Quasi un secolo dall’assassinio Matteotti, tragedia del passato e monito per il futuro
96 anni dall’assassinio Matteotti: ricordare per vigilare
Il 10 giugno 1924, 96 anni fa, veniva barbaramente trucidato, da una squadraccia fascista, il deputato socialista Giacomo Matteotti. La sua “colpa” era di aver tenuto, il 30 maggio, un memorabile discorso alla Camera, nel quale denunciava coraggiosamente i brogli eletteroli consumati nelle elezioni dell’aprile precedente ed il clima di vilolenza e di intimidazione nel quale si erano svolte. L’emiciclo, occupato per due terzi da deputati fascisti, rumoreggia ma percepisce che i socialisti si preparano per una opposizione inflessibile e netta. “La nostra resistenza al regime dell’arbitrio dev’essere più attiva, non bisogna cedere su nessun punto, non abbandonare nessuna posizione senza le più decise, le più alte proteste “, aveva scritto il “nostro” in una precedente lettera a Turati ed il discorso tenuto quel giorno alla camera, nel tono e nei contenuti, rispecchiava questa impostazione.
Mussolini stesso, deve averlo percepito che quel discorso era un “manifesto” che annunciava lo stile che l’opposizione si preparava ad adottare e, da par suo, il 31 maggio, giorno successivo al discorso di Matteotti, risponde dalle colonne del giornale il “Popolo d’Italia” che la maggioranza fascista era stata fin troppo paziente con l’opposizione. Pertanto la mostruosa provocazione del deputato Matteotti meritava “qualcosa di più concreto”, di una semplice risposta verbale.
Tipico linguaggio in codice da decodificare. Se per argomentare le parole non bastano, cosa resta? I fatti. La violenza. È l’unico linguaggio che quel regime conosceva ed adottava, con cinica consapevolezza e con scientifica metodicità.
E così puntualmente avvenne. Dieci giorni dopo una squadraccia di fanatici violenti, in pieno centro di Roma, ed alla luce del giorno (sono le ore 16) rapisce il deputato Giacomo Matteotti, nel mentre a piedi si sta recando a Montecitorio a fare il suo dovere di parlamentare.
Egli nelle settimane precedenti, oltre al vibrato discorso del 30 maggio, stava lavorando ad un dossier che probabilmente avrebbe presentato alla Camera proprio quel giorno. Aveva raccolto documentazione a sufficienza per accusare Mussolini ed il Re Vittorio Emanuele di intascare tangenti e mazzette da parte di una multinazionale americana – la Sinclair Oil – per poter trivellare il sottosuolo di Sicilia alla ricerca del petrolio e per altri progetti similari in Libia (allora possedimento italiano).
Vien da pensare che, più che il discorso alla Camera, sarebbe stato questo siluro politico che avrebbe gettato discredito sul governo e sulla corona. Quindi Matteotti andava fermato ad ogni costo. E così fu. Egli viene caricato su una macchina ( che poi si saprà appartenere a Filippo Filippelli direttore del giornale “Corriere Italiano”), picchiato ed accoltellato al torace, quindi con chiaro intento di ucciderlo. In serata il cadavere verrà sotterrato alla meglio nella campagna romana, dove verrà casualmente ritrovato solo a metà agosto.
Le indagini riescono ad identificare gli assassini e ad arrestarli. Ma i giudici che indagano vengono rimossi dall’incarico ed in seguito trasferiti dalla capitale. La volontà di mettere la sordina ai fatti per circoscrivere il danno di immagine che ne derivava al governo era più che evidente.
Il partito socialista denuncia chiaramente, questi atteggiamenti del governo che si avvia, ormai, a diventare regime e pubblica una nota che, tra l’altro, afferma : «L’autorità politica assicura solerti indagini per consegnare alla giustizia i colpevoli, ma la sua azione appare totalmente investita dal sospetto di non volere, né potere colpire le radici profonde del delitto, né svelare l’ambiente da cui i delinquenti emersero».
E la parabola politica si conclude nel gennaio successivo, quando Mussolini, in un famigerato discorso alla Camera, afferma che il fascismo è “una passione superba della migliore gioventù italiana”, e che lui in persona “assume, lui solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto” nei mesi passati. E poi, rincarando la dose, aggiunge “State certi che entro quarantott’ore la situazione sarà chiarita su tutta l’area”.
In nottata i prefetti di tutta Italia ricevono ordini di imbavagliare la libera stampa e di vigilare col pugno di ferro su circoli culturali, associazioni e sodalizi vari che potessero costituire – a vario titolo – turbamento dell’ordine pubblico. Inoltre, era conferito loro il potere (arbitrario) di avvalersi del fermo di polizia temporaneo per tutti gli oppositori politici.
La dittatura era apparecchiata e gli italiani se ne potevano servire; portate principali offerte ai commensali: manganelli ed olio di ricino. Un banchetto durato venti lunghi anni, del quale conviene sempre fare memoria. Per evitare che nelle difficoltà – economiche e sociali – di questi mesi (e dei mesi che seguiranno), qualcuno sia tentato di provare la scorciatoia dell’uomo forte al comando. Che risolve i problemi, decidendo per tutti.
Dio non voglia!
Matteotti pagò con la sua vita questo impegno civile di denuncia. A lui va il nostro grato ricordo e la riconoscenza per l’esempio eroico che ci ha donato.
A noi non si chiedono atti di eroismo, ma solo impegno civico di vigilanza, a che la democrazia, pur con tutti i suoi problemi e difetti, continui a funzionare, facendo sventolare alta la bandiera della libertà e della dialettica animata dal libero pensiero. Possibilmente con meno beghe da lavandaia, tra i vari leader politici. Ma questo è pretendere troppo, ce ne rendiamo conto. Però ci abbiamo provato a dirlo lo stesso. Sommessamente. Chissà…
Lascia un commento