Si dimette il segretario dell’Assessore Regionale Siciliano all’agricoltura. Per i Magistrati era l’amico di un boss.
span style="font-size: 14pt;">Franco Mineo è un ex deputato del “Partito della Libertà” (fondato il 29 marzo 2009 dall’unione dei due principali partiti di centro-destra presenti in Italia dal 1994: Forza Italia di Silvio Berlusconi e Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini), iscritto poi al Gruppo “Grande Sud” (fondato il 14 luglio 2011 Gianfranco Micciché attuale Presidente dell’ARS e commissario in Sicilia per Forza Italia). Nell’attuale Governo Regionale di centro destra, Franco Mineo era segretario dell’Assessore regionale all’Agricoltura Edy Bandiera.
A marzo 2019 Franco Mineo era stato condannato in primo grado a otto mesi di reclusione, pena sospesa in attesa dell’appello, insieme ad altri 16 imputati a pene comprese tra gli 8 mesi e i 10 anni e 10 mesi di carcere, nel processo ‘Agorà’, nato da un’inchiesta del 2015 della Procura di Palermo che ipotizzò i reati di corruzione elettorale aggravata, malversazione, millantato credito e peculato.
In precedenza in un altro processo era stato condannato a 8 anni e 6 mesi. Ma poi in Appello nell’ottobre 2018 i reati contestati erano andati tutti prescritti. La Corte d’appello di Palermo non ha riconosciuto l’aggravante di avere agevolato Cosa nostra imputata all’ex parlamentare e ha pertanto dichiarato il non doversi procedere per intervenuta prescrizione per l’accusa di intestazione fittizia di beni. L’altro reato contestato, il peculato, è stato derubricato in peculato d’uso e, pure questo, dichiarato prescritto.
Mineo oggi segue la carriera politica del figlio Andrea, eletto nel 2017 nelle fila del centrodestra in consiglio comunale a Palermo con circa 1.500 preferenze, per lo più arrivate dai seggi dell’Arenella.
Pochi giorni addietro, il 17 febbraio, nell’ambito dell’operazione “White Shark”, il boss palermitano dell’Arenella. Gaetano Scotto, è stato arrestato con l’accusa di associazione mafiosa, Tra l’altro durante l’interrogatorio di garanzia davanti al Gip ha dichiarato che prendeva il Reddito di Cittadinanza. L’inchiesta che lo coinvolge, coordinata dalla DDA di Palermo, ha portato in cella pure altri otto mafiosi del clan dell’Arenella guidati, secondo gli Inquirenti, proprio da Scotto. Il capomafia Scotto, coinvolto nell’indagine sulla strage di Via D’Amelio, era stato scarcerato nel 2016. Scotto, infatti, è una delle dieci persone accusate ingiustamente, dall’allora finto pentito Vincenzo Scarantino, della strage Borsellino e adesso parte civile nel processo sul depistaggio che è in corso a Caltanissetta. Ma secondo i Magistrati, dopo la scarcerazione sarebbe tornato a guidare la famiglia mafiosa dell’Arenella.
La Dia mette nero su bianco come Scotto avrebbe effettuato il controllo delle attività commerciali con le estorsioni. Emerge tuttavia un quadro nuovo, con il racket non necessariamente imposto con la forza; alcuni commercianti sono risultati emblematici di una particolare categoria di soggetti, che sono allo stesso tempo vittime e fiancheggiatori del potere mafioso, difatti avrebbero pagato senza imposizioni, per ingraziarsi il superboss Gaetano Scotto, ritenuto dagli investigatori pure il trait d’union tra la mafia e i servizi segreti deviati.
Scotto è pure indagato per l’omicidio dell’agente di polizia Nino Agostino e della moglie Ida insieme al boss Nino Madonia. Nei giorni scorsi il Procuratore generale Roberto Scarpinato, ha inviato un avviso di chiusura indagine, che prelude a una richiesta di rinvio a giudizio. Agostino e la moglie furono assassinati davanti alla loro casa di villeggiatura a Villagrazia di Carini la sera del 5 agosto 1989. In questi 31 anni l’inchiesta si è dovuta confrontare con molte ombre e con tentativi di depistaggio contro i quali si è battuto il padre di Nino, Vincenzo Agostino. Scotto ha sempre negato di appartenere alla mafia e di essere coinvolto nell’omicidio di Villagrazia di Carini.
Del boss Gaetano Scotto Vivicentro se ne era occupato anni addietro “26 Febbraio 2016 Delitto Agostino, all’Ucciardone confronto all’americana fra il padre dell’agente ucciso e “faccia da mostro” e poi ancora in “3 Agosto 2017 Strage di Bologna : «Le mele marce dello Stato» e lo struggente racconto dei coniugi Agostino”.
Ora, negli atti dell’arresto del boss dell’Arenella Gaetano Scotto e di altri membri del clan, emergono anche le frequentazioni pericolose di Franco Mineo l’ex forzista e attuale segretario dell’Assessore regionale Bandiera. Ai rapporti fra Mineo e gli Scotto il Gip Roberto Riggio dedica un capitolo, breve ma ricco di episodi, dell’ordinanza di custodia cautelare. Un condensato di spunti che conferma un legame quasi ventennale fra il politico e la famiglia dell’Arenella. Un rapporto che secondo i Sostituti procuratori Amelia Luise, Laura Siani e l’aggiunto Salvatore De Luca non si è interrotto nemmeno durante la latitanza di Gaetano Scotto.
Il boss Scotto infatti è stato intercettato mentre parlava con la sorella, raccontando di come Franco Mineo e Pietro Magrì (a giugno del 2019 condannato a otto anni anche in Cassazione con altri cinquantasette tra boss, estortori e gregari mafiosi) lo avessero raggiunto nel suo nascondiglio nel nord Italia dove trascorreva la sua latitanza e come i due fossero molto preoccupati per la loro incolumità. Mineo e Magrì, nel racconto di Scotto, dicono al boss di temere per la sua vita in quanto qualcuno, non gradendo “la gestione” della famiglia, “aveva promesso loro bastonate”. Mineo avrebbe anche fatto ottenere alcuni contratti alla Fiera del Mediterraneo ad Angela Rossi, nipote di Scotto. E poi alla vigilia delle elezioni comunali del 2017, candidato il figlio Andrea, parlava con Scotto di bandi per assunzioni. Il figlio Andrea Mineo, che è anche coordinatore dei giovani di Forza Italia in Sicilia, fa parte dello staff dell’assessorato ai Beni culturali retto ad interim da Musumeci.
Ma la presunta protezione data a Mineo da Scotto per gli inquirenti è solo una tessera del mosaico delle relazioni pericolose fra i due. Per la famiglia Scotto Franco Mineo è anche una sorta di ufficio di collocamento. Al politico vengono chiesti posti di lavoro per familiari e affiliati: un impiego alle Poste per la nipote di Gaetano Scotto, un lavoro per il braccio destro Paolo Galioto (in un’agenzia di sicurezza con tanto di corso per l’utilizzo delle armi da fuoco), altri contratti a tempo determinato alla Fiera del Mediterraneo. Tutto nel segno dell’amicizia, degli abbracci e delle strette di mano, ripresi dalla Dia nei moltissimi incontri fra gli Scotto e Mineo. La contropartita? Secondo gli inquirenti pacchi di voti da gestire nelle diverse tornate elettorali.
La Dia nel maggio 2017, a poche settimane dalle elezioni comunali di Palermo in cui era candidato il figlio Andrea Mineo, intercetta due incontri fra Franco Mineo e Gaetano Scotto, di buon mattino nella stradina dove Scotto dà di norma gli appuntamenti. Mineo ci va in bicicletta e informa il boss di un nuovo bando per un lavoro che sarebbe stato pubblicato a breve. Scotto raccomandava al politico di attivarsi per la nipote che lavora in un call center in crisi. Mineo assicura il sostegno e subito cambia argomento sottolineando come il figlio Andrea potrebbe avere ottime probabilità di essere eletto in sala delle Lapidi (ove si tengono le riunioni del Consiglio Comunale di Palermo a Palazzo delle Aquile o Palazzo Pretorio). Nessuna richiesta, nessun reato, solo un’altra conversazione pericolosa.
Sul segretariato in assessorato di Franco Mineo sono intervenuti con una nota i deputati del M5S all’Ars “L’ex deputato Mineo non può continuare ad occupare ruoli chiave alla Regione, Musumeci anche questa volta non si volti dall’altro lato e si faccia sentire. Mineo non sarebbe indagato per questi fatti, ma è più che evidente che comportamenti gravissimi come questi non possono essere per nulla compatibili con la permanenza ai piani alti dell’amministrazione regionale, specie se a ciò si aggiunge che su Mineo pende pure una condanna in primo grado per corruzione elettorale, con la, per niente gradevole ciliegina, dell’inibizione dai pubblici uffici. Registriamo con soddisfazione che qualche politico su questo caso, a differenza di quanto avvenuto per il caso Savona, abbia ritrovato la voce. Speriamo che la trovi anche il presidente della Regione, che finora ha brillato per il suo assoluto e inopportuno silenzio, guardandosi bene, assieme a tutti i partiti, dal proferire parola sulla permanenza di Savona, accusato di truffa, al timone della commissione Bilancio, la più importante dell’Ars”.
Sulla questione era intervenuto anche Il deputato del PD Antonello Cracolici “E’ il caso che Mineo faccia subito un passo indietro, o che qualcuno a Palazzo d’Orleans glielo faccia fare, la politica certe volte ha bisogno di gesti forti al di là del garantismo. Mineo ha un incarico fiduciario da parte dell’assessore e occorre tenere conto delle vicende emerse in queste ore anche per rispetto dell’opinione publbica. Il silenzio di Musumeci e di tutti gli assessori e responsabili politici del centrodestra la dice lunga sulla debolezza di certa politica. Nel caso di Mineo, poi, è già grave che un condannato in primo grado per corruzione elettorale venga nominato negli staff della Regione”.
Il Presidente della Commissione Regionale Antimafia Claudio Fava ha evidenziato come sia “Possibile che uno che per i Pm ha rapporti abituali con i boss svolga una funzione dirigenziale alla Regione? Lo chiedo a Musumeci e a Bandiera, del quale non voglio discutere la buona fede, ma qui, al di là di quelle che saranno le conclusioni dell’inchiesta, siamo di fronte a evidenze molto gravi sul piano politico. Decoro vorrebbe che questo signore venisse rimosso subito dal suo incarico”.
Infine è intervenuto anche il Presidente della Regione Siciliana Nello Musumeci con un comunicato sulla vicenda di Franco Mineo “Ho richiamato più volte, in passato, gli assessori regionali circa la necessità di vigilare sul personale – interno ed esterno – chiamato a operare negli Uffici di diretta collaborazione. L’egoismo dei partiti non può e non deve essere premiato a danno della rigorosa selezione, innanzitutto morale, nella scelta dei collaboratori negli uffici pubblici. Sono certo che su questo tema non sarà più necessario un ulteriore mio richiamo al senso di responsabilità di ognuno”.
E dopo questa nota del Presidente della Regione siciliana Nello Musumeci, che invitava gli assessori a vigilare sulla scelta dei propri collaboratori, Franco Mineo, ritenuto dalla Procura di Palermo amico di un boss, si è dimesso dalla segreteria dell’assessore regionale all’Agricoltura Edy Bandiera.
Nell’immagine di copertina la sede dell’assessorato regionale all’Agricoltura.
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