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Comunali, Napoli: l’errore del voto di scambio e gli zapatisti in salsa campana

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L’analisi. Ora il premier deve indicare i punti decisivi per cambiare il territorio e per selezionare una vera classe dirigente

Napoli. Il Pd che a Napoli non arriva al ballottaggio è un sintomo, certo, ma di un malessere ancora più grande, che non si può confinare soltanto qui. Intanto non è vero che altrove se la passi meglio: basta guardare la mappa del voto in Italia – da Torino a Milano fino a Roma. Lo specifico del Sud, però, è indicativo: perché dove ha vinto il Pd non lo ha fatto muovendo l’opinione ma legandosi alle clientele – manovrando pacchetti di voti. E allora che cosa è successo? Che Renzi e il governo, al Sud, hanno sbagliato tutto: ignorando e rubricando gli allarmi suonati in questi anni.

Durante le primarie, il Pd si era mostrato assolutamente incapace di capire il voto di scambio. Ha poi peggiorato la propria posizione presentandosi con Ala. Cioè alleandosi – con tanto di Verdini presente in campagna elettorale – alla peggiore formazione politica del territorio. Flirtando con ambienti ambigui, eredi del cascame berlusconiano, che peraltro in termini di consenso hanno fatto perdere più di quanto hanno apportato. Anche questa alleanza è sintomo della noncuranza del presidente per il Mezzogiorno d’Italia: Ala è utile a Roma e sull’altare di questa alleanza strategica si può ben sacrificare la terza città d’Italia.
Perché allora Renzi, a Napoli, non ha deciso di rinnovare il Pd? Si è invece nascosto dietro dichiarazioni di massima e promesse fragilissime. Pensando di recuperare il tempo perduto e gli sbagli fatti intensificando negli ultimi tempi la sua presenza: l’ennesima scorciatoia, l’ultimo tentativo di risolvere con un eccesso di immagine i deficit strutturali della sua segreteria, tanti pezzi di un puzzle da dare in pasto ai media ma che rispecchiano una realtà irrimediabilmente frammentata.

Ma non si tratta solo di questo: perché il voto meridionale è anche una ulteriore conferma della furbizia tattica (non strategica) di Matteo Renzi. In fondo – l’hanno già osservato in molti – sembra quasi che il premier volesse perdere. Voleva perdere perché non aveva altro modo di commissariare – come ha annunciato di voler fare solo ieri – il suo Pd. Il problema della impresentabilità non è nuovo: pensiamo alla vicenda di Stefano Graziano, il segretario regionale del Pd coinvolto in una inchiesta dell’antimafia che ipotizza suoi legami diretti con un soggetto ritenuto organico ai clan. E perché allora Renzi arriva a commissariare in tutta fretta soltanto ora? Perché non lo ha fatto quando la campagna elettorale è cominciata con la pantomima delle primarie che pochi volevano e hanno poi condotto a una frattura interna insanabile?

Lo fa adesso perché, come segretario del partito, implicitamente rompe le righe prima del ballottaggio. Se questo Pd finirà per sostenere Lettieri, in fondo la responsabilità non sarà amputabile a Renzi: il voto tracimerà “naturalmente” verso il centrodestra e per nascondere il flusso si dirà che ormai si tratta di un emorragia di truppe. Saranno i capibastone, i traffichini dei voti comprati a poco prezzo a muoversi liberamente nella prateria aperta dal ballottaggio, ognuno provando a vendere il capitale accumulato al primo turno: pacchetti di preferenze neanche lontanamente sfiorati da quel voto di opinione che il Pd ha in tutti i modi, e coscientemente, scoraggiato. Così oggi Renzi commissaria il partito perché teme che Napoli e il Mezzogiorno possano diventare un serbatoio immenso di resistenza alla sua riforma costituzionale: sa bene che gente come de Magistris e Emiliano si sente ormai stretta nei propri avamposti.

Purtroppo per il Pd, la noncuranza del segretario nei confronti di questioni cruciali ha finito per presentargli il conto. Non regge più, alla prova delle urne, neanche lo spauracchio agitato nel corso degli ultimi due anni: se vai contro Renzi, se vai contro questo governo e questo Pd, dai spazio al populismo. È esattamente il contrario. Per come si sono messe le cose oggi, sono stati proprio il comportamento di Renzi e del suo governo a spianare la strada al populismo. Cosa pensava di ottenere il segretario del Pd candidando a Napoli una delle figure più incolori del centrosinistra finito ingloriosamente cinque anni fa? Valeria Valente ha accettato questa corsa a perdere in cambio della ricandidatura alle prossime politiche: altre ragioni non ci sono. Ma il segretario del Pd cosa pensava di ottenere? E cosa pensava di ottenere quando ha costretto la periferia ad ingoiare l’amaro boccone della alleanza con Ala? Sono questi gli errori che hanno aperto la strada al populismo.

De Magistris è adesso pronto a vincere un nuovo ballottaggio catalizzando forze che vanno dall’ex rettore democristiano dell’Università di Salerno, Raimondo Pasquino, alle avanguardie di Hamas a Napoli – sembra incredibile, ma un tema centrale della campagna elettorale napoletana è stata la questione israelo-palestinese. Forze che sembrano già pronte ad andare ciascuna per la propria strada non appena il sindaco, se rieletto, si concentrerà nella campagna elettorale per il no al referendum di ottobre. Il vero paradosso di questi anni è che de Magistris, quando subì la sospensione causa legge Severino, era in crisi piena di consenso: aveva perso per strada tutte le personalità autorevoli che aveva voluto nella sua prima giunta e le promesse mancate già cominciavano a pesare. Quel meccanismo imperfetto però ha finito per costituire la sua più grande fortuna. Gli ha indicato la strada a disposizione di ogni politico spregiudicato dei nostri giorni: essere al governo e all’opposizione allo stesso tempo. De Magistris ha così costruito la sua campagna elettorale praticamente contro se stesso: il sindaco rivoluzionario contro i poteri di lunga data – come a governare fino a ieri non fosse invece stato lui. Tutto ciò che di buono poteva attribuirsi – l’incremento del turismo – lo ha ascritto a sé. Tutto ciò che era opaco lo ha riferito a Roma. Nel suo comizio ha addirittura utilizzato l’immaginario preunitario: “Napoli capitale, Gran Ducato di Toscana dietro”. A tutti è sembrata un’ingenuità. Invece de Magistris in questo modo ha parlato ai tifosi, agli ultrà, perché è questo che ha costruito intorno a sé: un appoggio strappato agli ultimi residuali centri sociali, sfruttati come cinghia di trasmissione per il consenso sui social e come perenne propaganda ideologica. Tra gli elettori, anche quelli più disincantati, è passato con una efficacia formidabile un unico messaggio: “Non ruba”.

De Magistris non aspettava altro e ha meticolosamente programmato una campagna elettorale furba, populista, culmine di una prima sindacatura chiusa con una enorme quantità di deleghe personalmente detenute dal Sindaco, che davvero così delinea una situazione di stampo venezuelano. Per non parlare del consenso che gli arriva dalle associazioni: a Napoli c’è una tale miseria nel terzo settore che tanti, pur di avere un po’ di prebende, cercano di avvicinarsi al sindaco “in fondo onesto, il sindaco che giurà che governerà dalla strada, che realizzerà lo zapatismo in salsa napoletana: la sua “rivoluzione bolivarista””. Programma che genera inquietudine, ma anche tenerezza, nei giorni in cui il Venezuela degli ultimi bolivaristi affronta una delle crisi più severe della sua storia.

Eppure è così che de Magistris ha vinto al primo turno: doppiando gli avversari. E ha vinto a mani basse di fronte al suo avversario vero. E cioè quel Renzi terrorizzato dall’immischiarsi in vicende criminali e complesse, quel Renzi che ha relegato la rinascita politica del territorio alla sola battaglia morale – peraltro persa, poiché molto di facciata: il Pd a Caserta ha stravinto al primo turno ma guardate chi lo rappresenta.

Eppure i segnali, per il segretario democratico, erano arrivati da più parti. Gli erano stati più volte esposti gli errori madornali commessi dal Pd al Sud. Gli era stato spiegato come una classe dirigente incolta e inadatta rischiasse di far implodere il partito. Niente. Quando la lotta alla corruzione diventa una religione ecco che si sta apparecchiando la soluzione migliore perché tutto rimanga così come è.

E adesso? Lo confesso. Io non so darmi una risposta: non so che cosa si possa fare concretamente. Certo: sbandierare ideali da battaglia farebbe finalmente accorrere giovani, e meno giovani, risvegliando passioni sopite e grandi progetti. Ma non è questa la strada. Bisogna porsi domande autentiche perché alle domande autentiche non si può che rispondere con la verità. Bisogna iniziare a essere umili: realizzare che bisogna ripartire piano, un passo alla volta, con progetti concreti piuttosto che con grandi propagande. Senza grancassa. Non cedere a chi sostiene che raccontare le contraddizioni significhi diffamare. Bisogna ricostruire. Bisogna convogliare il meglio del Paese e non continuare a dividere il mondo tra “i propri uomini” e tutti gli altri.

Sì, il Sud è al collasso, tranne piccole felici eccezioni. È inutile fingere di non vedere. Il suo collasso si vede nella rabbia rivolta verso chiunque abbia un po’ di visibilità. Ecco perché Renzi dovrebbe fare mea culpa sugli errori che sta commettendo al Sud. Basta con la politica dell’apparire: senza una trasformazione reale la bolla della “narrazione” tanto cara al premier finirà per scoppiare. E non ci si può nascondere dietro un dito sostenendo che il cambiamento è rallentato da tempi troppo lunghi.

Il segretario del Pd dica ai napoletani che adesso non si può votare per Lettieri. Dica che è stato un errore allearsi con Ala. Prenda posizione. Sappia indicare pochi e decisivi punti su cui cambiare il territorio. A cominciare dai criteri per la selezione di una vera classe dirigente e lasciando perdere le mogli, i figli e i fratelli di chi ha fallito. Lo faccia – e lo faccia presto. Sì, fate presto: se potete

vivicentro.it/sud/opinioni – repubblica/Comunali, Napoli: l’errore del voto di scambio e gli zapatisti in salsa campana ROBERTO SAVIANO

Alla ricerca del Pd perduto

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Al partito serve l’anima, non l’uomo solo al comando. È andato a votare per il Pd il corpo stanco del partito, mobilitando ciò che resta dell’apparato e i gruppi d’interesse intorno ai candidati

IL BUON VECCHIO “che fare?” dopo aver perseguitato la sinistra da più di cent’anni oggi dovrebbe modestamente essere aggiornato così: che fare del Pd? La domanda è sul tavolo del presidente del Consiglio o almeno ronza nelle sue orecchie, visto che è anche il segretario di quello che momentaneamente è il maggior partito italiano. Dire “non siamo soddisfatti del risultato” (usando per la sconfitta il plurale, dopo una vita vissuta al singolare) non basta più. Non basta oggi, soprattutto, quando in nessuna delle grandi città al voto il Pd è riuscito ad eleggere un suo sindaco al primo turno, quando a Napoli è addirittura fuori dal ballottaggio e a Roma è distanziato dai grillini che lo insidiano persino a Torino, mentre nella vera capitale politica del voto – Milano, dove si giocava l’esperimento renziano più ardito – la destra resuscita miracolosamente appaiando al primo turno il candidato cui è stata affidata l’eredità vincente di Pisapia cambiando base sociale, profilo culturale, paesaggio politico.

Ripetiamo oggi le cose che scriviamo da mesi: il corpo stanco del partito è andato a votare, mobilitando ciò che resta dell’apparato, i gruppi d’interesse che si muovono attorno ai candidati e quello strato di pubblica opinione che non si rassegna a rimanere spettatore della politica, e che continua a investire sulla tradizione della sinistra italiana, seguendola nelle sue varie trasformazioni, per un senso di appartenenza a una storia più che alla cronaca attuale e per una testimonianza di valori che hanno contribuito a costruire la civiltà europea e occidentale così come la conosciamo. Ma l’anima, come dicevamo il giorno dopo il flop delle primarie, è rimasta a casa, ed è difficile ritrovarla dopo averla smarrita per noncuranza. Come se un partito fosse soltanto un riflesso del governo e come se vivesse di performance invece che di interessi legittimi, di improvvisazioni estemporanee invece che di tradizioni e progetti, di ottimismo come ideologia invece che come promessa ragionevole in un discorso di verità rivolto al Paese.

Non è certo un deficit di leadership quello che oggi pesa sul risultato elettorale: Renzi è un leader molto attivo e presente ovunque, soprattutto sulle reti televisive, ha il coraggio della sfida in prima persona e dà ogni volta l’impressione di giocarsi l’intera posta sulle questioni che deve affrontare per cambiare un Paese bloccato da cautele democristiane per troppi anni, e ancor più irrigidito dalla ruggine di una crisi economico-finanziaria senza fine. Il deficit, evidentissimo e da lungo tempo, è di identità. Renzi ha scalato il partito non tanto per usarlo come un soggetto culturale e politico della trasformazione italiana, ma come uno strumento indispensabile per arrivare alla guida del governo. Giunto a palazzo Chigi, ha mantenuto la segreteria del Pd per controllare la sua massa politica di manovra e di voto, ma dando l’impressione di non saper più che farsene. Soprattutto, di non aver l’ambizione di guidarlo, ma soltanto di comandarlo. Ma i partiti, persino in questi anni liquidi, chiedono in primo luogo di essere rappresentati, e non soltanto indossati, perché non sono dei guanti.

Il problema della rappresentanza comporta prima di tutto un atto di responsabilità di fronte alla storia che ogni partito consegna al leader temporaneamente alla guida. Bisogna avere il sentimento delle generazioni che passano, dei lasciti e degli errori, per caricarsi del peso della memoria rispettandola, sapendo che una forza politica è un soggetto collettivo che raccoglie intelligenze ed esperienze diverse, fuse in una tradizione comune che tocca legittimamente al leader impersonare secondo la sua cultura, il suo carattere e la sua personalità. Tutto questo cozza contro l’aspirazione di Renzi a presentarsi come un uomo nuovo, una sorta di “papa straniero” della sinistra italiana? No se si ha il modello di Blair, di Valls, di Clinton, che innovano la politica rispettando storia, valori, tradizione. Diverso è se si pensa che la fonte battesimale del nuovo potere sia la rottamazione non della vecchia politica ma delle persone e delle loro storie, quasi come se una ruspa domestica (esclusivamente contro i tuoi compagni) potesse diventare il vero emblema della sinistra e l’avvento di un leader non fosse l’inizio di una delle tante stagioni politiche che si avvicendano ma un religioso, settario Anno Zero.

La domanda che ripetiamo da tempo è proprio questa: Renzi ha coscienza di far parte di una storia che ha tutto il diritto di innovare, anche a strappi e spintoni, ma che gli è stata consegnata come un patrimonio di testimonianza repubblicana, civile, democratica (insieme ad altre storie politiche concorrenti: e a molti errori) perché venga riconosciuto, aggiornato, arricchito e riconsegnato vitale a chi verrà dopo di lui? Questo è ciò che contraddistingue un partito rispetto ad un gruppo di potere e d’interesse, e distingue la leadership dal comando. Una forza come il Pd non si può amministrare nei giorni dispari e nei ritagli di tempo, né può essere affidata a funzionari delegati a funzioni da staff. Ha bisogno di vita vera, di uscire da quei tristi incunaboli televisivi del Nazareno, di prendersi qualche rischio di pensiero autonomo e di libera progettazione, per aiutare il governo e soprattutto se stesso, parlando al Paese. E’ difficile capire, al contrario, perché un politico ambizioso come Renzi si accontenti di guidare metà partito, rinunciando a rappresentare l’intero universo del Pd, che unito potrebbe essere ancora – forse – la spina dorsale del sistema politico e istituzionale italiano. C’è in questo uno spirito minoritario da piccolo gruppo eternamente spaventato, una cultura da outsider che non riesce a diventare maggioranza nemmeno quando ne ha i numeri in mano, e preferisce affidarsi a un microsistema variopinto di intrecci locali e amicali che per ogni incarico lo spingono a cercare il più fedele dei suoi uomini piuttosto che il migliore d’Italia. Con un misto di localismo e velleitarismo che può portare all’imprevedibile, come quando il renziano Nardella proclama “la morte della socialdemocrazia”: che ha tanti guai, naturalmente, ma ha anche il diritto di non finire in mano a diagnostici improvvisati e sproporzionati alla sua storia.

Questi limiti del renzismo sono fortemente ricambiati, a piene mani, dall’ostilità preconcetta, quasi ideologica della minoranza interna, che continua a considerare nei fatti il leader come un abusivo, anche se ha legittimamente vinto le primarie per la guida del partito, così come era stato legittimamente sconfitto in precedenza da Bersani. Una minoranza che se possibile ha il respiro ancora più corto. Perché non ha un’alternativa, non ha un leader e soprattutto non ha una proposta politica concorrente, in particolare sulle grandi questioni di cultura politica su cui Renzi è più debole: limitandosi ad un gioco meccanico di interdizione che apre continui trabocchetti parlamentari ma non porta un contributo d’idee capace di impegnare il Premier, di aiutarlo nel governo, parlando così alla base del partito e al Paese. Entrambi i soggetti – il leader, la minoranza – si muovono come se non avessero più un tetto in comune, un orizzonte di riferimento. Quella cosa che altrove in Europa, sotto nomi diversi (laburismo inglese, socialdemocrazia tedesca, socialismo mediterraneo) fa riferimento a un’identità politica riconoscibile e riconosciuta, che noi chiamiamo riformismo, cioè sinistra di governo.

E qui siamo alla questione finale. Il grande tema che potremmo intitolare “quale sinistra per il nuovo secolo” interessa a Renzi? Se si assume quell’identità, sia pure nella sua interpretazione più radicale e personale, bisogna sapere che questo comporta degli obblighi. L’obbligo di spiegare ad esempio che il cosiddetto “partito della nazione” non è non può essere un “partito della sostituzione”, che taglia a sinistra per inglobare a destra, ma mantenendo ben salde ed evidenti le sue radici porta le fronde del suo albero a coprire anche il centro. L’obbligo di chiarire lo scambio oscuro con Verdini, quando dal concorso autonomo in Parlamento sulla riforma si passa ad una sorta di unione di fatto inconfessabile in pubblico. L’obbligo di tener conto della storia del sindacato italiano a tutela dei diritti nati dal lavoro, che la crisi sta riducendo a semplici “spettanze” comprimibili nei momenti di difficoltà. L’obbligo di usare talvolta con la destra le cattive maniere che si impiegano abitualmente con la sinistra interna: o, simmetricamente, di trattare la minoranza del Pd con il garbo che si riserva di solito a Berlusconi, senza mai dare una lettura pubblica del suo ventennio e della sua avventura politica. In proposito il pensiero di Renzi è sconosciuto.

C’è un patto sociale che il Pd può ancora tentare con il Paese, se unisce al racconto delle eccellenze italiane che il Premier fa ogni giorno la responsabilità nei confronti dei mondi più deboli, degli sconfitti e dei perdenti della globalizzazione, di cui nessuna cultura politica si fa carico, e che possono finire risucchiati negli opposti populismi del lepenismo padano di Salvini o dell’antipolitica grillina (che stanno già preparando le “nozze del caos” per il secondo turno). Perché con il disfacimento della destra di governo, il naufragio di ogni ipotesi centrista, civica o tecnica, ad una moderna sinistra toccherebbe il compito di difendere il sistema, cambiandolo. Opponendo il sentimento repubblicano al risentimento che divora ogni giorno la politica. Si può fare, vale la pena farlo. Ma il Pd, lo sa?

vivicentro.it/editoriale – repubblica/Alla ricerca del Pd perduto: al partito serve l’anima, non l’uomo solo al comando EZIO MAURO

Usa 2016, Hillary vince la nomination tra i democratici.

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Hillary Clinton sarà la prima donna a correre per la Casa Bianca: “Momento storico”
Ha raggiunto il numero di delegati e superdelegati. Pressing di Obama su Sanders per il ritiro

HILLARY Clinton ha vinto la nomination democratica. E’ un evento storico: la prima donna che diventa candidata alla Casa Bianca dalla nascita della democrazia americana. E Barack Obama interviene di persona su Bernie Sanders: è ora che ti fai da parte, nell’interesse dei democratici e dell’intero paese. La notizia della vittoria viene lanciata dall’Associated Press alle 22.20 di Washington, poi confermata dalla Cnn mezz’ora dopo. L’ultimo conteggio dei delegati, dopo avere incluso le piccole primarie del weekend (Portorico e Isole Vergini) con l’aggiunta dei superdelegati, dà questo verdetto: Hillary ha superato la fatidica soglia della maggioranza assoluta, i 2.383 delegati necessari perché la convention democratica di luglio a Philadelphia la “incoroni” come candidata alla Casa Bianca.

Ma fino all’ultimo la grande festa di Hillary è turbata da Bernie Sanders. Il senatore del Vermont, che si autodefinisce socialista e non è mai stato iscritto al partito democratico, ha con i suoi “nuovi” compagni di strada un rapporto difficile. Le sue accuse contro Hillary la mettono quasi sullo stesso piano di Donald Trump: da ultimo, la polemica sui fondi esteri affluiti alla fondazione filantropica dei Clinton, riecheggiano le bordate di Trump contro “crooked Hillary” (disonesta). Sanders ha ripetuto per mesi che anche il sistema delle primarie è “rigged” cioè truccato contro di lui. Ce l’ha in particolare coi superdelegati, quelli che non vengono eletti dalla base degli elettori bensì sono parlamentari e governatori, quindi parte dell’establishment. In realtà il vantaggio di Hillary è incolmabile anche a prescindere dai superdelegati. Lei batte Sanders su tutti i fronti: ivi compreso nel numero assoluto di voti espressi dalla base, senza superdelegati.

Sanders fino all’ultimo resiste. Oggi si vota in un altro Supermartedì, l’ultimo, con un maxi-Stato come la California che assegna più di 500 delegati; altro bacino importante di voti è il New Jersey. Si credeva che questo martedì sarebbe stato decisivo per consentire a Hillary di superare la soglia dei 2.383 delegati. In realtà è già accaduto prima, come confermato nel conteggio finale dell’Associated Press. Di qui la scesa in campo del presidente, che a tutti gli effetti è il vero leader del partito. Obama ha avuto una lunga conversazione telefonica con Sanders domenica, rivela la Casa Bianca: mezz’ora di “moral susasion”, pressione morale ai fianchi del 74enne senatore del Vermont. Per Obama è essenziale mettere fine alla diatriba lacerante, fare l’unità del partito, per concentrare tutte le energie sulla sfida finale contro Trump che si sta rivelando molto più rischiosa del previsto. Obama potrebbe annunciare il suo “endorsement” alla Clinton in settimana. Tra i due c’è un patto di ferro che risale all’epoca in cui Hillary venne sconfitta nelle primarie del 2008 ma poi accettò lealmente di lavorare per il vincitore, nel ruolo di segretario di Stato.
Obama vuole fare al più presto l’unità del partito anche per recuperare i voti dei giovani che hanno plebiscitato Sanders durante le primarie, e che saranno essenziali a novembre contro Trump. Per il presidente in carica la sfida diventa personale. Trump lo calunniò nel 2012 cavalcando la falsa leggenda sulla sua nascita in Kenya che lo avrebbe reso ineleggibile. E in questa elezione Obama si gioca il suo lascito storico: la vittoria di Trump diventerebbe anche un verdetto negativo sulla sua presidenza.

vivicentro.it/politica – larepubblica/Usa 2016, Hillary vince la nomination tra i democratici. Sarà la prima donna a correre per la Casa Bianca: “Momento storico” FEDERICO RAMPINI

Elezioni comunali in provincia di Brescia, ribaltoni e conferme

I primi due sindaci ad essere ufficializzati sono stati a Incudine, Ono San Pietro e Ossimo dove i candidati Bruno Serini, Elena Broggi e Cristian Farisé per mantenere la poltrona di primo cittadino dovevano superare il quorum del 50% più uno degli aventi diritti al voto e ci sono riusciti

Brescia, 6 giugno 2016 – Elezioni amministrative 2016 in provincia di Brescia. I primi due sindaci ad essere ufficializzati sono stati quelli di Incudine, Ono San Pietro e Ossimo dove i candidati Bruno Serini, Elena Broggi e Cristian Farisé per mantenere la poltrona di primo cittadino dovevano superare il quorum del 50% più uno degli aventi diritti al voto e ci sono riusciti (a Incudine al voto è andato solo il 58,765). Nel resto della Provincia la conta dei voti è proseguita fino a tarda notte tra conferme e diverse sorprese. Tra i comuni che hanno scelto la continuità ci sono Bagnolo Mella che ha confermato Cristina Almici, Nave che ha mantenuto Tiziano Bertoli ma anche Isorella con la rielezione di Chiara Pavesi o Pontoglio dove Alessandro Seghezzi resta primo cittadino. Fiducia confermata anche a Massimo Maugeri, sindaco di Bienno e sostenitore della fusione con Prestine oltre che a Moniga dove Lorella Lavo resta in municipio per un altro mandato. Voto nel segno della continuità a Polpenazze che conferma Andrea Del Prete e a Collebeato dove resta sindaco Antonio Trebeschi ma anche a Piancogno con Francesco Ghiroldi e Collio con Mirella Zanini. Le novità arrivano a Torbole Casaglia che ha scelto Roberta Sisti, Artogne dove ha vinto Barbara Bonicelli, Bovegno con l’arrivo in municipio di Manolo Rossini. Soiano del Lago ha scelto Giuseppe Previ sindaco, Poncarale ha optato per Antonio Zampedri mentre Flero ha indicato Pietro Alberti e Pian Camuno Giovanni Ramazzini. A Corte Franca primo cittadino è ora Gianpietro Ferrari e ad Azzano Mella Angela Pizzamiglio. A Capriano del Colle affermazione elettorale per Edoardo Spagnoli e a Castel Mella per Giorgio Guarneri. Tra i volti nuovi anche Mario Chiappini, sindaco di Losine.

Ecco l’affluenza e i risultati Comune per Comune

Bagnolo Mella – Affluenza 73,95%, eletto sindaco Cristina Almici con il 51,92%
Castel Mella – Affluenza 67,71%, eletto sindaco Giorgio Guarneri con il 61,74%
Nave – Affluenza 69,98%, eletto sindaco Tiziano Bertoli con il 53%
Flero – Affluenza 68,51%, eletto sindaco Pietro Alberti con il 50,24%
Corte Franca – Affluenza 70,53%, eletto sindaco Giampietro Ferrari con il 54,43%
Pontoglio – Affluenza 74,32%, eletto sindaco Alessandro Giuseppe Seghezzi con il 43,25%
Torbole Casaglia – 74,67%, eletto sindaco Roberta Sisti con il 44,59%
Esine – Affluenza 71,15%, eletto sindaco Emanuele Moraschini con il 44,38%
Poncarale – Affluenza 71,96%, eletto sindaco Antonio Zampedri con il 29,41%
Piancogno – Affluenza 51,28%, eletto sindaco Francesco Paolo Ghiroldi con il 79,31%
Collebeato – Affluenza 71,19%, eletto sindaco Antonio Trebeschi con il 61,61%
Capriano del Colle – Affluenza 71,51%, eletto sindaco Edoardo Spagnoli con il 48,09 %
Pian Camuno – Affluenza 75,07%, eletto sindaco Giorgio Giovanni Ramazzini con il 62,20%
Isorella – Affluenza 76,02 %, eletto sindaco Chiara Pavesi con 47,18%
Artogne – Affluenza 76,00%, eletto sindaco Barbara Bonicelli con il 61,44%
Bienno – Affluenza 78,92%, eletto sindaco Massimo Maugeri con il 52,50%
Azzano Mella – Affluenza 77,74%, eletto sindaco Angela Pizzamiglio con il 50,43%
Polpenazze del Garda – Affluenza 65,62%, eletto sindaco Andrea Dal Prete con il 71,21 %
Moniga del Garda – Affluenza 68,61%, eletto sindaco Lorella Lavo con il 69,27%
Bovegno – Affluenza 75,82%, eletto sindaco Manolo Rossini con il 51,02%
Collio – Affluenza 82,19%, eletto sindaco Mirella Zanini con il 52,41%
Soiano del Lago – Affluenza 64,93%, eletto sindaco Giuseppe Previ con il 49,21%
Ossimo – Affluenza 65,68%, eletto sindaco Cristian Farisé con il 100%
Ono San Pietro: Elena Broggi, Lista Civica (Affluenza 72,86%)
Losine – Affluenza 81,52%, eletto sindaco Mario Chiappini con il 44,57%
Anfo – Affluenza 81,17%, eletto sindaco Umberto Bondoni con il 55,70%
Incudine – Affluenza 58,76%, eletto sindaco Bruno Serini con il 100%

vivicentro.it/nord/politica –  ilgiorno/Elezioni comunali in provincia di Brescia, ribaltoni e conferme

La democrazia anomala dei frammenti

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Le elezioni amministrative rappresentano da sempre in Italia una sorta di mid-term, un test per gli equilibri politici presenti e quelli futuri. Fu così per le prime giunte di centrosinistra negli Anni Sessanta. E così per la svolta del 1975, che portò i primi sindaci comunisti alla guida delle grandi città fuori dal perimetro delle «regioni rosse», annunciando la svolta dei governi di unità nazionale ’76-’79.

E ancora, con l’elezione diretta dei primi cittadini nel ’93, la definitiva esclusione dei democristiani dai ballottaggi e la prima legittimazione del bipolarismo, che doveva portare nel ’94 alla vittoria del centrodestra con Berlusconi. Sepolto, non a caso, dopo quasi un ventennio, dall’ondata dei sindaci arancione, da Pisapia a De Magistris, che nel 2011 avrebbe anticipato di pochi mesi l’uscita da Palazzo Chigi dell’ex-Cavaliere.

Con lo stesso criterio ci si potrebbe chiedere se il voto di domenica scorsa nelle città, la vittoria della Raggi e l’affermazione dell’Appendino e dei 5 Stelle a Roma e a Torino, il risultato in bilico di Sala a Milano, la rivincita dello stesso De Magistris nella Napoli in cui il premier era andato personalmente a lanciargli il guanto di sfida, anticipino la crisi di Renzi e del renzismo. Gli elementi per pensarlo ci sono, e lo stesso presidente del Consiglio, a caldo, ha ammesso la delusione del Pd, sebbene non la consideri decisiva per le sorti del governo. Né va dimenticato che si tratta del primo turno di un’elezione che prevede i ballottaggi, e solo allora, tra due settimane, si potrà fare una valutazione completa.

Al momento la svolta – se di svolta si può parlare – non ha nessuna delle caratteristiche che si erano palesate nel passato; non si sono insomma manifestati un nuovo quadro politico e neppure, per quanto provvisorio, un diverso equilibrio. Il successo, anche oltre ogni previsione, delle candidate M5S a Roma e a Torino non va confuso con il risultato di De Magistris (che è tutt’altra cosa, e già mescola, dopo cinque anni di potere, aspetti di trasformismo e clientele locali con il voto di protesta), e non basta a dire che si va verso un’Italia a 5 Stelle. La resurrezione del centrodestra, a Milano con il tecnico Parisi, a Bologna con la leghista Borgonzoni e a Napoli con l’usato sicuro Lettieri, dimostra che la coalizione ex-berlusconiana ha ancora delle prospettive, ma non risolve la sfida letale tra l’anima moderata del leader-fondatore e quella radicale salvinian-meloniana. Al dunque, l’unico vero obiettivo di Berlusconi era punire e far cadere la leader ribelle di Fratelli d’Italia, e a Roma questo è accaduto, anche al prezzo di una sorta di liquidazione dell’alleanza.

A conferma di questo insieme così frammentato, le percentuali dei partiti, ricavate finalmente ieri sera dopo un calcolo assai complicato, sono di una tale modestia che la nuova carta politico-geografica dell’Italia rivela sintomi di alopecia del potere locale assai difficili da curare e impossibili da riunificare in qualcosa che abbia l’ambizione di tornare ad essere di dimensione nazionale. Il Pd e Forza Italia, per dire del maggior partito della coalizione di centrosinistra e dell’ex-maggiore del centrodestra, si erano presentati con il loro simbolo in un’assoluta minoranza di casi, per il resto si erano camuffati e mescolati a un’indecifrabile ragnatela notabilare di piccolo cabotaggio. Temuto fin dalla vigilia, il guazzabuglio delle liste locali – diffuse ovunque, presenti in qualsiasi schieramento, con la sola eccezione del Movimento 5 Stelle, che dove si è presentato, non certo dappertutto, lo ha fatto da solo – lascia già presagire cosa diventeranno, al termine dei ballottaggi, le trattative per la formazione delle giunte, e subito dopo le vite precarie delle amministrazioni, tenute in pugno da ras locali che non hanno vincoli di appartenenza, né, figuriamoci, di obbedienza, ad alcun partito o organizzazione, si nascondono sotto le sigle più strane e rispondono, in realtà, solo a se stessi. I disgraziati elettori che domenica, malgrado tutto, sono andati a votare, grazie alle coalizioni locali che sostenevano i candidati sindaci, si sono trovati di fronte all’esatto contrario delle più collaudate offerte pubblicitarie dei supermercati. Lì, almeno, in certe stagioni, paghi una e ricevi tre confezioni del prodotto che avevi scelto. Qui, invece, votando un candidato sostenevi un intero schieramento e diventavi sostenitore di certi arnesi che mai avresti voluto avere al tuo fianco.

La crisi del Pd, che comunque, tolta Napoli, resta in gioco da Nord a Sud, lo scatto delle due donne 5 Stelle (non accompagnato da un successo complessivo, dato che alla fine il movimento andrà in ballottaggio in 20 comuni su 1300), e la rinascita isolata del centrodestra saranno pure gli aspetti più evidenti dei risultati. Ma il vero profilo del Paese che vien fuori dalle urne del 5 giugno è quello frastagliato appena descritto. Sarebbe ora che qualcuno in Italia – a cominciare da Renzi e almeno finché è possibile – s’impegnasse a pensare di riorganizzare dei normali partiti, come quelli che finora sono stati distrutti, per ricostruire una democrazia normale.

vivicentro.it/editoriale –  lastampa/La democrazia anomala dei frammenti MARCELLO SORGI

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Parioli Democratico (PD)

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Vista dall’alto, la mappa elettorale di Roma è un mare grillino in tempesta che circonda una zattera rosé: il centro storico e i Parioli sono gli unici due municipi dell’immensa capitale in cui ha prevalso il Pd. Una foto epocale. Il partito della fu-sinistra che sfonda solo nei quartieri dove vivono i ricchi e i turisti, mentre non trova più le parole per comunicare con la nuova plebe del pubblico impiego e del piccolo cabotaggio, così come a Torino fatica a placare le ansie del ceto medio impoverito. (Va un po’ meglio a Milano, città di commercianti inclini alla moderazione per necessità di mestiere).

Con tutti i suoi immani difetti, il Pd rimane l’unica comunità politica che vanti ancora uno straccio di classe dirigente. Non si può negare che i Fassino e i Giachetti, rispettivamente cresciuti alla grande scuola di Berlinguer e Pannella, siano più preparati e affidabili delle loro rivali a Cinquestelle. Una delle quali, la Raggi, non brilla neppure per simpatia. Ma l’aria che tira è quella del 1789. Il Terzo Stato degli esclusi e dei penalizzati dalla globalizzazione rivolge la propria rabbia contro i detentori del potere e la traduce in disgusto. Ieri una lettrice mi ha scritto: «Smettetela di intervistare i famosi, non hanno nulla di interessante da dirci. Intervistate i poveri cristi che si arrabattano per arrivare a fine mese». Lo spirito del tempo è questo. Una classe dirigente che non ha più contatti con le periferie dell’esistenza smette di essere élite e diventa aristocrazia. Ciò che la conduce alla distruzione è che non se ne rende nemmeno conto.

vivicentro.it/opinione –  lastampa/Parioli Democratico (PD) MASSIMO GRAMELLINI

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Ascolta l’ oroscopo del giorno di Paolo Fox: martedì 7 giugno

L’ oroscopo giorno per giorno

Ogni giorno Paolo Fox racconta, con il suo oroscopo in TV (Fatti vostri) e su Lattemiele, cosa le stelle hanno in serbo per noi, come andrà il lavoro, la salute, l’amore…

Questo il suo oroscopo per oggi, tratto da Lattemiele:

ARIETE
TORO
GEMELLI
CANCRO
LEONE
VERGINE
BILANCIA
SCORPIONE
SAGITTARIO
CAPRICORNO
ACQUARIO
PESCI

CHI E’ PAOLO FOX:

Paolo Fox (Roma, 5 febbraio 1961) è un astrologo, pubblicista e personaggio televisivo italiano.

Biografia
Fin dagli anni novanta si occupa di astrologia nei mass media, proponendo il suo oroscopo nelle trasmissioni televisive della RAI e anche in radio, su LatteMiele e Radio Deejay; le sue prime apparizioni televisive sono state nelle trasmissioni di Rai 1 Per tutta la vita, In bocca al lupo! e Domenica In.

E’ iniziato a diventare noto al grande pubblico a partire dal 1997 quando ha iniziato la collaborazione con il network Lattemiele dove conduce uno spazio dedicato all’oroscopo giornaliero alle ore 7.40 e 19.40.

Il lunedì mattina il mago dell’oroscopo è presente anche su Radio Deejay. Per quanto riguarda il mondo della televisione, è apparso per le prime volte nei programmi televisivi Per tutta la vita, In bocca al lupo! e Domenica In.

Ha partecipato come ospite a tantissimi altri programmi tv: Festa di classe, Speciali di fine anno, Tutto Benessere, Furore, Uno Mattina, Speciale Grande Fratello, Piazza Grande, Aspettando cominciamo bene e tanti altri. Dal 2002 è una delle colonne portanti del programma tv di Raidue, I Fatti Vostri, dove legge il suo oroscopo. Negli ultimi anni risulta essere uno dei personaggi maschili più cliccati dell’anno sul web!

Annualmente cura per la RAI la serata dedicata alle previsioni astrologiche per il nuovo anno, trasmessa a fine dicembre.

È attivo anche sulla carta stampata, curando l’oroscopo per diversi settimanali

Nel 2014 ha interpretato sé stesso nel film di Natale Ma tu di che segno 6?.

Per quanto riguarda la sua vita privata non si sa praticamente nulla. E’ sposato? E’ fidanzato? Dove va in vacanza? Lui non ha mai rilasciato dichiarazioni o commenti sulla sua vita sentimentale anche perché grazie agli astri vuole indovinare quella del suo numeroso pubblico che non l’abbandona mai!

Ag.Fellaini: “Era vicino, vi spiego perché la trattativa è saltata”

Ai microfoni di Si Gonfia la rete, è intervenuto l’agente di Fellaini, centrocampista del Manchester United, Fabrizio Ferrari: “Fellaini al Napoli non si è conclusa perché è diventato titolare nel Manchester proprio quando abbiamo iniziato la trattativa col Napoli. Fabinho? Non c’entro nulla in questa trattativa, per cui non so nulla, ma domani sarò a Montecarlo per un altro giocatore. Fabinho però devo dire che è di altissimo livello, può giocare in tre ruoli per cui ritengo abbia grande potenzialità. Il Napoli ha alzato l’asticella e credo faccia bene a puntare giocatori di un certo livello non solo perché disputerà la Champions nella prossima stagione, ma anche per il campionato”.

Jorginho: “L’esordio col Napoli bellissimo. Vivere qui? Vedremo…”

Ai microfoni del sito ufficiale del Napoli, Jorginho, centrocampista azzurro, ha dichiarato: “Esordio in azzurro? Bellissimo. Lo stadio era pieno come al solito, c’era mia sorella in tribuna ed è stata veramente una gioia che non dimenticherò mai. L’accoglienza della gente, calorosa come in Brasile, mi sono sentito subito a mio agio. Sinceramente qui sto bene con la mia famiglia, ogni tanto cerchiamo di vivere la città, voglio viverla nei migliori dei modi, e il bel tempo partenopeo ci aiuta in questo. Cosa significa per un calciatore giocare al San Paolo? Sicuramente è molto bello, si sente, mi piace tantissimo. Sono tifosi sempre al nostro fianco, giocare con lo stadio sempre pieno per un calciatore è la cosa più bella che c’è. Ogni partita è una grande emozione. L’incontro con i bambini nel centro storico? E’ stata una delle cose più belle che mi siano capitate, è bellissimo avere a che fare con la purezza e la sincerità dei bambini. Ero andato a mangiare la pizza con la mia famiglia, stavamo tornando verso l’auto verso le 10 di sera, ho visto dei bambini che giocavano davanti al Duomo e questo mi impressionò, non l’avevo mai vista una cosa del genere in Europa. In Brasile è normale, anche io giocavo con gli amici a piedi scalzi. Quando vidi quei ragazzini dissi a mia sorella e alla mia ragazza ‘guarda che bello, ora faccio loro una sorpresa’, e loro mi incoraggiarono entusiasmati. Non sapevo come avrebbero reagito, magari potevano non riconoscermi perché ero appena arrivato, ma non volevo perdere quest’occasione. Avevo detto ai miei amici di non fare video, ma mia sorella ha tirato subito fuori il telefonino… Ho raggiunto i ragazzini, ho chiesto di passarmi la palla, loro inizialmente mi guardarono incuriositi, poi uno di loro mi riconobbe e non vollero più giocare! Iniziarono a scattarmi foto, uno scettico mi chiese un documento perché non ci credeva, ma non lo avevo con me… lui mi rispose ‘allora fai qualche palleggio, altrimenti non ti credo, non puoi andare in giro vestito così’. Lo accontentai e da lì sono impazziti di gioia, è stata una delle cose più belle che mi sono capitate. Arrivato in Italia il mio tutore legale, che mi aveva portato qui, mi dava una paghetta settimanale, 20 euro… vivevo in convitto, in stanza eravamo in sei ed era un bel casino. Sono andato avanti per un anno e mezzo così, ma è stato importante e mi ha fatto crescere. Rapporto con i genitori e il calcio – “Entrambi volevano che facessi il calciatore, ma, mi dispiace per papà, devo dire che chi gioca in calcio in famiglia è mamma, le mie qualità le ho prese da lei, lei mi portava in spiaggia a giocare. Papà era un po’ scarso…Reazione dopo l’interesse del Napoli? Dissi andiamo, subito! Era il mio sogno arrivare in una grande squadra come questa. Quando il mio procuratore Joao mi ha detto che c’era questa possibilità ho detto che non c’era niente da pensare, non vedevo l’ora. Italiano, brasiliano o napoletano? Non posso mai dimenticare le mie origini, da dove vengo, i miei amici che sono sempre al mio fianco. Il Brasile sarà sempre dentro di me. L’Italia mi ha dato questa grande opportunità ed amo questo paese, in Nazionale ho cantato l’inno e mi ha dato emozioni forti. A Napoli è nato mio figlio ed anche questa città la porterò sempre con me. Primo gol al San Paolo? E’ stato bellissimo sentire Decibel urlare il mio nome insieme allo stadio pieno, mi piacerebbe sentirlo qualche volta in più… ma sto lavorando per questo e sono certo che arriverà. Quanto è cresciuto in azzurro? Ho fatto dei passi importanti della mia crescita, anche nell’anno e mezzo con Benitez utilizzando un altro modulo, mi ha fatto capire tante cose. Con Sarri stiamo facendo un grande lavoro ed è molto importante per me. Il segreto del Napoli di Sarri? E’ che si va tutti d’accordo. Ma tutti, davvero. Di solito in un gruppo di 25 persone ci può stare qualche contratto, sono tante, ma qui davvero siamo tutti uniti. Tutti scherziamo insieme, ci divertiamo… E’ questo il segreto. Punto di riferimento? Da piccolo mi piaceva Kakà, ma il mio ruolo è diverso. Pirlo e Xavi sono i miei esempi, dal punto di vista tecnico”. Vivere a Napoli anche a fine carriera? Non lo so, dipenderà da tante cose. Mancano tanti anni”.

Gragnano, Paolo Cimmino: ultimo sforzo per ballottaggio

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Il candidato sindaco: mio programma per rinascita della città

GRAGNANO – «E ora l’ultimo sforzo per vincere il ballottaggio» A dirlo è Paolo Cimmino, candidato sindaco sostenuto da 7 liste civiche, commentando l’esito della tornata elettorale che lo vedrà impegnato al turno supplementare del 19 giugno prossimo.

«Ringrazio quanti hanno voluto accordarci la loro fiducia e ringrazio le donne e gli uomini e i tantissimi giovani che, con la loro candidatura, hanno voluto metterci la faccia per cambiare e migliorare Gragnano – aggiunge –. Ora però tutti noi siamo chiamati a raddoppiare l’impegno per l’ultimo, decisivo chilometro di questa maratona».

«Il nostro programma di governo è ricco di proposte concrete e di progetti, tantissimi dei quali sono già in fase avanzata perché avviati e seguiti dalla mia precedente Amministrazione. La città non può permettersi di perderli o di rallentarne la realizzazione – continua Cimmino – perché il tempo stringe e Gragnano deve immaginare un futuro diverso per sé e per i suoi cittadini e per i suoi figli».

«Continueremo a stare tra la gente, a incontrare gli elettori e ad ascoltare tutti per raccogliere suggerimenti preziosi su come rendere la nostra città più vivibile sotto tanti punti di vista – ha concluso Cimmino – perché credo fermamente che la fascia tricolore non renda più importanti ma più responsabili e aperti al confronto. Io lo sarò».

Ischia,grande successo per l’evento : “Gli anni della storia “

gli anni della stroria ischia

Si è conclusa nella giornata di sabato la bellissima manifestazione intitolata “Gli anni della storia” una manifestazione che ha rappresentato i grandi successi dell’Ischia a cavallo tra gli anni ’80 e ’90. Una full immersion di tre giorni, nel corso dei quali tutti gli appassionati hanno avuto modo di rivivere tutte le emozioni degli anni più belli della storia gialloblù.

E la manifestazione si è chiusa con il gran Galà all’Hotel Re Ferdinando, offerto dallo storico bomber e bandiera gialloblu, Salvatore Di Meglio. Nel pomeriggio, però, grande partecipazione allo stadio Rispoli, palcoscenico dei fantastici successi dell’Ischia di quegli anni.

C’è stata una partita di vecchie glorie, a cui hanno partecipato proprio tutte le storiche bandiere gialloblù. Buoncammino si è divertito a fare l’arbitro, in campo Franco Impagliazzo, Martusciello e tutti gli altri hanno fatto rivivere a tutti gli appassionati le grandi emozioni di un tempo. “Billone” Monti, invece, non ha svestito i suoi panni attuali di allenatore e si è dilettato a bordo campo a dirigere non una ma entrambe le squadre in campo. Zero a zero il punteggio finale, con ritmi blandi ma qualche giocata di spessore che non è mancata,è stato un bel pomeriggio di calcio.

 L’ultimo di una tre giorni davvero intensa. Giovedì sera c’è stata la cerimonia inaugurale presso il Carcere alla Spiaggia dei pescatori, che ha visto una grande partecipazione di tifosi e appassionati.

La manifestazione è poi proseguita venerdì sera presso il Salone delle Antiche Terme Comunali. C’è stato spazio per la proiezione di filmati e diapositive di quegli anni storici dell’Ischia Calcio. In particolar modo della partita Ischia-Rende del 7 giugno del 1987, quella decisiva per la promozione in Serie C1. L’Ischia vinse 2-0 grazie ai gol di Ciro Bilardi e Vincenzo Onorato, chiudendo il campionato al secondo posto. E poi, come detto, ieri si è chiuso in bellezza con la partita delle vecchie glorie ed il Gran Galà al Re Ferdinando. E allora arrivederci al prossimo appuntamento con “Gli anni della storia”, sperando di rivivere ancora tanti successi come questi appena celebrati.

Per la stampa estera il Movimento 5 stelle batte Renzi

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Virginia Raggi, Movimento 5 stelle, candidata anti-establishment

All’indomani del primo turno delle elezioni comunali in Italia, la stampa internazionale concentra la sua attenzione sull’exploit della candidata del Movimento cinque stelle a Roma, Virginia Raggi, sottolineando la vittoria dell’esponente “anti-establishment”.

Nella sua home page, il quotidiano britannico The Guardian sottolinea il grande vantaggio di Raggi sugli avversari. “La candidata del M5s ottiene un grande vantaggio alle elezioni per il sindaco di Roma”, è il titolo del giornale, che la definisce esponente “del partito anti-establishment”.

Five Star candidate takes big lead in Rome’s mayoral election

Anti-establishment party candidate Virginia Raggi won 36% of vote in first round and says she is ready to govern Italian capital after run-off

Analogo il titolo del Wall Street Journal – “La candidata anti-establishment in testa alle elezioni per il sindaco di Roma” -, che sottolinea come “la dimostrazione di forza per il populista Movimento 5 Stelle al primo turno delle elezioni pone una sfida al primo ministro Matteo Renzi.

Un aspetto sottolineato anche dal Financial Times: “I romani inviano un rimprovero populista a Renzi”, è il titolo scelto dal prestigioso quotidiano finanziario. “Raggi vince il primo turno per diventare la prima donna sindaco della Città eterna”.

Per il quotidiano spagnolo El mundo, “Virginia Raggi e il Movimento 5 Stelle ottengono un vantaggio al primo turno delle elezioni a Roma”. “Non hanno la maggioranza assoluta e dovranno partecipare al ballottaggio per Roma” definita “la città degli eterni problemi”.

“La candidata di Beppe Grillo”, scrive invece el Pais, “vince a Roma, secondo i primi risultati”. “Matteo Renzi”, aggiunge il giornale, “avverte che il risultato di queste elezioni non è una prova sulla sua gestione del Governo”.

vivicentro.it/cronaca –  askanews/Per la stampa estera il Movimento 5 stelle batte Renzi

Sky – Napoli in pole su Lapadula, tutto si deciderà dopo la finale dei play-off

Stagione stratosferica, capocannoniere indiscusso della serie B: stiamo parlando di Gianluca Lapadula, attaccante del Pescara sempre più oggetto del desiderio di diversi club italiani e non. Stando a quanto riferisce Sky Sport 24 il Napoli è sempre in pole sull’ italo-peruviano anche se Juventus, Genoa e Lazio sono sempre alla finestra.
Lapadula gradirebbe la destinazione partenopea soprattutto per evitare di essere girato in prestito in un altra squadra dopo il suo trasferimento, cosa che potrebbe accadere con la Juventus. Tutto si deciderà soltanto dopo la finale di ritorno dei play-off.

Onlus per l’accoglienza dei migranti evade tasse per 4 milioni

Scoperto un collegamento con “mafia capitale”

Accoglienza degli immigrati, la Guardia di finanza di Siracusa ha appurato che sono stati sottratti al fisco 4 milioni di euro da parte di imprese mascherate da onlus. Le verifiche d’iniziativa, nei confronti di associazioni e/o enti non commerciali (società cooperative/Onlus), si legge in una nota delle Fiamme gialle, hanno permesso di individuare un vero e proprio fenomeno evasivo, caratteristico dei soggetti operanti nel “Terzo Settore”. E’ stata disconosciuta, in carenza dei requisiti di legge per poter usufruire di agevolazioni contabili e fiscali, la natura giuridica di ente associativo noprofit. I soggetti economici sono stati pertanto inquadrati nella reale natura di impresa commerciale con ricostruzione del Volume d’Affari e recupero a tassazione delle imposte dovute in tutti i settori impositivi. L’attività fiscale, inoltre, ha fatto emergere fatture per operazioni inesistenti emesse da società che hanno fittiziamente eseguito lavori di ristrutturazione, reso servizi di pulizia, fornito frutta e capi di abbigliamento, nei confronti dei soggetti controllati. Il Procuratore della Repubblica, Francesco Paolo Giordano, sottolinea ancora la nota, già nel 2014, ha delegato la Guardia di Finanza di Siracusa per l’esecuzione di specifica attività nei confronti di alcuni soggetti riconducibili a Buzzi e Carminati, indagati nell’ambito dell’operazione “Mafia Capitale”. Dalle attività investigative eseguite è emerso un collegamento tra i personaggi dell’indagine romana con un centro di accoglienza gestito in consorzio con una società siracusana: partecipanti del consorzio risultavano essere le cooperative sociali romane Eriches29 ed ABC. In sintesi, conclude la nota, l’attività di indagine ha fatto emergere un fenomeno evasivo per 4.252.177 euro, l’individuazione dell’emissione di fatture per operazioni inesistenti per 1.351.004 euro e ed ha permesso la segnalazione di 19 soggetti per reati tributari all’Autorità Giudiziaria di Siracusa.

vivicentro.it/isole/cronaca –  askanews/Onlus per l’accoglienza dei migranti evade tasse per 4 milioni

VIDEO – A Cava dè Tirreni, lo spettacolo notturno della ditta Boccia e Nappi

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Il giorno 5 giugno, a Cava dè Tirreni, la pirotecnica Boccia e Nappi da Palma Campania (Na) ha deliziato con uno spettacolo pirotecnico notturno.

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dal nostro inviato, Gennaro Novellino

Modugno: “Leandrinho? Il Napoli farebbe un acquisto stratosferico”

Francesco Modugno, giornalista di Sky, è intervenuto ai microfoni di Radio Kiss Kiss per parlare di diverse trattative di mercato in casa Napoli:
Il Napoli è sempre forte su Lapadula, è un giocatore che piace molto alla dirigenza partenopea che continua a limare i dettagli per concludere la trattativa. Nelle ultime ore è sbucato il nome di Leandrinho, se il Napoli dovesse acquistarlo farebbe davvero un colpo stratosferico: stiamo parlando dell’ astro nascente del calcio brasiliano”.

VIDEO – A Cava dè Tirreni, lo spettacolo notturno della ditta Siani e F.lli Di Fraia

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Il giorno 5 giugno, a Cava dè Tirreni, la pirotecnica Siani in collaborazione con la ditta F.lli Di Fraia ha deliziato con uno spettacolo pirotecnico notturno.

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dal nostro inviato, Gennaro Novellino

VIDEO – A Sant’Antonio Abate (Na), lo spettacolo notturno della ditta Ruocco e Novellino

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Il giorno 5 giugno, a Sant’Antonio Abate, la pirotecnica Ruocco e Novellino da Gragnano (NA) ha deliziato con uno spettacolo pirotecnico notturno.

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dal nostro inviato, Gennaro Novellino

Maggio, l’ agente: “Watford? Potrebbe essere la giusta soluzione”

Ai microfoni di Radio Crc, nel corso della trasmissione Si Gonfia la Rete, è intervenuto Massimo Briaschi, agente di Christian Maggio. Ecco quanto evidenziato:

All’ Europeo non mi aspetto un gioco spettacolare ma al contempo credo che l’ Italia dimostrerà grande personalità.
Watford su Maggio? Potrebbe essere una soluzione, ma al momento non c’ è nulla di concreto. Andranno fatte le giuste valutazioni: bisogna parlare prima con Giuntoli e la società per scegliere la soluzione migliore per Christian. Attualmente posso dire che la sua esperienza con la maglia azzurra è terminata, in questa stagione ha giocato solo 400 minuti e il nome di Vrsaljko per il mercato è un altro fattore indicativo”.

M5S boom a Roma e Torino Renzi “il problema e Napoli”

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Roma  Le grandi città vanno al ballottaggio il 19 giugno. Servirà infatti il secondo turno per decidere i nuovi sindaci di Roma, Milano, Torino, Napoli e Bologna. A Cagliari si conferma Massimo Zedda, sindaco uscente.

“E’ il solito teatrino della vecchia politica per cui hanno vinto tutti”. Cosi’ Matteo Renzi commentando i dati delle amministrative. “Oggi non siamo tra quelli che dicono che abbiamo vinto”, aggiunge, “e’ un dato molto difficile da commentare”. “Non siamo contenti” – ha aggiunto Rernzi – “Volevamo fare meglio soprattutto a Napoli, dove il risultato e’ il peggiore del Pd. Per la città di Napoli abbiamo un grande problema, da qualche anno li’ non riusciamo ad esprimerci. Vinciamo a Salerno e a Caserta, non esiste un problema Campania ma un problema Napoli”.

A Roma boom del Movimento 5 Stelle. La Raggi trionfa al primo turno dove ha conquistato  il 35,3% dei voti, “Il vento sta cambiando, ci siamo. Roma è pronta a voltare pagina” ha commentato. La grillina al secondo turno se la vedrà con Roberto Giachetti, del Pd, che con il 24,8% stacca di quattro punti Giorgia Meloni. Bocciato Alfio Marchini, candidato sostenuto da Berlusconi che resta fermo attorno al 10%.

A Roma dunque, l’affermazione più netta del M5s. La Raggi: ha ringraziato “tutti coloro che in questi anni hanno creduto in questo progetto ed ha rivendicato: “Stiamo ricostruendo un progetto di comunita’”. Poi ha aggiunto: “Il dato importante è che il Movimento 5 Stelle senza apparentamenti è la prima forza politica a Roma. Lei non sarebbe emozionato? E’ un risultato storico”. Virginia Raggi si dice emozionata perché “potrei essere la prima donna sindaco di Roma, vi rendete conto?”. Così si rivolge ai giornalisti in conferenza stampa nella sede del comitato elettorale. Emozionata anche, prosegue, “perché i romani stanno mostrando di dare fiducia ad un programma serio, moderno e trasparente”.

E poi ha aggiunto: “Non siamo mai andati a caccia di voti. Abbiamo sempre raccontato quello che accadeva nelle istituzioni e cosi’ continueremo a fare, continueremo – ha ribadito – a lavorare sul progetto di Roma”.

Dalle proiezioni risultano al ballottaggio, nelle principali città:

MILANO: le urne hanno dato un esito inatteso a Milano. Non certo per il ballottaggio ma per il pareggio, perche’ di questo si tratta, tra i due principali candidati, Giuseppe Sala per il centrosinistra e Stefano Parisi per il centrodestra. Alla fine distanziati da una manciata di voti, meno di 5mila 224.155 contro 219.219. La maratona e’ finita alle 12: Beppe Sala ottiene il 41,7% dei consensi, Stefano Parisi il 40,78%, Gianluca Corrado il 10,06%, Basilio Rizzo il 3,56%, il radicale Marco Cappato l’1,88%. Il testa a testa, del tutto inatteso, a Milano tra centrosinistra e centrodestra impone una nuova accelerazione alla corsa per Palazzo Marino. Ed e’ gia’ partita la ‘caccia’ ai voti, a quelli dei grillini che hanno votato al primo turno per il loro candidato Gianluca Corrado, che pero’ ha gia’ fatto sapere che i 5 stelle non daranno indicazioni agli elettori, quelli della sinistra di Basilio Rizzo presidente uscente del Consiglio comunale e candidato sindaco della lista Milano in Comune. E anche a quelli che hanno votato per il radicale Cappato..

TORINO: L’ultima volta fu nel 2001 quando si ando’ al secondo turno nella sfida tra Sergio Chiamparino e Roberto Rosso, allora candidato per Forza Italia. Erano quindi 15 anni, come ha fatto notare ieri notte Chiara Appendino, sottolineando il “risultato storico” che Torino non sceglieva il sindaco al ballottaggio. Fra 15 giorni, invece, i torinesi dovranno decidere se confermare come primo cittadino Piero Fassino, forte al primo turno del 41,84%, o scegliere la pentastellata trentaduenne Chiara Appendino, che nel voto di ieri ha ottenuto il 30,9%. Il dato certo che, per ora, emerge dalle urne è che il Pd con il 29,77% non è più il primo partito in città superato dal M5S che si attesta al 30,01% rispetto al 5,26% di cinque anni fa e che nel capoluogo piemontese la percentuale dei votanti si e’ attestata al 57,19% rispetto al 66,53% del 2011.

NAPOLI:  Con 500 sezioni scrutinate su 886 (56%), il sindaco uscente Luigi de Magistris ha ottenuto il 42,64% dei voti, Gianni Lettieri (centrodestra) il 23,86%, Valeria Valente (Pd-Cd-Ala-Udc-Psi) il 21,38%.  “Non daremo indicazioni per il ballottaggio. Vediamo Napoli ora come sceglierà. Gli elettori che ci hanno sostenuto sceglieranno loro”. A dirlo è la deputata Valeria Valente (Pd), candidata del centrosinistra a sindaco di Napoli che non ha centrato l’obiettivo del ballottaggio.

BOLOGNA: “Adesso non è semplicemente Merola contro Borgonzoni, è un referendum sull’idea di città che vogliamo”: cosi’ nella notte il sindaco di Bologna Virginio Merola, candidato per il Pd alla riconferma di Palazzo d’Accursio, quando si delineava all’orizzonte il ballottaggio con il candidato della Lega Lucia Borgonzoni. Dopo un’accesa campagna elettorale, che ha visto piu’volte la presenza in città del leader leghista Matteo Salvini con pesanti scontri tra antagonisti e forze dell’ordine, è finita 39,46 contro 22,27, con la candidata leghista sostenuta dal centrodestra che ha distanziato di netto il candidato M5S, Massimo Bugani, fermo al 16,59.

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