Di Maio shoc: strappa la legge Severino

La legge Severino non regge alla prova in Parlamento. Pd e Forza Italia salvano Augusto...

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La legge Severino non regge alla prova in Parlamento. Pd e Forza Italia salvano Augusto Minzolini che resta in carica come senatore dopo la condanna a due anni e mezzo per peculato. Il voto scatena la reazione del M5S che parla di «voto di scambio» fra Renzi e Berlusconi. Luigi Di Maio strappa il testo della legge e afferma che «adesso si rischiano reazioni violente».

Il Pd salva Minzolini, Di Maio choc

Respinta la decadenza del senatore condannato per peculato. Lui: mi dimetto comunque. Il deputato M5S strappa il testo della legge Severino: «Poi non lamentatevi della violenza»

ROMA – Nessuno scommetteva un cent sulla sorte di Augusto Minzolini. Alla vigilia sembrava quasi certo che il Senato lo avrebbe cacciato per via della condanna definitiva a 2 anni e 6 mesi (abuso della carta di credito Rai quando era direttore del Tg1). Invece l’Aula di Palazzo Madama ha rovesciato il pronostico, con una decisione che travalica di molto la sorte dell’esponente berlusconiano. Si fa largo il principio secondo cui le sentenze della magistratura non sono meccanicamente applicabili ai membri del Parlamento, come vorrebbe la legge Severino sulla decadenza (e l’incandidabilità) dei condannati: occorre che non ci siano sospetti di manipolazione. Nel caso in oggetto, 19 senatori Pd hanno annusato tracce di «fumus» persecutorio, altri 20 si sono astenuti. Grazie a loro, la bilancia si è spostata dalla parte di “Minzo”. E subito si è scatenato l’inferno.

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I grillini non credevano ai loro occhi: mai si era materializzata un’occasione così ghiotta di mettere tutti nello stesso mazzo, da Renzi a Berlusconi passando per Lotti e, appunto, Minzolini. Sullo slancio sono andati parecchio in là. Davanti alle telecamere, Luigi Di Maio ha fatto teatralmente a pezzi una fotocopia della Severino: «Ora non esiste più, fate prima a riaprire le patrie galere». E poi, con un linguaggio incendiario: «Non vi lamentate se i cittadini vengono a manifestare in maniera violenta». Quasi una giustificazione preventiva. Addirittura il blog di Grillo ha pubblicato i nomi dei sostenitori di Minzolini, mettendoli nel mirino peggio che in una pubblica gogna. Compresi personaggi di spessore come Pietro Ichino, Luigi Manconi , Mario Tronti, Giorgio Tonini e perfino Rosaria Capacchione, cronista giudiziaria costretta a vivere sotto scorta per le minacce della camorra.

Il caso Berlusconi  

Paradossale la convergenza di giudizio tra la Taverna (M5s) e Brunetta (Fi): a questo punto sarebbe logico che tornasse in Senato pure Berlusconi, che ne fu espulso nel nome della legge Severino. Non si arriverà a tanto, ma il voto di ieri marca effettivamente una svolta. «Si apre il tema di un nuovo rapporto tra politica e magistratura», coglie il vento nuovo Bonaiuti, già portavoce del Cav ai tempi d’oro. Basta con il finto ossequio alle Procure, iniziato da Tangentopoli, si valuti caso per caso: i 19 senatori Pd pro-Minzolini considerano eccessivo che a condannarlo in appello, aumentandogli la pena rispetto alle richieste degli stessi pm, fosse stato un giudice molto impegnato a sinistra, tanto da essere eletto prima alla Camera e poi in Senato, salvo rientrare poi nei ranghi della magistratura (la legge lo consente, ma chi si farebbe giudicare da un avversario?). È un punto su cui Minzolini, abilmente, ha battuto nell’auto-difesa. Che forse non sarebbe comunque bastata a salvarlo, se subito dopo non avesse preso la parola una fresca fuoriuscita dal Pd, Doris Lo Moro: così accesa nei toni, talmente scatenata nelle conclusioni da causare per reazione nel suo ex partito un moto di simpatia verso il quasi ex senatore «azzurro». A voto palese è finita con 137 no alla decadenza contro 114 sì. Minzolini ha promesso che lascerà il Senato comunque. Ma dimettersi non è facile. Ci sono tre ex grillini che ci stanno provando da inizio legislatura, e le loro richieste vengono puntualmente bocciate.

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