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De Laurentiis insiste per Tevez e dice ‘no’ al Chelsea per Ghoulam

Questi gli ultimi sviluppi di mercato

Raffaele Auriemma su Tuttosport parla di un De Laurentiis che non si dà per vinto e continua a tenere calda la suggestione Tevez. Il Boca Juniors ha già detto di no eppure il patron non si dà per vinto.

Capitolo difensore centrale. Ieri Giuntoli ha avuto un colloquio con Ramadani, agente di Maksmovic, affidandogli un mandato verbale a trattare con il Torino la cessione del proprio assistito. A Napoli nutrono un grande ottimismo nella chiusura della trattativa, anche se il club azzurro continua ad offrire 25 milioni più due di bonus ed il presidente Cairo continua a chiederne 30 più bonus. Il rischio può arrivare dal Chelsea che continua a cercare un difensore centrale diverso da Koulibaly (in pochi giorni firmerà un nuovo contratto col Napoli) e che potrebbe essere proprio Maksimovic. L’alternativa per il Napoli si chiama Mangala, per il quale De Laurentiis ha ottenuto l’ok del prestito dal Manchester City. Secco no di Giuntoli a Pastorello che aveva il mandato del Chelsea per prendere Ghoulam. Domani è atteso Marko Rog, dopo aver giocato i preliminari Champions con la Dinamo Zagabria, per sottoporsi alle visite mediche e poi firmare il contratto.

Filmare il rapporto con la fidanzatina e mostrarlo agli amici è reato di pornografia minorile

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Cassazione: irrilevante il fatto che il video è stato cancellato dal dispositivo
Scatta il reato di pornografia minorile per il minorenne che con lo smartphone filma un rapporto orale con una coetanea, infrasedicenne, e mostra il video ai coetanei per vantarsene. Le testimonianze dei compagni che hanno visionato il video sono idonee a far scattare l’imputazione, nonostante il filmato sia stato cancellato dal dispositivo.
In particolare, come ha evidenziato la Corte di Cassazione, terza sezione penale, nella sentenza n. 35295/2016 (qui sotto allegata), ai fini dell’integrazione del reato di pornografia minorile di cui all’art. 600-ter c.p., è necessario che la condotta del soggetto agente abbia una consistenza tale da implicare il concreto pericolo di diffusione del materiale pornografico prodotto; esulano, quindi, dall’area applicativa della norma solo quelle ipotesi in cui la produzione pornografica sia destinata a restare nella sfera strettamente privata dell’autore.
La Suprema Corte ha così dichiarato inammissibile il ricorso dei genitori dell’imputato, nei confronti del quale il Tribunale dei minorenni aveva dichiarato il non luogo al procedere poiché ai tempi del fatto aveva meno di 14 anni, circostanza che pur impedendo una più ampia formula assolutoria, non impedisce l’accertamento della responsabilità dell’imputato.
Il Collegio condivide la giurisprudenza in base alla quale la sentenza di non luogo a procedere, ex art. 26 D.P.R. n. 448 del 1998, per difetto di imputabilità del minore, postula il necessario accertamento di responsabilità dell’imputato e delle ragioni del mancato proscioglimento nel merito.
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale per i Minorenni, evidenziano gli Ermellini, ha esposto ampiamente le ragioni che impedivano l’adozione di una più ampia formula liberatoria nei confronti del giovane.
La motivazione del giudice a quo risulta coerentemente fondata sulle dichiarazioni di un altro minore che aveva dichiarato di aver visto insieme ai compagni il video pedopornorafico sul cellulare dell’imputato che se ne vantava; tali dichiarazioni sono state ritenute complete, dettagliate e non contraddette dalle dichiarazioni rese dagli altri minori che sapevano dell’esistenza del video pur non avendolo visto.
Nel caso di specie sufficienti elementi integrano il pericolo concreto che l’imputato potesse in futuro diffondere e mostrare il materiale archiviato a una pluralità indeterminata di soggetti (indeterminatezza che va intesa non come implicante un elevato numero di soggetti, ma piuttosto la non numerabilità ex ante degli stessi)
Assumono rilievo sotto tale profilo l’effettuazione di una videoripresa del rapporto orale che coinvolgeva la minore, la contestuale conservazione della stessa nella memoria di un telefono cellulare e la successiva sottoposizione alla visione da parte di terzi.

Cass., III sez. pen., sent. 35295/2016

vivicentro/l’esperto
vivicentro.it/Filmare il rapporto con la fidanzatina e mostrarlo agli amici è reato di pedopornografia
StudioCataldi/Reato di pedopornografia per il minore che filma il rapporto con la fidanzatina e lo mostra agli amici (Lucia Izzo)

Gli esperti: ecco perché la terra ha tremato nell’Italia centrale

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La spiegazione degli esperti dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia : una grande parte del territorio italiano è posto su una micro placca tettonica chiamata “adriatica” che coincide a Ovest con la dorsale appenninica, si spinge a Nord sulle Alpi orientali e poi ridiscende verso Sud lungo i Balcani e la Grecia occidentale. Questa sorta di “promontorio”, facente parte della placca africana, spinge contro la placca europea e l’attrito genera quel tipo di terremoto che alle 3.36 del mattino ha colpito il Reatino, del tutto analogo a quello che hanno generato il sisma dell’Aquila del 2009 e di Colfiorito nel 1997. La spiegazione è stata data oggi all’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, dalla direttrice della struttura terremoti dell’Ingv, Daniela Pantosti, e dai sismologi Alessandro Amato e Massimo Cocco.

Ora, ha spiegato Amato, si deve immaginare un rettangolo di forma molto allungata che coincide perfettamente con la dorsale appenninica e della “costa” occidentale della micro-placca sottostante. A sinistra del rettangolo, cioè nella parte tirrenica, si verificano dei micro spostamenti (misurabili dal sistema sistema Gps) orientati verso Nord, mentre in tutta la parte adriatica, dalla Puglia all’Emilia Romagna, si registrano degli spostamenti più cospicui e frequenti orientati verso Nord Est, che consistono in qualche millimetro l’anno. Questo vuol dire che c’è una zona adriatica che si sposta verso Nord Est e una zona tirrenica sostanzialmente ferma o in lieve movimento in un’altra direzione. E’ proprio all’interno di quel rettangolo, dove i due spostamenti sono compresenti, che si registrano i terremoti caratteristici dell’Appennino centrale e meridionale.

“In sostanza – ha detto Amato -, la parte adriatica e la parte tirrenica si allontanano lentamente, a causa di rotazione di blocchi geologici, con una velocità di 3, 4, 5 millimetri per anno, che sembra una cosa piccola ma in realtà, se ragioniamo in tempi geologici, dopo cento o duecento anni i millimetri son diventati metri. Questo significa che c’è abbastanza energia, lungo le faglie che abbiamo in Appennino, per farle muovere. Le faglie resistono fino a che possono e poi devono sbloccarsi, scattano e provocano un terremoto. In questo caso è avvenuto un terremoto di magnitudo 6 in una faglia lunga circa 20, 25 Km, con uno spostamento che sarà di qualche decimetro da una parte rispetto all’altra”. Il terremoto di questa mattina si è dunque verificato in una “zona sismica ben nota – ha aggiunto Massimo Cocco -, che è al più alto livello di pericolosità sismica. Nella classificazione sismica è infatti la 1, la più alta”, quella in cui “tutti gli edifici nuovi devono essere costruiti con criteri antisismici. Il problema – ha sottolineato Cocco – è che in quelle zone di edifici nuovi ce ne sono ben pochi e addirittura il 50% delle scuole è stato costruito prima del 1980, quindi senza alcun criterio antisismico”.

Per questo, ha concluso, “l’unico modo per evitare i danni è la prevenzione”. “Rispetto alle grandi faglie dei terremoti di subduzione, come quelli che l Pacifico, dove ci sono terremoti di magnitudo 9 o addirittura superiori, e ci sono faglie lunghe centinaia o più di mille chilometri”, quelle che caratterizzano l’Appennino “sono microfaglie”, prosegue Amato. “Ma alla nostra scala e soprattutto con il nostro tessuto edilizio, che purtroppo è molto vulnerabile, queste faglie diventano delle faglie importanti. Non dovrebbe essere così, perché da questo tipo di terremoti ci si può difendere. Dovremmo approfittare almeno di questa circostanza per mettere in sicurezza il territorio”.

vivicentro.it/l’esperto
adnkronos/ Sam/Int9

Gabbiadini, l’intermediario: “Tranne clamorosi colpi di scena andrà a Firenze”

Le sue parole

Vincenzo Morabito, intermediario nella trattativa Gabbiadini-Everton, è intervenuto ai microfoni di Radio Crc: “Il Napoli in questo momento è impegnato nell’operazione più importante che dovrebbe portare Kalinic in azzurro e Gabbiadini alla Fiorentina”.

Su Maksimovic: “Come alternativa, Mangala resta un’ipotesi aperta. Il Manchester City, infatti, è disponibile a darlo in prestito. Ma il Napoli vuole provare a chiudere per il croato, una trattativa che dura addirittura da 12 mesi e mi chiedo come sia possibile. Forse andava cambiato il mediatore…”. 

Sul Chelsea e Koulibaly: “Ora i tifosi possono stare tranquilli, ma il prossimo anno sarà diverso. Sarà difficile, infatti, trattenere il giocatore”.

Su Gabbiadini e l’Everton: “Il club ha cambiato programma, le operazioni si fanno in due e le convenienze devono essere da entrambe le parti. Ora il giocatore sta procedendo spedito verso Firenze. Salvo clamorosi colpi di scena, credo che la nuova destinazione sarà alla viola”. 

De Laurentiis: “Sono sconvolto, devolverò parte dell’incasso di Napoli-Milan ai terremotati”

Questo l’annuncio del patron

La Ssc Napoli si mobilita per lo spaventoso terremoto che ha colpito il centro Italia. Il patron azzurro Aurelio De Laurentiis ha deciso di devolvere parte dell’incasso di Napoli-Milan alle popolazioni colpite. Ecco cosa ha scritto su Twitter:

“Come tutti sono sconvolto dalla tragedia del terremoto. Conosco bene quei paesi, da bambino ci passavo tanto tempo con la famiglia. Ho deciso di devolvere una parte dell’incasso di Napoli-Milan in favore delle popolazioni colpite. L’utilizzo dei fondi sarà definito di comune accordo con la Protezione Civile”.

Juve Stabia, anche gli Ultras vicini alle popolazioni colpite dal terremoto

I tifosi della Juve Stabia si sono sempre distinti per rispetto, educazione e solidarietà. All’indomani del tremendo terremoto che ha colpito il centro Italia, gli Ultras stabiesi danno l’ennesima dimostrazione dei loro profondi valori.

La Curva Sud ha infatti deciso di destinare quanta più acqua possibile alle popolazioni terremotate. L’obiettivo è quindi raccogliere tutta l’acqua che si può per poi farla arrivare nelle zone di emergenza. Un gesto concreto di enorme valore.

Per contribuire a questa splendida iniziativa basta recarsi all’associazione Gaetano Musella, adiacente allo Stadio Menti, lato tribune.

Riportiamo il comunicato che spiega l’iniziativa della Curva Sud:

 

La Curva Sud Stabiesi si stringe al dolore del popolo terremotato, ed informa la città che ci stiamo attivando (siccome siamo la città delle acque) di far arrivare diversi furgoni di acqua come bene di primissima necessità .
Per chi vuole contribuire con un piccolo gesto ci trova presso la nostra sede Associazione Gaetano Musella vicino allo stadio .
Un piccolo gesto vale un grande aiuto !!!
Non lo facciamo per la notorietà , ma perchè c’è lo ordina il nostro cuore.

 

Catania mai sconfitto in casa dallo Stabia: tutti i precedenti

Il Catania e lo Stabia si sono incontrate in gare di campionato quattro volte, prima al “vecchio campo Polisportivo” e poi allo stadio “Cibali” di Catania e in tutti e quattro gli incontri gli etnei hanno avuto la meglio. Vediamo nei dettagli tutti i precedenti:

1931 / 1932 – Campionato Nazionale di Prima Divisione girone ‘ F ‘

8 novembre 1931 – 6° giornata d’andata: CATANIA – STABIA 2 – 0.

1937 / 1938 – Campionato Nazionale di Serie C girone ‘ E ‘

8 maggio 1938 – 15° giornata di ritorno: STABIA – CATANIA 6 – 0 risultato tennistico a favore degli etnei che realizzarono tre reti per tempo, nel primo: Ravizzoli, Pinto e Corallo; nel secondo ancora Ravizzoli e Corallo ed infine Bellini.

1948 / 1949 – Campionato Nazionale di Serie C girone ‘ D ‘

26 dicembre 1948 – 14° giornata d’andata: CATANIA – STABIA 1 – 0 gol vittoria dei siciliani a metà primo tempo con Porcelli.

1951 / 1952 – Campionato Nazionale di Serie B

1° giugno 1952 – 16° giornata di ritorno: CATANIA – STABIA 4 – 2 (arbitro Jonni Cesare di Macerata) Brondi e una doppietta di Bartolini chiusero il primo tempo a favore dei rossazzurri, nel secondo, per le vespe prima accorciò l’attaccante Italo MARRA, poi ancora siciliani in gol su calcio di rigore realizzato da Klein ed infine per i gialloblù andò a segno l’attaccante Egidio DI COSTANZO.

Davide DI NICOLA
Davide DI NICOLA

Catania e Juve Stabia, si sono affrontate in gare di campionato due volte allo stadio “Angelo Massimino” di Catania ed in entrambi i confronti, la gara è terminata con il medesimo risultato, questi i precedenti:

1999 / 2000 – Campionato Nazionale di Serie C1 girone ‘ B ‘

21 novembre 1999 – 11° giornata d’andata: CATANIA – JUVE STABIA 1 – 1 (arbitro Attilio Belloli di Bergamo) al gol del vantaggio degli etnei di Passiatore a metà primo tempo, pareggiò ad inizio ripresa il bomber Davide DI NICOLA.

Diop
Abou DIOP

2015 / 2016 – Campionato Nazionale di Lega Pro girone ‘ C ‘

13 marzo 2016 – 9° giornata di ritorno: CATANIA – JUVE STABIA 1 – 1 (arbitro Fabio Schirru di Nichelino) l’ex Bombagi al ventisettesimo del primo tempo portò in vantaggio i siciliani ma dopo appena dieci minuti le vespe ristabilirono la parità con Abou DIOP.

Giovanni Matrone

 

Emergenza terremoto: l’aiuto del PD, come contribuire

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RICEVIAMO E VOLENTIERI PUBBLICHIAMO per l’ Emergenza Terremoto

Carissime, carissimi,
dopo il devastante terremoto che nella notte scorsa ha colpito il centro Italia ci siamo subito raccordati con il livello nazionale per fare in modo che anche il PD lombardo possa essere d’aiuto nel far fronte all’ Emergenza Terremoto .
Tutti noi possiamo contribuire – in particolare attraverso la rete dei nostri Circoli e delle Feste de L’Unità che si stanno svolgendo nella nostra Regione – non solo personalmente ma anche diffondendo attraverso tutti i canali disponibili (le Feste, il passaparola, i siti e social network…) le coordinate bancarie per la raccolta fondi in favore della popolazione colpita.

Vi preghiamo quindi di rendere il più possibile nota questa iniziativa.

Coordinate bancarie:
Iban – IT96H0103003200000006365314
Bic – PASCITMMROM

Partito Democratico
“Raccolta Fondi per Terremoto”
Via di Sant’Andrea delle Fratte 16
00187 Roma

Sono sicuro che ci attiveremo da subito nel modo più ampio possibile: grazie a tutti voi per quello che farete.

Un caro saluto,

Michele Orlando
segretario provinciale

vivicentro.it/terzapagina – vivicentro.it/nord/terzapagina

Specchio dei Tempi in aiuto dei terremotati: come donare

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Effettuato un primo versamento di 100.000 euro, aperta la sottoscrizione fra i lettori

Oltre millecento lettori de «La Stampa» hanno già versato un contributo alla sottoscrizione che la «Fondazione Specchio dei tempi» ha lanciato per sostenere le popolazioni colpite dal terremoto. Dopo che la Fondazione aveva destinato 100.000 euro di fondi propri, sono arrivate le donazioni con le carte di credito, quelle via bonifico e i versamenti sul conto corrente postale. In appena dieci ore, è stata raccolta una somma vicina ai 175.000 euro.

Come sempre «Specchio dei tempi» individuerà i progetti da realizzare in pochi giorni. Domenica saremo nei paesi più colpiti, incontrando i sindaci e la gente. E contiamo entro la prossima settimana di definire i primi interventi. L’obiettivo resta quello consueto: sostenere la ripresa dell’attività di scuole, asili, strutture pubbliche e sanitarie. «Cercheremo di dare una mano presto e bene – spiega il presidente Lodovico Passerin d’Entreves – con la responsabilità che merita la fiducia di tanti lettori».

Intanto a Genova «Il Secolo XIX» ha iniziato una raccolta fondi che confluirà nella sottoscrizione di Specchio.

COME DONARE

– Si dona con un bonifico sul conto corrente intestato a Fondazione – La Stampa Specchio dei tempi, via Lugaro 15, 10126 Torino, Iban: IT14 P033 5901 6001 0000 0117 200.

– Su conto corrente postale numero 7104, intestato a La Stampa – Specchio dei tempi.

– Oppure agli sportelli in via Lugaro 21 – anche con carta di credito o bancomat – dalle 14 alle 19, (sabato e domenica 16-19).

– È possibile usare la carta di credito anche con donazioni online (www.specchiodeitempi.org).

È utile indicare, nella causale «Terremoto Centro Italia». Le offerte (eccetto quelle in contanti) sono fiscalmente deducibili.

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Pescara del Tronto : la piccola Giorgia salvata dopo 15 ore

A Pescara del Tronto, borgo raso al suolo dal sisma, i soccorritori non perdono mai la speranza. Lavorano senza lesinare sulla fatica. La loro soddisfazione si chiama Giorgia, 8 anni, estratta viva dalle macerie dopo 15 ore di polvere, sassi, e paura.

Il paesino delle vacanze raso al suolo come in guerra FRANCESCO GRIGNETTI*

Giorgia, a 8 anni viva dopo 15 ore: il miracolo nel borgo cancellato. Salvata dalle macerie nella frazione distrutta ha sorriso ai suoi salvatori

Il paese che non c’è più era qui, aggrappato a una collina. Al suo posto c’è ora un grande silenzio. Il mormorio del fiume Tronto, a valle; il vento tra gli alberi; e poi il respiro affannoso di chi scava, e scava, e scava.

Pescara del Tronto, il paese che non c’è più, alle 3,30 della notte ha smesso di essere un borgo ed è tornato ad essere pietre. Qui sembra davvero che sia finita la speranza, oltre che la vita dei suoi abitanti. Un paese non può scomparire così, d’un colpo, come se l’avessero bombardato nella notte. E invece, no. A Pescara del Tronto i soccorritori non danno mai per morta la speranza. Lavorano senza lesinare sulla fatica. Gente in divisa e chi è arrivato con il badile del cantiere e vuole dare una mano. E hanno ragione a non mollare. La loro soddisfazione si chiamerà Giorgia, 8 anni, trovata dopo 15 ore di polvere, sassi, e paura. L’hanno chiamata a lungo e non rispondeva. I parenti che erano fermi a indicare quali massi spostare tremavano ormai. E la sorellina Giulia, di qualche anno più grande, purtroppo a sera non l’avevano ancora trovata. Lei invece, la piccola Giulia, che ha avuto anche la forza di sorridere ai suoi salvatori, salva per miracolo perché si è formato un incastro di travi che l’hanno protetta dalle pietre, alla fine è stata tirata fuori. Erano le 18. Dai resti di Pescara del Tronto si è alzato un lungo applauso liberatorio, spontaneo, tra chi, vigili del fuoco, paramedici, speleologi e soccorso alpino, volontari vari, mangiava polvere da ore e trovava per lo più cadaveri.

Per arrivare a Pescara del Tronto, lasciata la via Salaria, ci si inerpica per una strada che ora è ridotta a un sentiero. «La nostra frazione è rasa al suolo», si dispera il sindaco di Arquata del Tronto, Alessandro Petrucci. Sì, qui la natura si è accanita particolarmente. «Una cosa così non avrei potuto mai immaginarla», racconta un sopravvissuto, Vincenzo Di Schiavi, come tanti romano di adozione. «Sembrava che non dovesse finire mai. La scossa sarà andata avanti due o tre minuti. Prima il letto ha sussultato e ci ha svegliato, a me e mia moglie; poi ha cominciato a oscillare. Le scosse sbattevano il letto contro il muro. Bum, bum. Non riuscivamo a scendere».

Il signor Vincenzo e la moglie si sono salvati. Suo suocero, che abitava in una vecchia casa in pietra, non ce l’ha fatta. Il corpo l’hanno trovato attorno all’ora di pranzo. Mentre racconta, si tiene stretto il cagnolino al petto. E così fa la moglie. «Boh, dicono che i cani ti avvertono di un terremoto in arrivo. Questi hanno dormito…».

Il dramma di Pescara del Tronto è che storie così sono in pochi a poterle raccontare. Il grosso dei suoi abitanti è ancora sotto le macerie. Si parla di 100, 120 abitanti sepolti. «Dio perdona, la natura no», dice il vescovo di Ascoli, monsignor D’Ercole, che dalle 5 del mattino è in giro per queste frazioni e poi si è fermato al parco giochi di Pescara del Tronto, trasformata in un obitorio a cielo aperto. «Perché la natura si vendica, se la offendi». E mentre parla, fa un largo giro con le braccia indicando le case che un tempo dovevano essere tutte aggrappate a questa collina e che ora sono una distesa di macerie.

Pescara del Tronto era un paesino di villeggianti. La sua parabola ricorda quella di tutti i nostri borghi di montagna: cinquanta anime d’inverno, cinquecento a ferragosto, quando tutte le seconde case sono aperte. «Se questa scossa succedeva una settimana fa, qui era una strage», spiega un altro dei sopravvissuti, Giuseppe Cafini, che normalmente vive a Pomezia. «Noi ci siamo salvati perché grazie a Dio i solai hanno retto. Una parete è come esplosa, ma il resto ha tenuto». Quando la botta è finita, ha preso una torcia e con l’aiuto della moglie ha portato fuori padre, suocera, e badante.

Subito dopo la scossa, hanno cominciato a vagare tra le rovine e a chiamarsi tra di loro, gli abitanti. Al buio. «Accanto a me c’era una famiglia di romani, che si erano comprati una casetta e ci avevano messo almeno 5 anni a mettersela a posto. Ho capito che non c’era niente da fare. Era venuto tutto giù». I vigili del fuoco li hanno estratti al mattino: morti padre, madre e figlia. Uno strazio.

E c’è chi si è salvato perché sono arrivati i parenti a salvarlo. Riccardo Vertecchi, 60 anni, che abita a Cascia, si è messo in macchina alle 5 del mattino con il fratello. Gente di poche parole e molti fatti, i suoi nipotini Leone e Samuele erano stati con lui a Cascia fino a ferragosto. Poi erano andati dai nonni, a Pescara del Tronto. Mentre Mauro, il papà dei bambini, arrivava anche lui guidando lungo la Salaria, il signor Riccardo è andato a prendersi i piccoli. Scavando a mani nude, assieme ai primi vigili del fuoco che nel frattempo erano arrivati da Ascoli, ha salvato bimbi e nonna. «Un miracolo». Il nonno non ce l’ha fatta. E come lui tanti, troppi bambini.

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* INVIATO AD ARQUATA DEL TRONTO

Accumoli : distrutta una famiglia! Schiacciati in casa dal campanile

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Ad Accumoli un’intera famiglia è morta nel sonno: una giovane coppia e due piccoli bimbi, Stefano e Riccardo – rispettivamente 7 anni e 8 mesi – sono rimasti intrappolati nella loro casa, schiacciata dal campanile della chiesa adiacente crollato sul tetto.

Accumoli, la famiglia distrutta dal campanile appena restaurato PAOLO FESTUCCIA*

Una giovane coppia muore nel sonno con i due figli. Il tetto della casa sfondato dalle macerie della chiesa

Alle 3.36 erano tutti al centro in paese. Anziani e bambini, nonne e cugini. Poi la conta e il terrore. All’appello mancavano in tanti. E lungo la curva tra chiesa e caserma nessun segnale di Andrea e Graziella.

Tutti lì, dentro la casa squarciata dal sisma: un’intera famiglia, una giovane coppia e due piccoli bimbi: Stefano e Riccardo, rispettivamente 7 anni e 8 mesi. Intrappolati dentro un palazzo sfondato dal peso del campanile della chiesa adiacente crollato sul tetto. Un campanile restaurato con i fondi del terremoto aquilano e che conficcandosi nell’abitazione ha ucciso un’intera famiglia trascinando via la loro casa e ogni speranza di vita. Speranze giudicate flebili sin dai primi momenti, ma alle quali un intero paese ha provato a legarsi. «Dobbiamo crederci…». E del resto, «loro dormivano in quell’altra stanza», indicavano da fuori i parenti ai primi interventi della protezione civile.

Gli uomini dei soccorsi forzano l’ingresso, provano a superare le scale bloccate dai crolli. Sentono lamenti, ma alla fine devono arrendersi: «Impossibile, non si riesce proprio ad entrare». Due agenti della polizia, Candido Vallocchia e Enrico Marchioni, scavano a mani nude, poi più tardi ritentano i vigili del fuoco. Ma il risultato non cambia. Nel frattempo sono passate oltre quattro ore quando arriva la prima pala meccanica. Si prova ad aprire il fianco della casa nella parte inferiore. Dall’interno nessun lamento, nessuna richiesta d’aiuto. Nella casa c’è un’intera famiglia, papà Andrea di 35 anni e mamma Graziella di 32. Sono accumulesi doc. Andrea lavora, la moglie si occupa dei figli: una vera passione.

Una «famiglia perfetta», e «lui un giovane straordinario, gran lavoratore», commenta chi da ore davanti a quella casa spera in un finale diverso. «Colpa del campanile – assicura una donna in fondo alla via di fronte al belvedere -. Se non ci fosse stato quel campanile…». E ancora: «Ma come è possibile che sia crollato dopo essere stato restaurato». Certo è, però, dice Antonio, quasi novanta primavere suonate e lacrime al volto, «Na botta cocì no a so se sentita mai».

Eppure la serata era filata via liscia. Fino a dopo «mezzanotte con Andrea abbiamo giocato a carte in piazza. Chi lo avrebbe mai immaginato. Questa botta non ci voleva. Abbiamo perduto tutto. Una tragedia, recentemente sua moglie aveva perduto anche il fratello in un incidente stradale. Un grande dolore per tutta la famiglia».

LEGGI ANCHE: L’Italia ferita dal terremotoL’ hotel Roma non c’è più: il terremoto l’ha distrutto

Un momento complicato per la perdita di un affetto tanto caro, insomma, difficile ma come tante volte lo è la vita. Ma la loro ultima serata, quella tra martedì e mercoledì, come molte altre in queste sere di agosto appena passate era filata via liscia nella piccola piazza di San Francesco. Il bimbo più piccolo (Riccardo) al letto presto, e Stefano il grande deluso per le sorti della Roma. Anche lui come tanti altri bambini sognava i grandi del calcio, le vittorie della Roma, «Totti e gli altri compagni», racconta una parente scesa in strada senza scarpe nella notte più drammatica e difficile per Accumoli. Andrea era socievole, suonava nella banda, era un pezzo di gioventù e di vita per Accumoli all’interno di un sistema sociale dove i più giovani cercano di andare, cambiare, uscire da quel piccolo mondo montano che solo in estate prova a diventare città. Andrea era autentico, come «l’intera famiglia. Mai avrebbero lasciato Accumoli».

Poi le due terribili scosse. Ma è stata la prima «che li ha portati via», commenta uno degli operatori cinofili che con il suo labrador ha fiutato i cadaveri. «Loro due erano nel letto con il bimbo più piccolo in un lettino accanto. Sono stati uccisi nel sonno, quasi senza rendersene conto».

Fuori dal palazzo sventrato si vede appesa poco dopo la porta una foto incorniciata con la coppia abbracciata. Insieme, felici e sorridenti. Così come lo erano del resto – ascoltando i racconti – nella loro vita. Mai uno screzio, un problema uscito dalle mura domestiche. Affiatati e legati dalla passione per i figli. Riccardo, il più piccolo, pare fosse ancora vivo quando sono arrivati intorno alle quattro e mezzo del mattino i primi soccorritori. Poi, però, raccontano, lo sciame sismico che si è protratto nei momenti successivi «lo ha portato via irrimediabilmente». Riccardo è stato anche il primo della famiglia che i soccorritori hanno condotto fuori dall’interno della casa. Quando il bimbo esce avvolto in una coperta di colore verde tra le braccia di un vigile del fuoco nessuno riesce a trattenere le lacrime. Anche tra coloro che lo hanno tirato via da quelle macerie. C’è un misto di dolore, rassegnazione, ma anche di rabbia. Rabbia per una giovane famiglia che non ce l’ha fatta sin dal momento della prima grande scossa ad accorrere al centro della piazza come gli altri accumulesi. Che sia il destino, la vita o peggio ancora quel campanile appena ristrutturato della chiesa accanto che non ha retto alle scosse, di certo Accumoli da domani è ancora più sola.

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* INVIATO AD ACCUMOLI

L’ hotel Roma non c’è più: il terremoto l’ha distrutto

Era una serata di festa all’ hotel Roma, il più noto albergo di Amatrice, 40 stanze, molte occupate. Ora l’albergo più gettonato della zona non c’è più, proprio come Amatrice. Metà hotel è implosa, l’altra metà si è inclinata a valle e le stanze sono volate giù, per decine di metri.

L’ultima notte dell’hotel Roma: “Qui non ci sono più feriti” MATTIA FELTRI*

Era serata di festa nell’albergo di Amatrice, 40 stanze, quasi tutte occupate dai turisti. La disperazione dei soccorritori: “Bimbi estratti dalle macerie, dove sono i genitori?”

LEGGI ANCHE: L’Italia ferita dal terremoto

Le lancette dell’orologio della torre civica di Amatrice sono rimaste bloccate sull’istante del disastro (Reuters)
Le lancette dell’orologio della torre civica di Amatrice sono rimaste bloccate sull’istante del disastro (reuters)

Il silenzio è l’ultima cattiva notizia. «Non si sente più un’ambulanza né un grido. Non un solo rumore», dice una volontaria della Misericordia di Antrodoco, provincia di Rieti. È metà pomeriggio ad Amatrice e il primario dell’ospedale, Stefano Previtera, da qualche ora aspetta feriti che non arrivano più.

«Tutto finito a mezzogiorno. Davamo le prime cure e poi la gente veniva portata agli ospedali di Rieti, Roma, Ascoli. Ma adesso, purtroppo…». La volontaria telefona alla sorella, che è dall’altro lato del paese, sotto l’hotel Roma. «Dice che hanno tirato fuori dei feriti stamattina, poi basta. Lì è il disastro».

L’hotel Roma, il più gettonato del luogo, come Amatrice, non c’è più. L’altra notte ospitava un centinaio di turisti. Molti bambini, ma non si sa quanti. L’hotel poggiava su un terrapieno che per la scossa ha ceduto. Metà hotel è implosa, l’altra metà si è inclinata a valle e le stanze sono volate giù, come fossero di cartapesta, per decine di metri. «Non ne troveranno più uno vivo» dice al tramonto Marcello, che fa il costruttore edile nella zona. Ma forse è soltanto la disperazione. Forse l’orrore di questo panorama. Sta cercando i nipoti della fidanzata, due gemelli di sette anni, e non li trova. Nessuno qui sa chi ci fosse dentro l’albergo. La proprietaria vaga vicino al punto di raccolta nell’area Est del paese. «Il piano terra è rimasto quasi intatto, ma sopra non c’è più niente», dice. Abbraccia un’amica, deglutisce, e non risponde più alle domande.

I VIGILI DEL FUOCO  

Già da ieri sera i vigili del fuoco e la protezione civile hanno cominciato a entrare nelle macerie dell’albergo. Martedì sera c’era stata una delle tante sagre che il Roma ospita d’estate. Le cose che si fanno nei paesini dell’entroterra, si mangia e si beve e si canta fino a tardi e sabato era previsto il clou, la serata dello spaghetto all’amatriciana, della cui ricetta originaria, in tutta la sua sacralità, il ristorante dell’hotel è considerato il depositario. «Qui ad Amatrice vive sì e no un migliaio di persone, con le settanta frazioni si arriverà a tremila. Ma questa è la settimana di pieno, non è mai così per il resto dell’anno. Fra un settimana sarebbe stato terribile ma non così, così è insopportabile», dice Luca, tecnico radiologo nel piccolo ospedale di Amatrice. Dice che qui molti, soprattutto molti romani, hanno una seconda casa, dove magari vivono i genitori che d’estate tengono i nipotini in vacanza. I segni dei bambini sono ovunque, lungo il corso del paese spazzato via dalle scosse. Peluche di Peppa Pig, un pupazzetto dei Pokemon, un’automobilina Ferrari, pezzi di Lego, fumetti, scarpette, piccole felpe Gap, sussidiari scolastici, quaderni dei compiti. Anziane signore piangono con le mani rovinate. All’alba sono state sorprese dai soccorsi mentre scavavano. Giulio, 26 anni, subito dopo la scossa ha preso un camion – anche se non ha la patente specifica – ed è andato dal suocero a prendere attrezzi buoni a spostare pietre e sassi e lavandini venuti giù sulla strada insieme ai frigoriferi e agli armadi . «Ho tirato fuori due bambini, erano molto piccoli, avranno avuto un anno e mezzo o due. Un maschio e una femmina. Io sono di qui, conosco tutti, ma loro non so chi fossero. Sicuramente dei villeggianti. Stavano bene, dicevano qualche parola. Erano spaventati ma non piangevano. Sono stati bravissimi. Li ho portati in un punto di raccolta. Di loro non so più niente. Se abbiano perso i genitori, se qualcuno li stia cercando. Niente. Ho tirato fuori anche una ragazzina ma per lei non c’era niente da fare. Ho tirato fuori dei morti e non conoscevo il loro volto».

LO STRAZIO DEI PARENTI  

I parenti arrivano da fuori, intasano la strada che, bloccata per tutti gli altri a sette chilometri dal centro, conduce verso la fine di questo piccolo mondo. Antonio, di San Benedetto del Tronto, ci dà un passaggio: «Non ho notizie di mia madre ma grazie al cielo avevo portato via i miei figli proprio ieri. Hanno tredici e undici anni. Non riesco a pensare a che cosa poteva succedere, e poi adesso devo pensare a mamma». I pochi corpi recuperati giacciono in obitori di fortuna, in giardini con carriole rovesciate e ringhiere divelte. Sono avvolti in lenzuola da cui esce una mano, capelli intrisi di polvere. Gente in ciabatte, in pigiama, con borse di plastica colme di pochi vestiti, bottiglie d’acqua e confezioni di biscotti, aspetta per il riconoscimento. C’è il sangue, ci sono le lacrime, tutto lo spaventoso corredo di questi momenti. Ci sono case e palazzine quasi tutte collassate. Uomini e donne in fila, ognuno con una propria disperazione, che aspettano di essere chiamati per controllare il volto dei morti. Una ragazza che viene da Roma singhiozza: «Qui dentro i miei genitori non ci sono. Sì lo so, forse sono ancora vivi. Ma dove sono? Nessuno lo sa». Arriva un’altra scossa, la millesima. Non la ascolta più nessuno.

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lastampa/L’ultima notte dell’hotel Roma: “Qui non ci sono più feriti” MATTIA FELTRI*

* INVIATO AD AMATRICE (RIETI)

Il sisma evidenzia forza e debolezza

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La forza è nella professionalità dei soccorritori, mentre la debolezza è la rassegnazione ad abitare in centri vulnerabili ai terremoti. Polvere e paura: i volti della tragedia assomigliano a quello della suora con la fronte insanguinata. Nel terremoto che ha ferito l’Italia i morti sono almeno 247. I dispersi centinaia, gli sfollati migliaia.

La debolezza e la forza di un Paese MAURIZIO MOLINARI

Il sisma che ha ferito l’Italia evidenzia forza e debolezza del carattere nazionale. La forza è nello slancio dei volontari e nella professionalità dei soccorritori impegnati a sollevare ogni pietra dietro la quale può esserci una vita, nella solidarietà fra abitanti della terra ferita, nel rispetto per le vittime sconosciute e nella corsa a donare ai sopravvissuti. La debolezza è invece nella rassegnazione ad abitare in centri urbani vulnerabili ai terremoti, nella fatalità con cui si accetta la furia della Natura, nella passività con cui ci si trasferisce in alloggi precari sapendo che dureranno a lungo, nel sentimento di impotenza davanti ad un edificio che crolla in aree remote, difficili da raggiungere, spesso prive di servizi basilari. Bisogna costruire sulla forza della nostra nazione con la stessa determinazione con cui dobbiamo aggredirne le debolezze.

La strada per riuscirci è trasformare il coraggio e l’intraprendenza dei soccorritori in un modello di intervento per poter sconfiggere il tabù di edifici considerati impossibili da difendere dai sismi solo perché costruiti in epoche lontane e in aree rischiose. Come dimostrano gli studi dell’Università di Princeton e i precedenti del Cile – terra di terremoti – l’ingegneria anti-sismica ha la nuova frontiera nella tecnica del «retrofit» che consente di ristrutturare gli edifici per farli resistere a potenti scosse.

Fra le sfide del nuovo secolo c’è ridefinire la presenza sul territorio per convivere con i pericoli ambientali, a cominciare dai terremoti visto che ne abbiamo subiti in Italia ben 400 negli ultimi 2000 anni, inclusi almeno 15 grandi dal 1905. Per comprendere come ricorrere alla creatività per sanare le debolezze bisogna ascoltare Carmine Galasso, docente di Ingegneria anti-sismica all’University College di Londra, secondo il quale abbiamo «uno dei più avanzati standard di costruzioni» ma dobbiamo ancora «adattare i vecchi edifici alle nuove regole». Ovvero, sappiamo come proteggerci ma tardiamo a farlo.

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L’Italia ferita dal terremoto (VIDEO)

Nel terremoto che ha ferito l’Italia i morti sono almeno 247. I dispersi centinaia, gli sfollati migliaia. Polvere e paura: i volti della tragedia assomigliano a quello della suora con la fronte insanguinata. Il sisma evidenzia la forza e la debolezza del carattere nazionale: la forza è nella professionalità dei soccorritori, mentre la debolezza è la rassegnazione ad abitare in centri vulnerabili ai terremoti.

Ore 3:36, la terra trema. Sbriciolati i paesi, l’incubo dei dispersi NICCOLÒ ZANCAN*

Terremoto nel cuore della notte: “È peggio dell’Aquila”. Almeno 132 vittime. Pescara del Tronto non esiste più

Cercano un bambino che si chiama Leone. Trovano un piccolo cane ferito. Salta fuori da un buco polveroso con appiccicato sul dorso un pezzo di scotch. C’è scritto: «Questo è il cane di Barbara». Ma Barbara dov’è? Barbara che era arrivata da Roma per stare qualche giorno con la famiglia del suo fidanzato la tirano fuori a metà pomeriggio. «Io voglio credere che non si sia accorta di niente, come quelle due ragazzine che abbiamo trovato abbracciate. Come la badante che non riuscivamo proprio a rintracciare, perché era sprofondata giù di sessanta metri». Roberto Bartola del soccorso speleologico delle Marche si toglie il casco dopo quattordici ore di tentativi inutili. Tira un vento spaventoso. Il cielo è limpidissimo. Scende la sera sulle ennesime rovine italiane, all’incrocio esatto fra Lazio, Marche, Umbria e Abruzzo.

È ancora quell’Italia minore di cui ci si accorge sempre troppo tardi, appena in tempo per rimpiangerla. Quella dei vecchi e dei giovani ancora insieme. Delle sagre degli spaghetti in mezzo ai boschi, delle «bisteccate». Vacanze dai nonni, camminate, fiori freschi sui davanzali nelle case restaurate dei vecchi borghi. Adesso è tutto crollato. Diciamo così, ma è solo per semplificare. Non c’è nessuna logica in quello che è successo. Qualcosa è crollato fino a sbriciolarsi completamente, qualcosa si è salvato. Magari nello spazio della stessa strada, persino fra case gemelle. Come se qui si fossero abbattute la zampate di un dio perfido: quattro affondi terrificanti prima di passare oltre. Accumoli, Amatrice, Arquata. Qui la frazione Pescara del Tronto è cancellata. Più di 130 morti alle undici di sera, più di 250 feriti. Non è chiaro il numero dei dispersi.

LA STRADA DELLE VACANZE

La vecchia strada Salaria tiene insieme tutto questo dolore. Devi percorrerla ai sessanta all’ora assieme ai mezzi di soccorso incolonnati come in guerra. E’ la statale numero 4 che collega Roma all’Adriatico, un versante all’altro. La strada che portava alle vacanze, ma adesso non più.

All’altezza di Rieti inizi ad accorgerti di quanti volontari stiano convergendo da ogni parte d’Italia. Ma è poco prima di Fonte del Campo, un piccolo paese sulla strada, che ti fanno segno di rallentare con le bandiere arancioni. L’asfalto ha ceduto senza crollare. La Salaria è fatta a gradini. Ma ha retto. Invece non funzionano i telefoni, è impossibile collegarsi ad internet. Le notizie sono imprecise. Tanto che i soccorritori chiedono di lasciare aperti i wifi a tutti i residenti. Ma come si fa senza elettricità? Puoi avere tutta la tecnologia del mondo ma stanno scavando ancora a mani nude. È un buon segno. È delicatezza. Cercano di non peggiorare lo sfacelo. Forse c’è ancora qualche speranza. Ma poi alle sette di sera la Salaria si riempie di mezzi pesanti. Sono camion che trasportano gru e pale meccaniche. «Sentivamo una voce chiamare, un uomo di mezz’età, ma ora non si sente più», dice un ragazzo che si chiama Marco Firmani. Era ad Ascoli a festeggiare con la famiglia la laurea appena conseguita in Biologia molecolare. Con quattro amici è partito alle sei del mattino per non sentirsi inutile. Ed è ancora qui: «Ti dico la verità, la situazione è disperata, non sentiamo più voci là sotto alle macerie. E’ una cosa molto triste». Vanno su con i cani molecolari adesso, addestrati a cercare tracce.

QUEI CORPI NEI SACCHI  

Si arrampicano su scale di legno mentre continuano le scosse, mettono piedi su macerie che rotolano a valle su altri soccorritori. Tornano indietro con due sacchi arancioni. «Due signori anziani», dice uno. «Marito e moglie» spiega l’altro. Poi arriva un altro morto in un sacco da ferito. Hanno tentato di fargli il massaggio cardiaco. Gli hanno girato un lenzuolo intorno al viso. Perché è il rispetto che si deve alla morte. Ora ci sono tre salme in fila sulla piccola strada in salita, accanto alla cagnetta di Barbara che invece è viva ma non si muove, irrigidita dalla paura. Portano via i morti sulle autoambulanze. Senti le grida di chi ha capito. Mentre i soccorritori continuano ad andare avanti indietro, senza smettere di arrampicarsi su questa geografia rovesciata. Case al contrario. Il letto di un bambino. Le zucchine dell’orto. Un bidet, una scarpa con il tacco, il giornale di Frate Pellegrino.

Questa è anche un’Italia fatta di parole che ormai sono diventate pezzi immarcescibili del nostro lessico famigliare, tramandati negli anni da generazioni: macerie, frane, sciacalli, tendopoli, incuria. Dopo il Friuli, dopo l’Irpinia, dopo l’Aquila e l’Emilia. Si arriva sempre a scoprire che questo Paese bellissimo è privo di manutenzione. È mezzo crollato l’ospedale di Amatrice, evacuato nel panico dopo la prima scossa, per il quale erano stati stanziati 2 milioni di euro per la messa in sicurezza. Ma il consolidamento non era ancora stato fatto. È un’Italia sempre piena di rimpianti.

IL SINDACO IN LACRIME  

Di sera la temperature scende a 10 gradi. Stanno montando tende ovunque lungo la Salaria. Nei parcheggi dei supermercati e negli spiazzi dei benzinai. Frane minacciano di crollare dai costoni della montagna. La terra continua a tremare. Ogni tanto una nuvola di polvere si stacca dalle rovine e sbuffa via. Stefano Petrucci, sindaco di Accumoli, all’ennesima intervista scoppia in lacrime: «Nove deceduti, altri due li stiamo tirando fuori adesso. È difficile immaginare un futuro qui. Questi sono paesi abitati da una popolazione ultra settantenne. I pochi giovani che avevano deciso di vivere con noi si sono visti crollare addosso tutti i loro sforzi. Ho paura che perderemo questa terra, le nostre radici. Ho paura di quando ve ne andrete e resteremo soli, con le tende e con l’inverno».

LE SALME SUL PIAZZALE

E’ la prima notte del terremoto del 24 agosto 2016. Le salme vengono allineate in un parcheggio su un piccolo pezzo di prato. Ognuno cerca di fare la sua parte. Ma è anche un modo per non mettersi a guardare tutto questo. Non esiste ancora un censimento della tragedia. Quante persone mancano all’appello? La protezione civile: «Non possiamo dare un numero che non abbiamo». Neanche i sindaci sanno rispondere. La notte è illuminata da gruppi elettrogeni. Montano pezzi di fognature. Senti il rumore dei generatori, mentre stanno facendo altri tentativi. Arriva dell’acqua, portano del pane. Una famiglia scappa via per tornare a Roma. Li vedi infilare quello che resta delle loro casa di vacanza nei sacchi dell’immondizia, prima di chiudere il bagagliaio.

FUOCHI NELLA NOTTE  

Ma a Pescara del Tronto i pochi scampati non se ne vogliono andare. Accendono fuochi davanti a quello che resta. Tutto è reso più difficile dalla pendenza. Ogni cosa rischia di crollare ulteriormente. Passa un soccorritore della protezione civile: «Ero anche all’Aquila nel 2009, ma qui è peggio». Non può essere questa l’ultima frase della notte più lunga. Dove è finito il bambino Leone? Dove sarà sua nonna? Perché sono sempre le stesse domande a farci piangere?

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lastampa/Ore 3:36, la terra trema. Sbriciolati i paesi, l’incubo dei dispersi NICCOLÒ ZANCAN*

*INVIATO A PESCARA DEL TRONTO

Polvere e paura: i volti della tragedia

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Polvere e paura: i volti della tragedia assomigliano a quello della suora con la fronte insanguinata (nella foto in alto). Nel terremoto che ha ferito l’Italia i morti sono almeno 247. I dispersi centinaia, gli sfollati migliaia. Il sisma evidenzia la forza e la debolezza del carattere nazionale: la forza è nella professionalità dei soccorritori, mentre la debolezza è la rassegnazione ad abitare in centri vulnerabili ai terremoti.

Polvere e sangue, il volto della tragedia MASSIMO GRAMELLINI

I volti delle tragedie si assomigliano tutti: polvere, sangue, paura. Questa suora con la fronte insanguinata e un telefonino attempato nella mano sinistra si chiama Mariana, è albanese, ha 32 anni. Appena i muri della stanza hanno cominciato a crollarle addosso si è nascosta sotto il letto e ha invocato aiuto, fino a quando un ragazzo l’ha tirata fuori in qualche modo dalle macerie del convento di Amatrice che ancora ricoprono tre sue consorelle e quattro ospiti anziani. Si è vestita al buio e a strati, indossando tutto quello che riusciva a recuperare nell’armadio sommerso dai detriti. L’hanno sdraiata sulla strada, accanto alla barella di un ferito più grave che la coperta sottrae all’obiettivo del fotografo, in attesa di correre in ambulanza verso un qualsiasi ospedale rimasto in piedi, dal momento che quello del paese si è sfaldato come neve al sole.

La suora insanguinata è un’immagine che evoca giudizi divini o possibili attentati a sfondo religioso, ma qui Dio c’entra poco e le belve del terrorismo per nulla. Questo è un attentato che gli italiani si sono fatti da soli. Ogni cinque anni, puntuale come una ricorrenza sacra, la terra dell’Appennino trema. E ogni cinque anni ci sono quartieri e paesi che crollano. Si piange, si deplora – qualcuno ride pure annusando il profumo degli appalti – e poi si ricomincia come prima, come sempre. Senza mai degnarsi di avviare un programma di rattoppo del territorio, magari copiando Giappone e California, dove i terremoti di magnitudo 6 da tempo non mietono più vittime né fanno squagliare ospedali.

Le cronache zampillano di casi umani, soccorritori coraggiosi, volontari commoventi. Nell’emergenza lo Stato esibisce la sua faccia migliore, ieri per la prima volta incarnata alla Protezione Civile da una donna, la sensibile e tosta Immacolata Postiglione, e persino la politica caciarona mostra eccezionalmente uno sguardo grave e responsabile. Ma sulle luci della riscossa, specialità della casa, incombono l’ombra della mancata prevenzione e il solito mantra che accompagna ogni tragedia dell’incuria in Italia: quando la smetteremo di lasciarci sorprendere dal prevedibile?

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lastampa/Polvere e sangue, il volto della tragedia MASSIMO GRAMELLINI

L’Italia non si arrenda, i terremoti non sono una fatalità destinale

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L’Italia è un Paese montuoso, ad altissimo rischio sismico I terremoti lo hanno sempre tartassato Questo, però, non significa che la devastazione portata dalla terra tremante sia una fatalità destinale. Adesso, la lotta che ci attende è il restauro di quegli antichi borghi perché resistano ai terremoti futuri.

Ora evitiamo le lacrime di facciata ANTONIO SCURATI

Nessuno pianga. Non una sola lacrima mediatica sia versata per Amatrice a favore di telecamere o di obiettivi fotografici.

E non mi riferisco, ovviamente, alle lacrime di strazio della novantasettenne Giulietta che tra le macerie, con il suo ultimo fiato, piange sull’apocalisse senza rimedio del suo piccolo mondo collinare o a quelle di qualsiasi altra vittima colpita nella fibra più intima del suo essere da questo strazio. Tutti costoro piangeranno, com’è naturale che sia. Spesso, purtroppo, non resterà loro altro che il pianto e a noi, prima ancora che di prestare loro aiuto e soccorso, toccherà, secondo umanità, di compiangerli, di abbracciarli nella nostra compassione. Piangano, dunque, le vittime. E noi con loro. Ma non gli attori mancati di un possibile copione alternativo a quello della fatale tragedia che non fu mai recitato. Sono le lacrime dei leader politici, degli amministratori con grandi responsabilità nazionali, dei «potenti» che avrebbero potuto fare e non hanno fatto – lacrime sempre più frequenti in questi nostri anni emozionabili e inetti – che non vorremmo più vedere sulla scena mediatica della disperazione altrui.

Il pianto plateale dell’uomo pubblico si è recentemente affermato come una delle significative novità del nostro tempo. Fino a pochi decenni or sono, sarebbe stato impensabile che un leader politico, religioso o sportivo, si sciogliesse in lacrime di fronte al suo seguito. Una tale manifestazione di emotività incontrollabile avrebbe quasi sicuramente segnato la sua fine. Se Winston Churchill, di fronte all’aggressione nazista, promettendo ai suoi connazionali la vittoria al prezzo di sangue, sudore e lacrime, avesse pianto mentre lo faceva, gli inglesi non lo avrebbero seguito e Hitler avrebbe probabilmente vinto la Seconda guerra mondiale. Oggi, al contrario, i vistosi segni di commozione sul volto degli uomini eminenti sono diventati una costante e, in talune circostanze, quasi un obbligo opportunistico. Li rendono più «umani», più vicini, osserverà qualcuno. Nel caso di drammi terribili come quelli del terremoto di Amatrice, vanno, invece rifiutati, stigmatizzati con fermezza. E non per la loro presunta insincerità, ma perché il pianto plateale del potenziale agente di un’azione collettiva che avrebbe potuto prevenire e scongiurare la tragedia riduce la collettività civile e politica a una audience di meri spettatori passivi e inetti. La facile e immediata possibilità di consumo mediatico della sofferenza patita da persone a noi estranee in occasione di guerre, calamità naturali o catastrofi storiche è forse la principale e più pericolosa novità della nostra epoca. Ogni volta che un leader politico, accorso sulla scena del disastro, invece di agire piange, l’epoca affonda in se stessa.

L’Italia è un Paese collinare, montuoso, ad altissimo rischio sismico. I terremoti lo hanno sempre tartassato e sempre lo tartasseranno. Questo, però, non significa che la devastazione portata dalla terra tremante sia una fatalità destinale. Lo sbriciolarsi di edifici privati e pubblici, in pietra o in cemento, sotto la sferza di scosse o alluvioni, non è il colpo del destino ma la colpa di case costruite senza criteri antisismici, di un patrimonio costruttivo vetusto e mal tenuto. I nostri avi, per secoli, hanno ricostruito città e paesi distrutti nel punto esatto in cui erano crollati. Quell’ostinazione era il loro modo di lottare contro il fato. La lotta che attende noi è il restauro di quegli antichi borghi perché resistano ai terremoti futuri.

Noi italiani moderni siamo figli del melodramma. Abbiamo Verdi come padre. Il genio di Busseto c’insegnò che nel pianto, nella lacrima di commozione, si distilla la verità della condizione umana. Ma ciò che nell’arte è sublime, nella vita è nevrosi o, peggio, colpevole inerzia. Risparmiamo, dunque, il pianto e prodighiamo ogni sforzo per rifondare il Paese, i paesi. Il terremoto siamo noi.

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Eccellenza, Barano:” Il difensore Autiero in prova “

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Barano in Eccellenza!

Rinforzare il reparto difensivo è la grande priorità in casa Barano Calcio. Il dg Gianfranco Pilato è al lavoro per completare la rosa con l’acquisto di due calciatori di esperienza e valore: un centrocampista, in grado di non far rimpiangere Carlo Siciliano, ed un difensore appunto. Dopo Vitaliano Rossetti, un altro difensore è giunto oggi in prova al “Don Luigi Di Iorio” Ciro Autiero. Classe 1988, in grado di giocare sia da esterno che al centro del pacchetto arretrato, Autiero è reduce dalla stagione al Mondragone. In passato, il  calciatore, con esperienza anche in quarta serie con Francavilla e Genzano, ha indossato, in due circostanze diverse, la casacca di un’altra compagine isolana: il Procida Calcio.Il difensore svolgerà un periodo di prova e si allenerà al “Don Luigi Di Iorio” fino a giovedì per poter essere valutato dall’allenatore bianconero Giuseppe Monti.

Catania – Juve Stabia, inizia la prevendita dei biglietti senza il porta un amico

Inizia la prevendita dei biglietti di Catania – Juve Stabia

Sabato inizia ufficialmente il campionato per la Juve Stabia che sarà ospitata dal Catania e oggi inzia la prevendita dei biglietti per il settore ospiti dello stadio “Massimino”.

Per questa gara c’era tanta preoccupazione per un possibile divieto di trasferta per i tifosi gialloblè, a causa dei rapporti non “idilliaci” tra le due tifoserie. Il buon senso però ha avuto ragione su questo possibile divieto, per cui i tifosi della Juve Stabia potranno seguire la loro squadra del cuore in questo primo appuntamento di un campionato che porterà con se tanta speranza di poter vivere i fasti di un tempo non troppo lontano. Questo il testo del comunicato stampa della Juve Stabia:

“S.S. Juve Stabia rende noto che sono disponibili, come da vigente normativa, ESCLUSIVAMENTE per i possessori della Tessera del Tifoso, i tagliandi di ingresso del Settore Ospiti dello Stadio “Angelo Massimino” di Catania per assistere all’incontro di calcio Catania-Juve Stabia, in programma sabato 27 agosto alle ore 16,30 e valevole per la 1a giornata del Girone C della Lega Pro Divisione Unica 2016/17.

Il Calcio Catania, nel rispetto delle direttive ministeriali, NON HA ADERITO al progetto “Porta un amico allo stadio”.

I biglietti sono in vendita al prezzo di € 10, più eventuali diritti di prevendita, fino alle ore 19,00 di venerdì 26 agosto, presso le ricevitorie abilitate al circuito TICKETONE.”

Juve Stabia, un ex si accasa al Mantova

Samuele Romeo è un calciatore del Mantova

Samuele Romeo passa ufficialmente al Mantova. L’ex difensore della Juve Stabia era svincolato in virtù del mancato rinnovo di contratto con la Juve Stabia.

Per il difensore siciliano, che ha indossato per due stagioni e mezza la maglia delle Vespe, comincia la nuova avventura a Mantova. 

Al difensore ha portato bene l’intervento telefonico di lunedì alla trasmissione radiofonica di ViViCentro, Il Pungiglione Stabiese. Per Romeo, subito dopo la trasmissione, è infatti arrivata la chiamata della nuova squadra.

A Samuele vanno gli auguri per un futuro ricco di soddisfazioni.

Di seguito il comunicato del Mantova:

“Il difensore Samuele Romeo, classe 1989 ha firmato un contratto annuale con la società biancorossa dopo le esperienze in serie C con la Juve Stabia e in serie B con la stessa Juve Stabia e Empoli. Romeo da oggi pomeriggio è a disposizione di mister Prina e dei compagni e indosserà la maglia numero 3″

TERREMOTO – Architetti : «Messa in sicurezza edifici frenata dal conservatorismo»

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Terremoto Centro Italia, interviene il presidente dell’Ordine catanese Giuseppe Scannella: uscire dall’inerzia per avviare interventi preventivi

Lettera a vivicentroCATANIA – A poche ore dal forte sisma di magnitudo 6.0 – che ha colpito la vasta area fra Lazio, Marche, Umbria e Abruzzo  provocando morti e feriti – il presidente dell’Ordine degli Architetti di Catania Giuseppe Scannella interviene con una nota per sollecitare la classe politica a uscire dall’inerzia: «L’ennesima tragedia avvenuta nel Centro Italia, non per questo inaspettata, ci riporta alla mente le infinite volte che la comunità degli architetti e ingegneri, insieme alle altre professioni tecniche, ha sollecitato i responsabili della cosa pubblica a mettere in campo una seria e generale messa in sicurezza del patrimonio edilizio del Paese. Lo ha fatto e lo fa a tutti i livelli, da quello nazionale a quello locale, suggerendo azioni, sollecitando provvedimenti, contestando quelli nel frattempo emessi. È il caso, solo per citare un esempio recente e che ci riguarda direttamente, dello studio di dettaglio sul centro storico della nostra città – sottolinea Scannella – ma il discorso vale per moltissima parte della Sicilia e d’Italia, per il quale abbiamo contestato un eccesso di conservatorismo, un’inopportuna limitazione orizzontale degli interventi possibili sul tessuto edificato, specie quello più debole».

«Abbiamo contestato – conclude Scannella – anche la mancanza di una seria e praticabile politica di incentivazione economica verso queste azioni che, tra l’altro, potrebbero diventare un potentissimo volano economico per una crescita che, malgrado annunci più o meno trionfalistici, non parte. Lo abbiamo fatto proprio paventando i rischi di questo patrimonio, che si vorrebbe conservare così com’è e che, invece, proprio da questo eccesso di conservatorismo che sconfina nell’inerzia, è messo a rischio. È un paradosso che ad ogni evento si mette in evidenza, come le facce scure e contrite di quelli che si potrebbero considerare i veri responsabili delle morti e del disagio economico che, inevitabilmente, ne consegue».

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