandoci che Gesù è nato 2007 anni or sono ai tempi di Erode (ma la data viene anche ipotizzata di quattro anni più vicina al cosiddetto anno Zero (che non esiste), In queste giornate frenetiche in cui imperversano vicende terroristiche, malattie , problemi legati alle famiglie, la disoccupazione soprattutto giovanile, fabbriche che chiudono certamente per incomprensione tra sindacati e impresari, la droga che viene diffusa sempre di più. eccetera, vogliamo un po’ girarci intorno per vedere e fare qualche considerazione.

Il comprensorio stabiese – sorrentino – pompeiano, é da considerarsi, secondo noi, uno centri più importanti da cui si è diffuso il Cristianesimo in Italia e in tutto l’Occidente. La divulgazione della “Buona novella” risale irrefutabilmente all’età apostolica, valutando l’avvenimento sotto l’aspetto archeologico. Infatti, in base alla “lettura delle pietre” (cioé murature, colonne ed altre vestigia; le quali, per così dire, sono rimaste precisamente al loro originario posto per circa duemila anni, sia a Pompei, sia a Castellammare di Stabia) é possibile asserire che le più vetuste testimonianze di “arte” cristiana, in senso generico, costituite da scritte, simboli, sarcofagi, di tutta la bassa valle del Sarno, cioé la parte prospiciente il mare, sono state rinvenute proprio in tale comprensorio ricchissimo di siti archeologici e di testimonianze preziose perché antichissime.

Qui, nel corso degli scavi eseguiti nell’Ottocento, soprattutto per l’ampliamento della Cattedrale stabiese sono stati riportati alla luce reperti di grande importanza storico-religiosa, ecco perché ora é stato redatto un progetto per il proseguimento degli scavi a Stabia, nella cosiddetta “area christianorum”, che consentirebbe di riportare alla luce altri reperti e ricostruire, anche se in parte, lo storico itinerario di fede e di arte. Attualmente, si conservano sarcofagi, tegole, suppellettile di ceramica, monete, utensili di metallo ed oggettistica varia, alcune lapidi con il nome Maria, Marta, simboli della colomba e di altri segni cristiani, a suo tempo studiati dall’archeologo Giovanni Battista De Rossi e, successivamente, da altri studiosi e cultori di antichità cristiane. Il De Rossi, nel suo “Bollettino di Archeologia Cristiana ”dopo aver auspicato di “aprire la via all’accurato esame topografico ed archeologico-storico del cimitero cristiano di Stabia” (1879), aggiunge che esso “…non è un sepolcreto speciale di famiglia, nè una qualsivoglia parte di antica necropoli, nella quale a monumenti pagani siano contigui o sovrapposti e succeduti alcuni avelli cristiani. La varietà dei nomi e cognomi è sufficiente indizio di cimitero comune dei fedeli; alcune lapidi pagane quivi trovate nel 1877 servivano anch’esse di materiale da costruzione delle arche sepolcrali; la posizione topografica del sepolcreto, che coincide appunto col suolo tuttora sacro al culto cristiano e sotto la cattedrale, non è fortuita. L’insigne scoperta ci rivela l’antica area Christianorum di Stabia ed il suo coemeterium. Ho detto area; imperocché le notizie fornitemi sul luogo dicono soltanto di arche marmoree o fabbricate in piano, non di ipogeo nè di loculi incavati nelle pareti. Il suolo littorale e prossimo al mare conferma qui, come a Ravenna, la condizione del cimitero in area all’aperto cielo; quali dalla storia ci sono designate le aree Christianorum dell’Africa…”. Appare evidente l’importanza dei rinvenimenti, anche se circoscritti ad un’area di limitate dimensioni.

A Pompei abbiamo il cosiddetto crittogramma ed altre importanti scritte di pensiero cristiano tracciate prima del 79, come prima di quell’anno furono incise varie testimonianze del mondo ebraico sulle pareti di una villa romana riportata alla luce a Stabiae. E’ possibile pensare all’esistenza di altrettante testimonianze che forse un giorno potranno ritornare alla luce a seguito di scavi fortuiti o sistematici (il sottosuolo del nostro Paese è ricco di antichità di ogni tempo). Il territorio vesuviano-sarnese- nocerino, unico esempio al mondo, per combinazione, o per meglio dire, per l’infausta circostanza legata a quella famosa eruzione del Vesuvio, che, con una spessa coltre di cenere e lapillo, ha protetto per tanti secoli, le città in pieno rigoglio commerciale e culturale. Va ricordato ancora che a seguito degli scavi intrapresi per riportare alla luce le antiche città, sono riaffiorate le prove che ci riconducono alle origini della diffusione del Cristianesimo. A Stabia, e per la prima volta, fa la sua non occasionale apparizione, il simbolo molto caro al popolo d’Israele: la stella a cinque punte. Questo simbolo é ripetuto alcune volte, nella splendida villa romana parzialmente scavata sulla collina di Varano. Accanto a qualche frase con riferimento al Salvatore, lungo le pareti dell’ambulacro orientale della vasta piscina, come in altri ambienti, é visibile la stella a cinque punte; a testimonianza cosi, come dicono gli studiosi Carlo Giordano e Isidoro Kahn, che anche in quel nobilissimo edificio dovessero vivere degli ebrei. Il motivo della stella a cinque punte, dicono i predetti studiosi, appare in Israele segnato su dei vasi di terracotta del V secolo a.C. contenenti i tributi da inviare all’impero persiano; e tra le cinque punte dell’astro vi é la leggenda in ebraico antico Jerushalem, mentre sull’altra faccia si legge Yehud, il nome ufficiale della Palestina meridionale durante il periodo persiano. Risalire alle origini del significato simbolico di queste figure geometriche, legate anche a leggende antichisime, é compito assai arduo, e comunque esula da questo studio, non avente con esso una qualche specifica attinenza. Sembra, comunque, avere qualche attendibilità la diffusione presso il popolo ebraico di due simboli: il “Tabahat o Hotàm Shelomò” (anello sigillo di Salomone), con stella a cinque punte (pentacolo); e il “Maghen David” (scudo di Davide), con stella a sei punte. Successivamente e nel tempo, sostengono i suddetti studiosi, tra i due emblemi prevalse il “Maghen David” che divenne il più diffuso simbolo dell’ebraismo (sembra che in Italia una stella (la prima), si sia trovata a Taranto, impressa su una tomba, risalente però al III secolo d. C.).

Ciò premesso, riteniamo di grande importanza l’opera degli studiosi specializzati che certamente proseguiranno le ricerche per arricchire con altri contributi le conoscenze che già abbiamo sulla storia delle origini del cristianesimo che tante tracce ha lasciato soprattutto nel comprensorio vesuviano.

Nel “pezzo” che segue, ripetiamo un po’ ciò che abbiamo detto in altre numerose occasioni con lo scopo di avvicinare soprattutto i giovani all’affascinante tema, ritornando, brevemente, sull’affascinante argomento segnalando soprattutto le indicazioni iconografiche già individuate nel tempo.

“La Questione dei Cristiani a Pompei”, come la definivano antichi storici, fin dal 1853, è materia delicata e oggetto di lunghe ed erudite discussioni fra studiosi italiani, tedeschi, francesi, americani. La presenza di Cristiani nell’ager sarnese prima dell’eruzione del Vesuvio dell’anno 79, che riteniamo certa, è tuttora argomento fortemente controverso.

Sappiamo, che non tutti condividono questa posizione, ci sembra tuttavia, che, soprattutto, gli studi di Pio Ciprotti e di Matteo Della Corte offrano i vantaggi di una sintesi che a nostro parere non operano gli specialisti, peraltro illustri, che la contestano.

Come sempre, rispettando tutte le opinioni, riteniamo di sottolineare, oltre le proprie considerazioni, le tesi di alcuni illustri studiosi, convinti assertori della presenza di Cristiani a Pompei prima della catastrofica, quanto apocalittica eruzione vesuviana che sigillò il vasto territorio con la coltre di cenere e lapilli. Le tracce che hanno lasciato antichi cristiani nell’area che particolarmente ci interessa, sono numerose e diffuse un po’ ovunque.

“Le più sicure – dice Pio Ciprotti – sono i due esemplari del cosiddetto crittogramma del Pater noster…Sembra poi che una scritta a carbone su una parete della casa…menzionasse i cristiani e anzi (G. B. De Rossi) alludesse alla persecuzione di Nerone, o anche (M. Guarducci) alla qualifica che loro si usava dare di traditori del genere umano; mentre altre scritte là presso potrebbero essere derisioni verso i cristiani: perciò si congetturò che in quella casa (cosiddetta albergo dei cristiani) si adunassero, e forse anche venissero ospitati, i fedeli per pregare e per ascoltare la parola di Dio…”.

Ma il più tenace ricercatore di graffiti e simboli collegabili al cristianesimo dei primi tempi, è stato Matteo Della Corte, sia durante la sua direzione degli Scavi di Pompei, sia dopo aver lasciato l’incarico.

Lo studioso, attraverso articoli su riviste specializzate e pubblicazioni di sostanzioso contenuto scientifico, ha sostenuto e documentato la presenza di cristiani prima del cataclisma vesuviano. In particolare il Della Corte dice:”…in un’iscrizione tracciata col carbone…fu letta la parola Christianos la quale riassume…tutto il peso documentario, quando le scoperte posteriori e recentissime registrate in questa ricerca nessun dubbio dovrebbero lasciar sussistere sulla presenza di un nucleo di Cristiani a Pompei, anteriormente all’anno 79…”.

Inoltre lo studioso si dilunga sull’interpretazione dei crittogrammi…specie quello del “Pater Noster, documento sicuramente cristiano…”; Il Della Corte dice ancora:”…a conferma di quanto …in precedenza è detto dei primitivi Cristiani…ed a definitiva confusione di scettici e dubbiosi, dai cui pertinaci preconcetti è dipesa per tanto tempo la bassa cronologia assegnata alla simbolistica cristiana (simbolo e culto della S. Croce; A – Q; Crittogramma del Pater Noster; monogramma così detto Costantiniano, etc.) la Provvidenza Divina mi consente il privilegio di leggere e riferire quel che leggo …” sulla scoperta di un cimitero Giudaico – Cristiano…del primo secolo – e precisamente del periodo Erodiano – ritrovato sul Sacro Monte degli Ulivi, con contrassegni e nomi di cristiani che hanno rispondenza negli Evangeli e negli altri scritti del Nuovo Testamento…”.

Lo studioso, mette in evidenza la correlazione della documentazione iconografica rinvenuta qui e in Oriente. .Le tracce, dunque, più antiche e importanti del Cristianesimo, risalenti all’età apostolica, sono riscontrabili, secondo noi, nella vasta Valle del Sarno, e più precisamente nel triangolo Pompei – Castellammare di Stabia – Penisola Sorrentina.

Riteniamo, tuttavia, che ampie aree del sottosuolo stabiano, e italiano in genere, oltre quelle parzialmente scavate, conservino altre eccezionali testimonianze risalenti alle origini del Cristianesimo.

Ma, come abbiamo già detto, le tracce del percorso dei primi Predicatori, sono quelle incise sulla pietra prima dell’anno 79 e rappresentano perciò le testimonianze più antiche che il mondo religioso e scientifico conosce almeno fino ad oggi.

Si tratta di un complesso, di grande importanza storica, religiosa e artistica, che è stato illustrato nel 1879 dall’archeologo Giovanni Battista De Rossi nel corso di scavi eseguiti per l'ampliamento del Duomo.

Sarcofagi, tegole, lapidi e lucerne fittili col monogramma di Cristo, testimoniano, appunto, nel nostro territorio la diffusione della nuova religione risalente certamente agli albori del Cristianesimo.

Scopo del presente lavoro, già per il passato parzialmente pubblicato su diversi giornali e riviste, ma ora più dettagliato, è semplicemente quello di divulgare presso un pubblico più vasto di quello dei puri specialisti, quell’interesse che si è manifestato specialmente per il passato, ma sempre in ristrette cerchie di studiosi, verso una materia tanto suggestiva e affascinante. La pubblicazione vede la luce nel contesto di fervide iniziative promosse dall’Arcidiocesi di Napoli, dalla Prelatura di Pompei e dall’Arcidiocesi di Sorrento – Castellammare di Stabia. La fecondità degli interrogativi e delle risposte che l’antica e la Nuova Pompei propongono all’Uomo d’oggi, sono resi più attuali anche dalle visite dei Papi. L’invito a sollecitare, presso le autorità competenti (Stato, Regione, Comune), un programma di intervento per la valorizzazione di questi Beni, è rivolto soprattutto alla Scuola (dirigenti, docenti, studenti), che rimane la più importante istituzione-agenzia educativa; e che per la sua tradizionale indipendenza, metodologica e didattica, conserva la “voce” più adatta per farsi ascoltare, volendo, anche dalle orecchie più dure di agnostici e distratti.

E’ importante evidenziare, ancora una volta, che tali documentazioni sono rimaste nei siti in cui circa duemila anni or sono, furono tracciate. Non c’é stato dunque bisogno di ricorrere né a particolari indagini archeologiche, né ad analisi e studi tecnici di laboratorio, né a ricostruzioni del luogo, né a complesse interpretazioni epigrafiche, né a sistemazioni o risistemazioni di materiali sparsi.

A Stabiae come a Pompei, ci troviamo, così, di fronte al singolare caso, l’unico in occidente, che é quello cioé di vedere al proprio posto, segni e scritte così come furono tracciati prima dell’anno 79, protetti dallo spesso strato di cenere e lapilli. Si tratta, come ben si può notare, di reperti archeologici di straordinario interesse, in quanto consentono di accertare qui la presenza di predicatori già pochi anni dopo Cristo.

Gli studiosi di tutto il mondo che hanno visionato e studiato tale materiale documentario, che testimonia la propagazione dalla Valle del Sarno, della Nuova Fede, si esprimono con evidente soddisfazione, consapevoli di aver offerto al mondo dei fedeli e scientifico, prove inconfutabili sulla grande riscoperta. Pio Ciprotti, ricorda che le più sicure tracce del Cristianesimo sono costituite dai due esemplari del cosiddetto crittogramma del Pater noster, trovati a Pompei.

Più ampio e articolato lo studio dell’archeologo Matteo Della Corte, il più tenace ricercatore e studioso di antichità cristiane. Egli si dilunga molto sulla presenza di Cristiani a Pompei. I rinvenimenti si susseguono a partire dall’hospitium Christianorum, cioé l’albergo dei Cristiani, il più grande albergo dell’antica città, come lo definisce lo studioso. E’ nell’atrio di tale edificio che si ascoltò in Pompei la voce di un Apostolo della nuova Fede Cristiana. La predicazione a Pompei, sostiene il Della Corte, é attestata da iscrizioni a carbone e graffite lette nell’atrio. Ed in una di esse si lesse esplicitamente la parola “Christianos”; a confermare decisamente la presenza di Cristiani a Pompei anteriormente al 79, si aggiunge un sicuro “Segno della Croce”, a bassorilievo di stucco, rinvenuto in una bottega nei pressi delle Terme del Foro, e due esemplari del “Crittogramma del Pater Noster”. Ma il rinvenimento di queste testimonianze cristiane, che rendono privilegiato il mondo dei credenti per aver ascoltato per i primi in occidente il messaggio degli Apostoli, è da ritenersi normale per un territorio che rappresentava un grande emporio aperto al commercio internazionale, come si dice oggi.

E’ noto, infatti, che la Campania Felix , accolse assai per tempo la Parola di Cristo. Sotto l’imperatore Claudio, San Pietro giunge in mezzo al popolo campano per poi proseguire per Roma. Nei primi giorni della primavera dell’anno 61, Paolo di Tarso (Atti degli Apostoli), fu accolto a Pozzuoli da una folta schiera di fratelli. Ma non fu il solo, gli antichi scrittori ricordano in queste province la presenza anche di altri Apostoli.

Anche i primi Discepoli di Cristo, per venire dall’Oriente a Roma, via mare, seguivano un itinerario classico: Alessandria, Creta, Atene, Corinto, ove, col cambio di imbarcazioni, proseguivano per Brindisi. Da quest’ultimo importante scalo marittimo, si diramavano due vie: l’Appia e l’Egnazia, che conducevano a Benevento e proseguivano, per tronchi diversi, fino a Roma.

Il secondo percorso via mare, era, come affermano molti storici: Alessandria, Creta, Reggio, l’ampio e importante porto militare di Stabiae, che si allargava fino al fiume Sarno, allora navigabile, per poi proseguire per Pompei ed Ercolano (ove é stata rinvenuta la ben nota “Croce”), per Napoli e Pozzuoli: importante sosta per la prosecuzione per Roma. Lungo questi percorsi, le soste erano numerose, sia per il necessario approvvigionamento, sia per predicare la parola di Cristo.

Alle indicazioni emergenti dagli Atti e dalle lettere degli Apostoli, ma anche dalle note sparse dei Padri Apostolici e di studiosi, fanno riscontro, come s’é detto, nell’area sarnese, e segnatamente nel territorio dell’odierna archidiocesi di Sorrento-Castellammare di Stabia, dove già nell’Ottocento é stata individuata, come s’è detto, l’Area Christianorum Stabiensium, e Pompei, documenti unici nel Paese che trovano solo qualche altro esempio coevo, principalmente nella terra dove Gesù ha iniziato il suo apostolato.

Intanto facciamo un passo indietro per meglio capire alcune cose, attraverso la descrizione dei fatti tramandati da alcuni storici locali che certamente avevano più fonti da consultare. La più antica descrizione dei luoghi circostanti il Golfo di Napoli (Cratere), ci é stata tramandata da un ignoto scrittore del 1599-600 che noi chiameremo “Anonimo Stabiano”. Egli descrive la posizione di Napoli, del Vesuvio, di Ercolano, di Torre Annunziata, di Pompei, Messigno, di Castellammare di Stabia, “luoghi irrigati dal Fiume Sarno”, di Vico Equense, Sorrento, Capri e di altre città prospicienti il mar Tirreno, mentre non trascura di menzionare Gragnano, Pimonte, Lettere, ecc., ubicate sulle pendici dei Monti Lattari. Ma si sofferma principalmente su “Stabbia”, forse per la sua posizione strategica, elencando chiese, monumenti, vescovi, privilegi, famiglie antiche e personaggi storici.

A questo punto, sembra opportuno fare qualche passo indietro per meglio individuare uomini e cose che fanno parte della storia delle nostre città e delle diocesi istituite nel comprensorio.

Sono passati 1500 anni da quando il primo Vescovo, di cui conosciamo il nome, Ursus, (1) partecipò, insieme col vescovo di Sorrento, Rosario, al sinodo indetto nel 499 da Papa Simmaco (2) sottoscrivendo gli atti di quella assemblea con l’aggiunta di “Episcopus Ecclesiae Stabianae” (3); nel 1600 l ‘Anonimo, che ben conosceva la storia di queste località, stese la ‘Descrittione della Città di Castello à Mare di Stabbia”, da cui, essendo codesta la fonte più antica e cospicua che conosciamo, tutti gli scrittori posteriori, indistintamente, direttamente o indirettamente, hanno attinto notizie, cioé Giulio Cesare Capaccio (1607), Ferdinando Ughelli, (1644), Fra Pio Tommaso Milante (1750) e altri; al 1879 risalgono gli scavi eseguiti per l’ampliamento del Duomo; i quali aprirono una vera pagina di storia non più basata su documenti cartacei, ma su fondati e sicuri reperti archeologici, dotati di memorie lapidarie e datazioni, di straordinaria importanza (5).

Queste date, inducono un po’ a fare qualche considerazione, soprattutto sulle condizioni in cui si trova ai giorni nostri il patrimonio artistico e religioso sia della Penisola Sorrentina, sia di Castellammare di Stabia e Pompei In queste aree, anche se non si può parlare di una vera e propria comunità cristiana, la presenza di gruppi di abitanti convertiti alla “buona novella”, risale agli albori del cristianesimo. Le più antiche testimonianze di “arte” cristiana, in senso generico (sarcofagi, come quello del Buon Pastore, tegole, suppellettile di ceramica, monete, utensili di metallo ed oggettistica varia). furono ordinati nella Sala Capitolare della medesima Cattedrale e poi, nel 1963, trasportati nell’Antiquarium Stabiano (6).

La presenza di cristiani, a Stabia, come a Miseno, Pozzuoli, Pompei e nella Penisola sorrentina, é documentata da reperti antichissimi e di grande importanza storica, da mettere in relazione al passaggio per queste terre degli apostoli Pietro e Paolo, e all’intenso traffico marittimo lungo le coste del Mediterraneo (7). A Pompei le più sicure tracce della presenza di cristiani sono costituite, oltre che dalla scritta “Christianos”, dai due esemplari del cosiddetto crittogramma (8) del Pater noster (cioé la preghiera insegnata da Gesù agli apostoli), trovati nella casa di Paquio Proculo (9) e nel Campus (10).

Stabiae, in particolare, col suo importante porto militare e commerciale, aveva contatti con tutti i paesi del Mediterraneo e costituiva lo sbocco verso il mare di Nuceria importante crocevia della Federazione (11) e dei paesi del retroterra. E proprio qui, tra l’altro, sono stati trovati i sepolcri di un ammiraglio della flottaromana di Miseno, con la sigla cristiana e il nome della moglie Maria incisi sulla lastra di copertura, e di altri misenesi, oltre a sepolcri di sicura fonte cristiana.

Sono stati rinvenuti anche elementi ebraici, storicamente e religiosamente incisi sulle pareti di una delle ville imperiali riscoperte a Stabiae, segni questi che ivi esponenti del mondo giudaico dovevano essere numerosi (12).

Ma vediamo qual era la situazione geografica e politica in quei lontani tempi; premettendo che un testo, relativamente breve e a carattere divulgativo, non potrà offrirne che pochi cenni. D’altro canto va pure detto che, a nostro avviso, tante pubblicazioni spesso voluminose, pure apprezzabili per l’impegno profuso dagli autori, finiscono quasi sempre nelle poche mani degli “addetti ai lavori” e nelle biblioteche.

Intanto, il nucleo più popolato dell’antica Stabia occupava probabilmente la parte orientale della odierna Castellammare, cioé, più o meno, il sito compreso tra S. Maria dell’Orto e Ponte San Marco, forse fino alla località detta Madonna delle Grazie-S. Antonio Abate (ma dobbiamo ricordare che numerosi ruderi d’epoca romana sono stati rinvenuti anche nella zona di Fontana Grande fino a Pozzano); verso settentrione si estendeva sul pianoro di Varano (Varanum e Granianum) e raggiungeva le falde dei Monti Lattari. Ville suburbane, “masserie” e piccoli villaggi, costruiti spesso seguendo l’andamento dei terreni, coronavano le pendici dei monti. La conformazione della Penisola sorrentina, anch’essa sconvolta da terremoti, da eventi geologici e dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., é rimasta geograficamente pressappoco qual era un paio di migliaia di anni orsono, stando alle descrizioni degli antichi storici.

La rete viaria (a tener conto della Tabula Peutungeriana, che é la più antica “carta geografica” per uso militare che conosciamo) (13), seguiva un percorso che iniziava da Capuae e da Puteoli, e convergeva nella vasta area metropolitana di Neapolis; da questa città, di grande importanza, partiva una strada che, attrraversando Herculanum, giungeva ad Oplontis, Pompeis e Nuceria. Da Oplontis (così sono scritti i nomi), si staccava una strada litoranea che raggiungeva Stabia e Sorrento. Un’ altra strada si staccava da Pompei e raggiungeva Stabia e ancora un’altra strada si sviluppava da Nuceria e, attraverso S. Antonio Abate, allora, come oggi, raggiungeva Stabiae. E’ questo il tracciato che interessa di più, anche in considerazione dei numerosi rinvenimenti archeologici di età preromana e romana venuti alla luce in tutti i tempi lungo il suo percorso, specie da S. Antonio Abate al Ponte S. Marco (nel 1983, poco oltre tale ponte, venne alla luce un altro tratto dell’antichissima strada, nel corso di lavori per la sistemazione di un “collettore” fognario).

Forse proprio all’altezza di questo ponte, la strada si biforcava: un ramo, alla profondità di due-cinque metri, ma in qualche parte fino ad undici metri, rispetto all’attuale piano, proseguiva per l’odierna via Giuseppe Cosenza,avvicinandosi, sembra, per alcuni tratti, alla cosiddetta Grotta di S. Biagio, e, attraverso un tracciato non individuabile, si prolungava, forse attraverso l’attuale Via R. Margherita, considerando l’ingente materiale archeologico rinvenuto, lungo questa arteria, nel corso di vari decenni, verso l’area della cattedrale. Di qua, per via S. Caterina (?), costeggiando il lido (che non aveva il disegno di oggi), raggiungeva, anche per tratti disagevoli e tortuosi, la litoranea per la Penisola Sorrentina. Era questa una strada pubblica perché nel tratto vicino alla Cattedrale, fu rinvenuta la colonna miliare che segnava l’XI miglio da Nocera (14). Questo può essere il percorso più probabile se dobbiamo credere agli antichi scrittori i quali sostenevano, forse anche sulla base di antiche mappe andate poi perdute, che, prima del 79, il mare si inoltrava molto più che non ora entro il lido stabiese. Piazza Municipio (oggi Piazza Giovanni XXIII) e, quindi, parte dell’area che oggi occupa la cattedrale, era, una volta, quasi tutta invasa dalle acque.

Accanto a questa strada, che chiameremo Via dei sepolcri, forse ne correva un’altra a mezza costa. Era il prolungamento dell’altro ramo che dal Ponte S. Marco raggiungeva Varano, poi attraversava Scanzano (Scandianum) e, sempre come via “pedemontana”, ad una altezza variabile tra i cento e 150 metri, con dislivelli a volte anche notevoli, si inoltrava, attraversando il promontorio di Pozzano (Putianum), verso la Penisola sorrentina.

Il tratto, peraltro breve, interessante l’area archeologica di Piazza Municipio, si trova quasi a sette metri di profondità rispetto all’attuale piano stradale. Non sono stati eseguiti saggi in altri punti della strada, e non si conoscono altre stratificazioni. Da alcuni rilievi, operati in diverse occasionali circostanze (frane, sprofondamenti, scavi per riparazioni di condutture, ecc.), s’é notato che questo tratto di strada (Piazza P. Umberto-Piazza Municipio) si sviluppava lungo il lido (Sinus Stabianus) ed era fiancheggiato da sepolcri, secondo l’antica usanza romana. Ma sono ipotesi, in quanto mancano indicazioni precise.

Tale tratto, interessato solo parzialmente dagli scavi del 1875-79 per gettare le fondamenta per l’ampliamento della cattedrale e costruzione della Cappella di san Catello, racchiude parte dei misteri di Stabia antica, soprattutto dal punto di vista religioso e quindi della storia dei primi insediamenti cristiani a Stabia.

Quest’area, come certamente altre del medesimo sito geografico, fu sconvolta da alcuni terremoti e in particolare da quello dell’anno 62 d. C.

Diciassette anni più tardi, nel 79, la catastrofica eruzione del Vesuvio trasformò completamente lo stato dei luoghi: una spessa coltre di cenere e di lapilli coprì tutto il territorio. Gli abitanti che riuscirono a salvarsi, dopo il pericolo, ritornarono nelle loro sedi dissestate. Il governo imperiale dispose la ricostruzione e la riapertura delle strade principali e della fitta rete di stradine di collegamento con le diverse località, per cui furono nuovamente allineati lungo questa via, ormai rifatta, sarcofagi e tombe comuni.

E proprio in questa area, di imprecisata dimensione topografica, fu eseguito lo scavo nella direzione nord-ovest, verso il giardino dell’episcopio e fuindividuato, alla profondità di circa tre metri, in corrispondenza dell’attuale sacrestia, anche il primo sepolcreto cristiano, cioé l’Area Christianorum Stabiensium. Qui, allargando lo scavo, furono rinvenuti, a circa sette metri di profondità, inconfondibili vestigia dell’antichissima città romana, con tracce di stradine che si diramavano da un presunto asse centrale, soglie di abitazioni, e, più in alto, altre tracce di muri, di botteghe, una delle quali portava l’indicazione di “Officina coriariorum” che per le “micidiali esalazioni di gas” non fu possibile esplorare. Un’altra Officina coriariorum (conceria), si trova a Pompei, l’unica finora individuata. In uno strato leggermente più alto (oppure allo stesso livello?), si rinvennero altri residui di muri, di colonne, e, tra centinaia di reperti archeologici, molte lastre di terracotta con il monogramma di Cristo, vari latercoli, pezzi di intonaci con decorazioni a fasce, recanti in bella evidenza uccelli a vivissimi colori, nonché diverse lapidi con precisi riferimenti alla Nuova Religione, alcuni sarcofagi e lastre di copertura con iscrizioni dedicate a divinità pagane e il famoso sarcofago detto del “Buon Pastore”, ritenuto di grande importanza storica e artistica. Questa urna, lunga circa due metri e alta settanta centimetri, presenta frontalmente una donna al centro, che regge con le mani il volumen (rotolo avvolto), alla sinistra una bambina le porta la cassetta dei profumi, alle due estremità, si ergono le figure di due pastori, ciascuno col suo cane ai piedi: reggono sulle spalle un ariete ai quali porgono l’urceo monoansato, come molte volte é rappresentato il pastor bonus evangelico in monumenti cristiani. I due personaggi, uno giovane imberbe, l’altro poco più anziano, indossano pratiche tuniche allacciate in vita e a sbuffo, e doppi calzari (15). Si tratta di un numero relativamente limitato di reperti, data l’esiguità dell’area esplorata, perchè gran parte della Via dei sepolcri di Stabia, é tuttora sotterrata e solo uno scavo, quanto mai auspicabile, più ampio, potrebbe svelare aspetti e problemi destinati altrimenti a rimanere avvolti dal mistero.

Le tombe scavate in questa zona, delle quali tuttora se ne intravede un certo numero, sono a formae. Esse erano costruite, a cielo aperto, secondo una comune e semplice tecnica: scavate delle fosse rettangolari di ragguardevoli dimensioni, chiuse da muretti longitudinali,venivano divise, in scomparti, in ognuno dei quali veniva deposto un defunto. Ogni scompartimento (locus) era separato da quello sottostante con uno strato di tegole lisce e con calce dellospessore di circa dieci centimetri, quindi con una nuova copertura di tegole.

Mentre i loculi delle catacombe erano chiamati bisomus, trisomus, queste formae vennero chiamate biscandes, triscandes, dal numero dei corpi che contenevano. Ogni tomba di Stabia aveva da due a sette corpi di defunti, posti sempre l’uno sull’altro.

In questa area, come s’é detto, fu anche rinvenuta la famosa colonna miliare che segnava l’XI miglio da Nocera, città che a quel tempo era un po’ il crocevia di tutte le grandi arterie e dalla quale partiva la numerazione. Una colonna simile fu rinvenuta a Napoli, presso la chiesa dei santi Cosma e Damiano, che indicava la distanza da Nocera rispetto a questo luogo (forse un altro punto di riferimento). Ci sarebbe anche da aggiungere che i Romani indicavano ogni miglio con una di queste colonne. Quella di Stabiae fu fissata nel 121, durante l’impero di Adriano, che continuò l’opera di ricostruzione di edifici e strade, intrapresa dai suoi predecessori. E’ probabile che nel nostro caso siano state indicate solo alcune distanze, forse le più significative, ai fini di individuazione di località di importanza strategica, militare e commerciale. Nessun’altra colonna, oltre quelle citate, è stata, comunque, reperita (importante anche il famoso “cippo” rinvenuto sulla via Nocera- Stabia).

Abbiamo visto che Stabia era famosa non solo per la sua posizione strategica (ecco perché il dittatore L. Cornelius Sulla si accanì nell’89-90 a.C. in modo particolare contro di essa danneggiandola per costringere molti abitanti a trasferirsi sulle colline), ma anche per la salubrità del clima e per la varietà delle sue acque medicamentose ben conosciute nell’antichità e decantate da Plinio il Vecchio, Vitruvio, Columella, Galeno ed altri. La sua notorietà favorì anche gli scambi commerciali, con l’Oriente e costituiva una tappa importante per i viaggiatori: è documentato il grande movimento soprattutto marittimo che favorì la diffusione della parola di Cristo in tutto il comprensorio, perché, bisogna tener presente, che un avvenimento, qual era, e lo è tuttora come l’arrivo o il passaggio di un personaggio autorevole, non può considerarsi circoscritto a un’area definita, e quindi limitata geograficamente; bensì allargata a coinvolgere interessi non solo di natura economica, ma anche di profilo culturale, religioso e così via (16).

La prima comunità di credenti si riuniva in questi luoghi per seppellire i propri congiunti e per pregare. Dopo l’Editto di Costantino (313), sullo stesso posto fu eretto un tempio cristiano di modeste dimensioni, poi a mano a mano ingrandito.

Nel Medioevo la chiesa raccolse anch’essa, sotto le volte delle sue cappelle, tombe e sepolcri.

Avanzi di questi tre strati di sepolture, corrispondenti ai tre grandi periodi della storia di Stabia, vennero alla luce, come si è detto, nel corso degli scavi eseguiti nell’Ottocento per la creazione delle sottofondamenta e fondamenta per la costruzione della cappella del Santo Patrono e per l’ampliamento del duomo.

E’ auspicabile la ripresa degli scavi, perché, come si può notare, si tratta di un’area di grandissimo valore storico-religioso. Trattandosi però di una materia delicatissima, occorrerà prudenza e, secondo noi, la collaborazione e consulenza di studiosi specializzati dell’Istituto di Archeologia Cristiana, anche per la preparazione di progetti (come è stato fatto a suo tempo, per le Catacombe di San Gennaro a Napoli).

Interventi affrettati o di diverso tipo, sarebbero altamente rischiosi e potrebbero provocare altri danni.

Ma non è tutto. La ripresa degli scavi, potrebbe portare al rinvenimento di altre opere ed oggetti e consentire la ricostruzione, seppure parziale, di un itinerario vasto e articolato che interesserebbe non solo le città pagane, ma anche la Pompei sacra col suo maestoso Santuario dedicato alla Madonna del Rosario, sorto, certamente, su aree calcate da Discepoli che per i primi predicarono la Buona Novella.

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Breve Bibliografia dell’autore riguardante l’argomento trattato:

A. Ziino, “Dopo venti secoli di oblio ritorna alla luce la Città di Stabia” – L’Osservatore Romano, Luglio 1960 – Città del Vaticano;

A. Ziino, “Stabia, meta di villeggiatura dei patrizi Romani” – Il Quotidiano, Luglio 1960 – Roma;

A. Ziino, ”L’origine pre romana di Stabia – Il Giornale del Mezzogiorno, novembre 1961- Roma;

A. Ziino, “Gli scavi dell’antica Stabiae” – Il Messaggero, Ottobre 1962 – Roma;

A. Ziino, “La ripresa degli scavi stabiani” – L’Osservatore Romano, Ottobre 1962 – Città del Vaticano;

A. Ziino , “L’Etruria”, Città e turismo, settembre 1963 – Pompei;

A. Ziino, “L’arte nell’antica Stabia cristiana”, C.& T. – Pompei;

A. Ziino, “Il dipinto bizantino di S. Maria della Libera”, Tip. Mosca, 1965;

A. Ziino, “Prospettive archeologiche” – Ed. C&T, 1966 – Pompei;

A. Ziino, “Pittura benedettina dell’XI secolo nella Grotta di San Biagio” – es. Osservatore Romano, 1967 – Città del Vaticano;

A. Ziino, “L’antica Diocesi Stabiana…” – Ed. C.&T, 1967 – Pompei;

A. Ziino, “L’Italia delle acque famose” – L’Osservatore Romano, Novembre 1967 – Città del Vaticano;

A. Ziino, ”Gli Etruschi e la loro civiltà” – Ed. Laurenziana, 1969 – Napoli;

A. Ziino “Le acque minerali di C.re già famose ai tempi degli antichi Romani” – Ed. C&T,1969 – Pompei;

A. Ziino, “Salvare il prezioso patrimonio artistico italiano”- L’Osservatore Romano, febbr. 1968 – Città del Vaticano;

A. Ziino, ”I Santi Pietro e Paolo e la Campania Felix” – L’Osservatore Romano”, Marzo 1970 – Città del Vaticano;

A. Ziino, ”Pittura Campana dell’Anno Mille” – Ed. Ridrs, 1970 – Pompei;

A. Ziino, “Opere d’Arte nella Penisola Sorrentina”, Ed. Ridrs, 1970 – Pompei;

A. Ziino, “Le origini preromane di Stabia”, Ed. Ridrs, 1983 – Pompei;

A. Ziino, “Chiese e castelli medioevali”, Ed. Ridrs, 1991 – Pompei;

A. Ziino, “…Pellegrini in Campania…” – L’Osservatore Romano, Agosto, 1998 – Città del Vaticano;

A. Ziino, “I misteri dell’antica Stabiae”, CdR, Settembre 1999 – Sarno;

A. Ziino, “I misteri dell’antica Stabia nell’area christianorum, CdR, Febbr., 2000 – Sarno

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1) Orso é, infatti, il primo vescovo di Stabia di cui conosciamo il nome. Partecipò al Sinodo indetto da Papa Simmaco nel 499-500;

2) Non si conosce la data di nascita di questo Pontefice. Di origine sarda, fu eletto papa il 22 novembre 498, morto il 15 luglio 514, fu sepolto in San Pietro e santificato. Papa Simmaco apportò importanti riforme all’organizzazione ecclesiastica; riscattò tutti gli schiavi donando loro la tanto sospirata libertà. Introdusse la norma in base alla quale, vivo un papa, nessuno può occuparsi della nomina del successore (detta norma è stata nel 2013 modificata e si hanno due pontefici contemporaneamente: uno con incarico ufficiale, l’altro, certamente per l’età avanzata, fraternamente vivente in altra residenza).

(3) Ughelli, Italia Sacra (1644), che ha fatto ricerche anche sulla cronotassi dei vescovi di Sorrento, indica Rosario al quarto posto, collocandolo dopo San Renato, vescovo di Sorrento, e San Valerio. Questa notizia é stata rilevata, oltre che dagli atti dell’Ughelli, anche dal Capasso ed altri autori: Giulio Cesare Capaccio (1607), Antonio Caracciolo (1626), i Bollandisti (1735), il vescovo P. Tommaso Milante (1750), Filippo Gibboni (1885), il vescovo Vincenzo M. Sarnelli (1897), e tanti altri, fanno seguire ad Ursus, i vescovi Lorenzo (600), Lubentino (649), S. Catello (817), Sergio (900), Gregorio (1110), ecc. Ponendo i più, quindi, l’episcopato di San Catello verso il IX – X secolo, forse sulla base di antichi documenti che sono andati poi perduti. Altri autori, tra cui mons. Francesco Di Capua, assegnano San Catello al VI – VII secolo, adducendo motivazioni da rispettare, come vanno sempre rispettate tutte le opinioni. Per completezza di informazione, va detto che fino ad oggi nessuno é riuscito a modificare sostanzialmente l’elenco compilato dagli antichi scrittori (l’elenco stilato dal Milante, fino ai suoi tempi, rimane il più completo). Ai giorni nostri, si spostano solo da un posto all’altro sempre ed unicamente gli stessi nomi, per i primi mille anni della Chiesa locale, senza produrre alcun documento significativamente nuovo. Il Celoro Parascandolo nel pubblicare recentemente “I Vescovi e la Chiesa Stabiana”, ha eliminato, dopo ulteriori ricerche, il nome di qualche vescovo ritenuto qui inesistente e modificato qualche data.

Riferimento, di particolare interesse, ad alcune fonti antiche e recenti:

Anonimo, Manoscritto, in Biblioteca Nazionale di Napoli, 1559-1600; Giulio Cesare Capaccio, Historia Neapolitana, Neapoli, 1607 (1^ – 2^ ediz.);

Antonio Caracciolo, S. Antonini coenobii Agrippinensis.. Neapoli, 1626; Ferdinando Ughelli, Italia Sacra, vol. VI, 1644;

F. Ughelli – (N. Coleti, a cura), It. Sacra, Venezia 1720;

Bollandisti, Acta sanctorum, Venezia, 1735;

Pio Tommaso Milante, De Stabiis, Stabiana Ecclesia et episcopis eius, Neapoli, 1750;

Gaetano Martucci, Lettera contenente alcune riflessioni…,ecc., Napoli, 1753;

Michele Ruggiero, Degli Scavi di Stabia dal MDCCXLIX al MDCCLXXXII, Napoli, 1881;

Giovan Battista De’ Rossi, Cimitero cristiano di Stabia (Castellammare), Bullettino d’Archeologia Cristiana, Roma, 1879;

Giuseppe Cosenza, Raccolta di antichità stabiane, Napoli, 1900:

Giuseppe Cosenza, Stabia, Trani, 1908:

Francesco Di Capua, San Catello e i suoi tempi, Castellammare di Stabia, 1932;

Francesco Di Capua, Le Antichità cristiane conservate nella sala capitolare, Caserta, 1926;

Pio Ciprotti, Pompei, Roma, 1962;

Salvatore Farro, Oplonti, Pompei, 1963;

Giovanni Celoro Parascandolo, Castellammare di Stabia, Napoli, 1965;

Pasquale Ferraiuolo (testo), Chiese e monasteri di Sorrento, con ricerche di Luigi Fattorusso, Michele Palumbo, Stabia e Castellammare di Stabia, Napoli, 1972;

Antonino Fiorentino, Achille Laudonia, Sorrento, 1973;

Fioravante Meo, Oplonti, Napoli, 1973;

Salvatore Ferraro, Osci Etruschi e Greci nella Penisola sorrentina, Napoli, 1976;

Amedeo Maiuri, Passeggiate Campane, Napoli, Antonino Cuomo, Le confraternite in Penisola sorrentina, Castellammare, 1993;

Anna Grelle, Frammenti medioevali a Sorrento, Napoli, 1967;

Antonino Trombetta, Monasteri e conventi della Penisola sorrentina, Casamari, 1996;

Vincenzo Russo, Sorrento Medievale, Sorrento, 1978;

Antonio Ferrara-Ottavio Ragone, La zona della Fontana Grande, Castellammare, 1983;

Paola Miniero, Stabiae, Rinvenimenti archeologici, in Pompei, Herculaneum Stabiae, 1983;

Domenico Camardo, Antonio Ferrara, Nicola Longobardi, Stabiae: Le Ville, Castellammare, 1989;

Antonino Cuomo, Le confraternite fra storia e diritto, Castellammare, 1994;

Giovanni Celoro Parascandolo, I Vescovi e la Chiesa Stabiana, Castellammare di Stabia, 1997;

Giuseppe D’Angelo, Castellammare di Stabia, I luoghi della Memoria, Gragnano, 1994;

Angelo Acampora – Giuseppe D’Angelo, Stabia e San Catello al sesto secolo, Pompei, 1994,

Avellino Mario Rosario, Pompei, La via Sacra, Pompei, 1987;

Avellino Nicola – Avellino Luigi, Pompei, Segni di anticheme morie, Pompei, 1990;

Gino Bussetti, Memorie Storiche di Stabia cristiana dal III al X secolo, Casoria, 1998;

Pietro Caggiano, La Basilica di Pompei, tra culto e storia, Pompei, 2000;

Giovanna Bonifacio, Stabiae-Guida Archeologica alle Ville, Castellammare di Stabia, 2001;

Anna Maria Sodo, Stabiae-Guida Archeologica alle Ville, Castellammare di Stabia, 2001;

(4) Si tratta di un manoscritto attribuito, erroneamente, al patrizio stabiese Giovan Battista De Rosania. Il primo a farne esplicito riferimento fu Giulio Cesare Capaccio nella sua Historia Neapolitana (Neapoli, 1607). Egli fu anche il primo ad attribuire il testo al De Rosania. Da questo manoscritto, attinsero poi quasi tutti gli altri storici di Castellammare, dal Milante al De’ Ruggieri, dal Cosenza al Di Capua, ecc. La “Descrittione” é raccolta in due manoscritti secenteschi che Antonio Altamura, pubblicandoli nel 1971 (operando in parte anche qualche fusione tra i due, oppure attingendo ad un probabile terzo manoscritto visionato in qualche biblioteca anche abbaziale), li considera di mano di Camillo Tutini. Tutti gli autori che hanno scritto su cose locali, citano, anche indirettamente, questa “Descrittione”.

Il secondo manoscritto sembra copia del primo, con lievi varianti, dovute soprattutto all’eliminazione di alcune ripetizioni. Questo secondo manoscritto, fu forse approntato per consegnarlo alle stampe, infatti, porta in testa la dicitura:

“Descrittione della Città di Castello a’ Mare di Stabia di…” (manca il nome dell’autore e rimase inedito).

La “Descrittione” fu scritta durante l’episcopato di mons. Vittorino Manso

(1599-1601), citato dall’autore a conclusione dello scritto.

(5) Anni dopo, lo stabiese Giuseppe Cosenza, archeologo e accorto scrittore, suggerì al vescovo del tempo, Vincenzo Maria Sarnelli (diventato poi arcivescovo di Napoli) , di dare una degna sistemazione al materiale raccolto e farlo conoscere agli studiosi considerata l’importanza storica e artistica specialmente di un gruppo di opere rinvenute. Mons. Sarnelli, scartando l’ipotesi di donare detto materiale al Museo Archeologico di Napoli, ritenendolo di proprietà del Capitolo, ordinò la sistemazione di tutti gli oggetti nella sala capitolare. Il materiale fu sistemato un po’ alla rinfusa e senza attribuire un ordine cronologico ai reperti. Tuttavia il Cosenza, riuscì , a cosa fatta, a catalogare tutto il materiale apponendo una numerazione progressiva sui vari pezzi in corrispondenza di quello di un sistematico inventario.

(6) l’Antiquarium Stabiano (ora chiuso), fu allestito “provvisoriamente” dal preside D’Orsi, per evitare il trasporto al museo di Napoli degli oggetti rinvenuti a Stabia, nei sottostanti locali della Scuola Media. Successivamente furono anche utilizzati i locali adibiti a laboratori della soppressa Scuola di Avviamento Professionale. L’Antiquarium, inaugurato l’11 luglio del 1959, dall’allora ministro della Pubblica istruzione, sen. Giuseppe Medici, accoglie 4847 “pezzi”, fra materiale funerario, tombale, stucchi e pitture, oltre tutta la raccolta di reperti ordinati nella Sala Capitolare, rinvenuti nel corso degli scavi dell’Ottocento, per l’ampliamento del Duomo), e la raccolta del Liceo Classico (tutto il materiale raccolto, compreso piccoli frammenti di intonaci, ammontano ad oltre trentamila “pezzi”). Ricordiamo, che un edificio da destinare a museo, realizzato al Rione S. Marco, é stato invece utilizzato per le scuole elementari e materne. Ora si attende l’eventuale utilizzazione del fabbricato di Villa Gabola, per la sistemazione dell’importantissimo materiale di grande valore storico e archeologico, oppure l’istituzione di un museo facilmente raggiungibile.

(7) Come é noto, nei primi decenni dell’Era Nostra, le città situate lungo la costa tirrena, e in particolare quelle del Golfo di Napoli, godettero di una grande prosperità economica e insieme di una intensa vita intellettuale in gran parte dovuta ai contatti che i traffici mercantili fecero stabilire tra queste città e quelle della Grecia e dell’Oriente in genere. Si sa anche che le idee circolano anche insieme con i mercanti, e si sa anche quanto fermento di vita spirituale vi fosse nella parte orientale dell’ Impero, ai tempi che vanno da Augusto alla prima anarchia militare e a Tito.

Il Messaggio Evangelico aveva trovato nell’Oriente, in cui pullulavano le religioni misteriche e in cui l’ansia di sopravvivenza spirituale era maggiormente avvertita, un terreno particolarmente fertile, soppiantando, nelle coscienze dei più, quelle iniziazioni e riti esoterici indispensabili alla “salvezza” con le semplici ma chiare parole della nuova Verità d’amore che Cristo aveva predicato, invitando gli Apostoli a fare altrettanto “…euntes in mundum universum praedicate Evangelium omni creaturae…”.

In Campania, proprio in virtù di tali contatti, dovettero diffondersi per tempo i principi della nuova religione; ne é prova autorevole il racconto che San Luca fadel viaggio di San Paolo da Cesarea a Roma: a Pozzuoli, diffusasi la notizia del

suo passaggio, molti cristiani vennero incontro all’Apostolo festanti e desiderosi di ascoltare la sua parola. Così si verificò per San Pietro ed altri Apostoli che, seguendo quasi sempre l’itinerario, ritenuto da molti studiosi classico per quei tempi, cioé Alessandria, Rodi, Creta, Brindisi, poi verso le altre province, si fermavano di tanto in tanto per incontrare le nascenti comunità cristiane o anche gruppi sparsi di fedeli.

(8) I due crittogrammi rinvenuti, secondo Matteo della Corte, il più tenace studioso della suggestiva materia, costituiscono, unitamente a qualche altro segno sparso, le prove inconfutabili che documentano la presenza di Cristiani a Pompei. Qui, come ad Ercolano (ricordiamo la famosa croce sull’intonaco, simbolo del cristianesimo, che da adito a lunghe discussioni), Stabia (anche se si tratta qui di una “traccia ebraica”, non ci si trova di fronte a racconti, o a riferimenti a chi ha visto o sentito qualche cosa, come accade di leggere in testi riguardanti altre realtà, certamente anch’esse valide. Non si tratta di rinvenimenti di anfore, tegole, lucerne con monogrammi vari e simboli cristiani, la cui produzione può essere stata effettuata anche in altre province o regioni. Ci troviamo ora, per la prima volta, di fronte a documenti tracciati prima del 79. Infatti, mentre in tutte le altre città, compresa Roma, le tracce coeve, sicuramente esistenti, sono andate distrutte durante i secoli, i “segni del cristianesimo” a Pompei, Stabia, Ercolano, ecc., sono stati coperti dalla catasrofica eruzione del Vesuvio e conservati, fino a noi, sotto una pesante coltre di cenere e lapilli.

(9) P. Paquius Proculus, era un duumviro, cioé uno dei due cittadini eletti che componevano il duumvirato (magistratura competente per giudicare i delitti di alto tradimento, sia come attentato contro la sicurezza dello stato, le sue istituzioni, il suo capo, i concittadini, sia come intelligenza con il nemico esterno, diserzione, sconfitta subita per cattiva direzione, lesa maestà, ecc. era una carica molto importante. La casa di Proculus era ricca di decorazioni molto belle e interessanti, di mosaici, marmi, bronzi. In questa casa, su di un pezzo di intonaco del peristilio, si lesse il crittogramma.

(10) Monumentale costruzione con cinque porte di ingresso , con una grande area circondata da portici. Attiguo all’Anfiteatro, veniva anche utilizzato come rifugio degli spettatori in caso di pioggia. Il complesso fu utilizzato come Piazza d’Armi delle Milizie, come Campo Sportivo della Juventus Pompeiana, come parco di passeggio, mercato di gladiatori, area per la leva militare, e perfino, dopo varie trasformazioni, a scuole elementari all’aperto. Qui, di fronte al Sacello (tempietto dedicato ad un Nume), sulla superficie di una colonna del portico furono incisi, un saluto ad un tale Sautranus, e tre simboli: il “Crittogramma del Pater Noster”, il motto “A – N – O”, e le lettere “S – “ col valore di Sancta Trinitas, come afferma il Della Corte.

(11) Nocera I., corrisponde a Nuceria Alfaterna, antichissima città, di origine italica, occupata dai romani (307 a. C.), danneggiata da Annibale (216), poi da Silla. La città esercitò sempre grande influenza politica e commerciale su tutta la piana sarnese, e, trovandosi al centro, costituiva la principale via di collegamento con altre regioni. Prima che la Campania fosse conquistata dai Romani, le città di Nocera, Sorrento, Stabia, Pompei erano unite in una confederazione con capitale Nocera, unica con potere di battere moneta. Dopo le guerre sannitiche, Stabia, insieme con Napoli, Ercolano, Pompei, Sorrento, Nola, Avella, Nocera, fu una città federata, civitas foederata, di Roma, come afferma, tra gli altri, il Beloch. Anche la vasta pianura del Sarno, fu soggetta alle invasioni dei Vandali e dei Goti e fu teatro della sanguinosa battaglia greco-gotica che lasciò le popolazioni stremate e decimate al punto che mai, forse, nella nostra storia, si é avuto un così basso indice demografico. Il territorio tra Stabia e Angri, anzi, assistette all’ultimo crudele scontro tra i Greci comandati da Narsete e i Goti guidati dal valoroso Teia che qui trovò la morte. Il ricordo di quel fatto militare rivive nel nome di Pozzo dei Goti, a pochi chilometri da Stabia, che é rimasto ai luoghi in cui si svolse la decisiva battaglia.

(12) E’ stato detto che Stabia s’é trovata in una posizione ideale per mantenere contatti con tutto il mondo antico a quei tempi conosciuto. Forse era una “Statio Navalis”, base di appoggio di Miseno (?), Nuceria (?) che dall’interno, avevainteresse per la città portuale più vicina anche per il trasporto di merci.

(13) La “Tavola”, prende il nome dell’antiquario e umanista bavarese Konrad Peutinger, che nel 1591 fece pubblicare due frammenti della tavola peutingeriana, cioé di una carta itineraria militare romana risalente forse al III secolo. La “tabula”, eseguita nel 1264, é composta da dodici fogli, é lunga m. 6,83 e larga m. 0,34. Può essere considerata il prototipo delle antiche carte-guida. Il segmento in cui sono incluse anche le zone della Campania é il numero sei.

(14) Si tratta di una colonna in pietra di Tivoli dell’anno 121-22 di Cristo, con l’iscrizione, incisa con grandi lettere, racchiusa in una cornice scanalata. Questa colonna, dice il De Rossi, era situata nella via costruita dall’imperatore Adriano, posta all’XI miglio da Nocera Inferiore. Questa città, attualmente, corrisponde a Nuceria Alfaterna, antichissimo sito d’origine italico, occupato dai romani (307 a. C.), distrutta da Annibale (216), poi da Silla. Anche oggi Nocera, che esercito sempre grande influenza politica e commerciale su tutta la pianura sarnese, costituisce la principale via di collegamento tra la Campania, la Calabria e la Basilicata. Va aggiunto che, prima che la Campania fosse conquistata dai Romani, le cittadine di Nocera, Sorrento, Stabia, Pompei, erano unite in una confederazione. La capitale era Nocera, situata in posizione strategica, ed unica a battere moneta.

(15) Il sarcofago con l’importante scultura, fu posta sotto l’altare di San Catello, dove ancora si trova. Lo stile è certamente del terzo secolo, della tipica serie delle immagini del cristianesimo

(16) Infatti, bisogna pensare che la popolazione non era così numerosa, e un fatto nuovo, una notizia, incuriosiva e richiamava schiere di persone disseminate in case coloniche e capanne nelle grandi pianure e sulle fasce collinari e montane.

(17) In effetti il sistema adottato dal Cosenza ha consentito per molti anni, sia a studiosi, sia a persone interessate alla collezione, di poter individuare i “pezzi” e la loro collocazione.

18) L’area circostante è stata per lungo tempo interessata da lavori vari (sistemazione condutture, scavi per reti elettriche, ecc.), e si trova anche a pochi metri dal nuovo episcopio. Molti dei reperti archeologici raccolti, furono studiati dall’archeologo G. Battista De Rossi, che venne a Castellammare su invito del sindaco del tempo, Nicola Scherillo. Il De Rossi, nel suo “Bollettino di Archeologia Cristiana”, dopo aver auspicato di “aprire la via all’accurato esame topografico ed archeologico-storico del cimitero cristiano di Stabia” (1879 !), aggiunge che esso “…non é un sepolcreto speciale di famiglia, nè una qualsivoglia parte di antica necropoli, nella quale a monumenti pagani sieno contigui o sovrapposti e succeduti alcuni avelli cristiani. La varietà dei nomi e cognomi è sufficiente indizio di cimitero comune dei fedeli; alcune lapidi pagane quivi trovate nel 1877 servivano anch’esse di materiale da costruzione delle arche sepolcrali; la posizione topografica del sepolcreto, che coincide appunto col suolo tuttora sacro al culto cristiano e sotto la cattedrale, non é fortuita. L’insigne scoperta ci rivela l’antica area Christianorum di Stabia ed il suo coemeterium. Ho detto area; imperocchè le notizie fornitemi sul luogo dicono soltanto di arche marmoree o fabbricate in piano, non di ipogeo nè di loculi incavati nelle pareti. Il suolo littorale e prossimo al mare conferma qui, come in Ravenna, la condizione del cimitero in area all’aperto cielo; quali dalla storia ci sono designate le areae Christianorum dell’Africa…”.

Per quanto riguarda l’area dei ritrovamenti, che costituiscono comunque un punto fermo, almeno fino ad oggi, per assegnare una datazione alle diverse epoche della storia locale, va ricordato che, completati i lavori delle fondamenta, si sistemò alla meglio lo sbancamento, si aprirono due bocche a scivolo per il passaggio di luce e aria, e tutto fu abbandonato. Da una botola si poteva scendere, forse per ispezionare di tanto in tanto le murature, tale botola successivamente fu chiusa. Oggi, per accedere a questa zona sottostante la Cappella di san Catello, sacrestia e parte circostante, bisogna servirsi proprio di questo piccolo vano – finestra (bocca di lupo).

Oggi, moltissimi reperti provenienti dallo scavo eseguito nell’area sottostante il duomo, raccolti prima nella sala capitolare, poi, nel 1964, nell’Antiquarium Stabiano (chiuso dal 1997), hanno trovato posto nel Museo Diocesano ubicato nella piazza a poca distanza dal Duomo.

di Antonio Ziino

Redazione

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