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Castellammare di Stabia
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SKY – Nuova pista dall’Inghilterra per l’attacco del Napoli

Le ultime dal mercato

E’ sempre più calda la cessione di Manolo Gabbiadini che sembra essere vicino all’Everton, l’unica cosa che lo mantiene ancora a Napoli è il fatto che il club partenopeo non ha ancora torvato un valido sostituto. Dopo le difficili trattative per Kalinic e Pavoletti, spunta un nuovo nome, come riportato dai colleghi di Sky, il Napoli avrebbe fatto un tentativo per l’attaccante del Manchester City, Wilfried Bony. Il calciatore classe ‘88 originario della Costa d’Avorio la scorsa stagione ha siglato 6 gol in 36 partite.

G.D.D.

Mundo Deportivo – Cavani al Napoli se il PSG prende il sostituto dal Real

Le ultime dalla Spagna

Ancora incerto il futuro di Edinson Cavani, il Napoli ha intavolato da qualche giorno una trattativa con il PSG, senza, per il momento, riuscire a concludere per l’attaccante uruguaiano. La motivazione? Il club parigino è in cerca di un valido sostituto del Matador.

Questo sostituto dovrebbe arrivare da un club di Madrid, infatti, come riporta il Mundo Deportivo ci sarebbe un interessamento da parte del PSG per Karim Benzema. Le cifre della trattativa sono ancora sconosciute, ma questo è un segnale che infonde fiducia nei tifosi partenopei per un eventuale ritorno di Edinson Cavani.

G.D.D.

Maksimovic-Napoli, telenovela stucchevole!

Gli ultimi sviluppi

E’ braccio di ferro per Nikola Maksimovic, e durerà probabilmente fino alla fine del mercato ovvero domani sera. Il Corriere dello Sport riferisce che il presidente del Torino Urbano Cairo vorrebbe ben venticinque milioni di euro più il cartellino di Mirko Valdifiori: “è un affare grosso Napoli e Torino stanno trascinando dietro da troppo tempo: Cairo tiene orgogliosamente duro, non indietreggia e anzi avanza, e dopo che De Laurentiis ha presentato la sontuosa proposta da venticinque milioni di euro, c’è stato il rilancio” perchè 25 milioni più Valdifiori equivale a superare il muro dei trenta milioni.

Criscito: “Voglio venire al Napoli, ma il club deve trovare l’accordo con lo Zenit”

Questo il messaggio inviato dal calciatore

“Io voglio venire, il Napoli deve trovare l’accordo con lo Zenit”: e’ questo il messaggio che Mimmo Criscito ha inviato in diretta al collega Valter De Maggio ai microfoni di radio Kiss Kiss Napoli.

Milik: “Napoli è qualcosa di speciale: perfetta per giocare a calcio”

Queste le sue parole

Arkadiusz Milik, attaccante polacco del Napoli, ha parlato a Eurosport: “E’ sempre bello tornare a casa, iniziamo un nuovo capitolo con le qualificazioni al Mondiale del 2018. Durante l’Europeo diverse cose sono cambiate nella mia vita: ho cambiato squadra, e sono felice di questo. Lavoro duro per mantenermi al livello del Napoli e per giocare spesso dall’inizio. Sono felice ovviamente del debutto casalingo, abbiamo vinto 4-2 e ho segnato due gol: era importante vincere dopo il pareggio della prima giornata I tifosi sono fanatici come mai mi è capitato di vedere. E’ difficile fare paragoni, è qualcosa di speciale: l’atmosfera sugli spalti è inusuale, le prime impressioni sono positive e la città ha una sua atmosfera. Ci sono delle zone in cui non tutto magari è tenuto benissimo, ma è bella ed è perfetta per passarci del tempo: c’è un tempo stupendo e le condizioni ideali per giocare a calcio. E, cosa più importante, c’è una grande squadra. La cifra pagata non mi fa effetto, è più importante che io adesso mi metta in mostra sul terreno di gioco: in ogni partita devo dimostrare il mio valore, sono un lottatore e devo far sì che valesse la pena fare un investimento del genere per me. Non mi faccio condizionare dal costo del mio cartellino perchè non ci penso, io mi concentro su me stesso. L’italiano, anche se ad agosto l’insegnante era in ferie. Durante gli allenamenti sto prendendo lezioni decenti…”

SSC Napoli, la radio ufficiale: “Gabbiadini-Everton, accordo trovato!”

Il tweet della radio ufficiale

“Manolo Gabbiadini all’Everton, accordo trovato. Sarà ufficiale appena il Napoli avrà chiuso con il sostituto. Tentativo Pavoletti”. Questo il tweet di Radio Kiss Kiss Napoli, emittente radiofonica ufficiale della SSC Napoli. Si parla insistentemente di un trasferimento dell’attaccante azzurro in Premier League, con cifre che si aggirerebbero attorno ai venticinque milioni di euro più eventuali bonus.

Le mafie in politica partono dalla base: dai comuni!

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Il controllo della politica da parte delle mafie inizia dalle elezioni comunali. Si scoraggiano le candidature degli onesti e si portano a capo del municipio gli “amici”, con le mani sul settore immobiliare e sugli appalti. Risultato documentato: salgono la spesa comunale e il numero dei lavoratori impiegati nelle costruzioni.

Le mafie hanno la capacità di influenzare la politica nelle sue diverse fasi: dalla selezione dei candidati alle elezioni, fino alla vera e propria gestione del governo dei comuni italiani. Come cambia la spesa delle amministrazioni locali? Aumenta e i settori chiave sono immobiliare e appalti.

Attacchi ai candidati più istruiti

Le mafie possono influenzare le decisioni politiche nei comuni italiani, intervenendo nelle diverse fasi del processo politico, dalla selezione dei candidati, alle elezioni, fino alla vera e propria gestione delle politiche. È dunque importante riuscire a studiare la dimensione di questi fenomeni, come fanno alcuni recenti studi. La selezione dei candidati è un primo momento in cui le organizzazioni criminali possono intervenire nell’arena politica, scoraggiando candidati onesti e competenti attraverso intimidazioni e minacce. Negli anni Ottanta e Novanta, alcuni amministratori locali sono stati addirittura uccisi da gruppi criminali e sono 134 i politici ammazzati in Italia nel periodo 1974-2014. L’uccisione di un politico può modificare profondamente la vita di una città, per esempio diminuendo il livello d’istruzione degli eletti dopo il fatto (di circa il 20 per cento). Il calo è probabilmente dovuto alla percezione di rischio legata all’ingresso in politica, che porta gli individui più istruiti a prendere altre strade. Tuttavia, si osserva l’effetto opposto quando la presenza mafiosa viene combattuta. Infatti, dopo lo scioglimento di un comune per mafia, il livello d’istruzione dei politici locali aumenta notevolmente. La conclusione sembra essere che i cittadini interessati a entrare in politica valutano la presenza mafiosa come un elemento importante per decidere se candidarsi o meno e che la decisione può essere influenzata da scelte politiche, come lo scioglimento di un comune per mafia.

I mafiosi sostengono il partito più forte

Un’altra strategia per assicurarsi politici innocui o collaborativi è portare voti al partito giusto. In generale, i gruppi mafiosi sembrano votare il partito favorito alle elezioni in modo da poter negoziare col vincitore. In linea con questa teoria, un’analisi basata su dati siciliani studia i rapporti storici tra mafia e partiti nazionali, mostrando come la Democrazia Cristiana abbia ricevuto sistematicamente più voti nei comuni a più alta densità mafiosa. Tuttavia, questo è avvenuto soprattutto a partire dagli anni Settanta quando le elezioni a livello nazionale sono diventate più competitive – e quindi ottenere dei voti era più prezioso; e quando la struttura della mafia siciliana è diventata più centralizzata rispetto al passato, riuscendo quindi a mobilitare un elettorato più vasto. Quando non è possibile eleggere politici compiacenti, si passa alle minacce. Solo nel 2014, sono stati registrati 313 attacchi contro politici locali. Un momento strategico per farlo è subito dopo le elezioni locali, in modo da prevenire ogni politica avversa al gruppo mafioso fin dall’inizio della legislatura. Il grafico in basso mostra la frequenza di attacchi verso i politici locali (minacce, intimidazioni e violenza fisica) rispetto al ciclo elettorale nelle regioni a più alta presenza mafiosa (Sicilia, Calabria e Campania). Il periodo con il numero maggiore di attacchi è il mese immediatamente dopo le elezioni locali: sono diretti soprattutto verso le nuove amministrazioni locali, che diventano fin dall’inizio un obiettivo per i gruppi criminali. Se le mafie hanno la capacità di influenzare l’esito elettorale e minacciare i politici eletti, come cambia la spesa nei comuni coinvolti? Due studi che usano dati differenti arrivano alla stessa conclusione: immobiliare e appalti sono i settori chiave per le mafie. Nei comuni con un’alta presenza di organizzazioni criminali aumenta sia la spesa comunale in questi settori sia la percentuale di lavoratori impiegati nelle costruzioni.

Figura 1

Daniele

GIANMARCO DANIELE – Ricercatore presso il dipartimento di Economia Pubblica dell’Universita’ di Barcelona, l’Institut d’Economia de Barcelona e la Vrije Universiteit Brussel. Visiting presso Stanford University. Si occupa di temi riguardanti la selezione e le performance della classe politica, il crimine organizzato ed altri temi di economia pubblica.

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vivicentro.it/Le mafie in politica partono dalla base: dai comuni!
lavoce.info/La mafia in comune: cosa dicono i numeri (Gianmarco Daniele)

Pavoletti-Napoli, Preziosi: “De Laurentiis ha alzato l’offerta ma il no resta”

I dettagli sull’affare sfumato

“Mi ha richiamato De Laurentiis e ha alzato l’offerta a 21 milioni di euro per Pavoletti, ma il no resta”. Enrico Preziosi, presidente del Genoa a poche ore di distanza dal primo assalto del Napoli conferma l’incedibilità del suo centravanti. E aggiunge, ai microfoni di Gazzamercato, che “anche Pavoletti è deciso a restare al Genoa: gli hanno offerto un ingaggio da due milioni e mezzo di euro a stagione ma lui preferisce restare qui dov’è. Leonardo ci tiene a completare il suo percorso con noi, anche per conquistarsi un posto in Nazionale”.

Meritocrazia o vecchio ‘spoils system’? Buona la seconda!

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Criteri di selezione troppo astratti e commissioni giudicanti troppo piccole per funzionare: parte male la riforma Madia della dirigenza pubblica basata sulla valutazione dei cv. Ancora da fugare il sospetto che la montagna della meritocrazia partorisca il topolino del vecchio “spoils system”.

La selezione dei dirigenti pubblici basata sui curricula promossa dalla riforma Madia difficilmente funzionerà. Tra le falle, gli astratti criteri di selezione e la struttura delle commissioni, troppo piccole e politicizzate. Non è che questa procedura è un velo per mascherare sistemi di cooptazione?

La procedura comparativa sui curricula dei dirigenti pubblici, finalizzata all’assegnazione degli incarichi, appare uno tra i punti maggiormente a rischio di flop del decreto legislativo attuativo della riforma della dirigenza, imposta dal ministro Madia. Il meccanismo descritto nel testo del decreto legislativo presenta infatti troppe falle per poter immaginare che funzioni davvero.

Una commissione troppo politicizzata

Il primo problema consiste nella composizione delle commissioni nazionali competenti per ciascuno dei ruoli dirigenziali (ruolo statale, regionale e degli enti locali) che cureranno le procedure comparative. La legge delega prevede che i componenti delle commissioni siano selezionati con modalità tali da assicurarne l’indipendenza. Lo schema di decreto legislativo, invece, indica sette componenti, tutti di matrice governativa. La composizione qualitativa delle commissioni è tale da confermare l’impronta di forte politicizzazione della dirigenza in contrasto con l’articolo 98 della Costituzione, secondo il quale i dipendenti pubblici debbono sì operare per attuare gli indirizzi politici, ma sono al servizio non della maggioranza, bensì della nazione.

Sette membri non bastano

Si pongono inoltre evidenti problemi anche sul piano quantitativo. Sette componenti appaiono davvero pochi, considerando che il compito demandato loro è di curare le procedure comparative per circa 36 mila dirigenti e, dunque, per altrettanti incarichi.
Poiché la riforma impone che ogni quattro anni gli incarichi dirigenziali scadano (salvo proroghe eccezionali per altri due anni), le commissioni saranno a regime investite da centinaia, se non migliaia di procedure comparative da svolgere annualmente, alle quali è verosimile parteciperanno decine se non centinaia di candidati per volta.
Che sette persone possano sostenere un impatto operativo simile appare impensabile. Soprattutto considerando che la maggior parte dei componenti delle commissioni avrà ulteriori e pesanti incombenze. Il presidente dell’Anac, il Ragioniere generale dello stato e il presidente della Conferenza dei rettori sono componenti di tutte e tre le commissioni; il segretario generale del ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale e il capo dipartimento per gli affari interni e territoriali del ministero dell’Interno sono componenti di due commissioni su tre. Ad esempio il presidente dell’Anac, come è noto, è ormai chiamato ad operare su tantissimi fronti: c’è da chiedersi quando e come riuscirà a trovare il tempo di dedicarsi alla comparazione dei curriculum per centinaia di procedure di incarico di dirigenti.

Una selezione basata su criteri astratti

Compito che, peraltro, di per sé non sarà affatto semplice. Lo schema di decreto, infatti, reitera le gravi carenze di ogni riforma “epocale” della pubblica amministrazione enunciata come finalizzata a valorizzare il merito attraverso la valutazione, limitandosi ad evidenziare criteri generici ed astratti per pesare i curriculum. Si specifica che le commissioni dettaglieranno i criteri in relazione alla “natura, ai compiti e alla complessità della struttura interessata, la valutazione delle attitudini e delle capacità professionali del dirigente, nonché dei risultati conseguiti nei precedenti incarichi e delle relative valutazioni, delle specifiche competenze organizzative possedute, dell’essere risultato vincitore di concorsi pubblici, delle esperienze di direzione eventualmente maturate all’estero, presso il settore privato o presso altre amministrazioni pubbliche, purché attinenti al conferimento dell’incarico”. Una melassa di criteri astratti ed eterogenei tra loro non comparabili. Si pensi ad esempio ai “risultati conseguiti”. Ognuna delle circa 20 mila amministrazioni utilizza un proprio sistema più o meno evoluto e credibile. L’antenata dell’Anac, la Civit, istituita dalla riforma Brunetta (“epocale” anch’essa) non riuscì mai a creare un sistema univoco di valutazione e l’Anac ha da tempo demandato questa scomoda incombenza al dipartimento della Funzione pubblica.
In assenza di strumenti operativi, come faranno sette componenti, oberati da moltissime altre funzioni, a comparare i curriculum nelle procedure d’incarico?

Selezione o cooptazione?

La sensazione che il ruolo delle commissioni e che le stesse procedure siano solo un vestito per far apparire selettivi sistemi di cooptazione dei dirigenti è molto forte. Sembra che il tutto sia pensato appositamente per rendere la procedura comparativa solo un velo: una fase obbligatoria nella quale poche persone, in modo distratto e incompleto, dovranno selezionare alcuni curriculum, per poi dare l’elenco agli organi politici che avranno libero arbitrio di scegliervi chi credono.
La procedura comparativa e l’attività delle commissioni non sembrano certamente il sistema di valutazione del merito che sarebbe auspicabile. Piuttosto, data la loro composizione e considerata la poca influenza sulla scelta finale, ricordano una sorta di stanza di compensazione, nell’ambito della quale trattare per far sì che il curriculum di quel dirigente considerato “di fiducia” da parte dell’organo politico competente alla nomina entri a far parte della rosa.
Un bel vestito per mascherare, senza neanche troppo impegno, uno spoils system esasperato.

LUIGI OLIVERIoliveri

E’ Dirigente Coordinatore dell’Area Funzionale Servizi alla Persona e alla Comunità della Provincia di Verona, che raggruppa il Settore Politiche Attive per il Lavoro, i Servizi Turistico-Ricreativi ed i Servizi Socio-Culturali. Collabora dal 1997 al quotidiano economico “Italia Oggi” per gli approfondimenti giuridici delle questioni attinenti agli enti locali. Collabora dal 1999 con “Ancitel s.p.a.”, società dell’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani e dal 2003 con il Centro Studi e Ricerche sulle Autonomie Locali di Savona.

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vivicentro.it/Meritocrazia o vecchio ‘spoils system’?
lavoce.info/Si scrive valutazione dei dirigenti, si legge spoils system (Luigi Oliveri)

Sassuolo – Pescara 0 – 3 a tavolino!

Una “leggerezza” che costa al Sassuolo 3 punti. Almeno fino a quando non sarà discusso il ricorso presentato dalla squadra neroverde. Parliamo dell’impiego del calciatore Ragusa, avvenuto nel secondo tempo del match vinto dagli emiliani per 2 – 1 sul Pescara, dal momento che, il calciatore ex Pescara, non sarebbe potuto essere impiegato visto che il tesseramento di Ragusa – acquistato il 26 agosto dal Cesena – è avvenuto dopo la consegna ufficiale dei 25 della rosa del Sassuolo alla Lega calcio. Per inserire il nuovo acquisto, regolarmente tesserato, il club ha dovuto sostituire un giocatore precedentemente inserito.

In tal  caso,il regolamento prevede da un anno  che il club invii alla Lega calcio una Pec con la notifica della sostituzione. Il Sassuolo asserisce di averla inoltrata, mentre la Lega di non averla mai ricevuta. Lo 0 – 3 a tavolino è stato comminato dal Giudice sportivo.

Ecco il testo integrale del dispositivo del Giudice, Antonio Tosel:

“Il Giudice sportivo,
letti gli atti relativi alla gara soc. Sassuolo e soc. Pescara;
rilevato che la soc. Sassuolo ha utilizzato in campo (dal 65° al termine della gara) il calciatore
Ragusa Antonino, tesserato in data 26 agosto 2016, il cui nominativo era stato inserito nella
distinta di gara;
considerato che l’inserimento di tale nominativo nell’“elenco di 25 calciatori” non era stato
trasmesso alla Lega a mezzo PEC entro le ore 12.00 del giorno precedente la gara, come
tassativamente previsto dalla vigente normativa federale (CU 83/A del 20 novembre 2014), e che
tale omissione comporta la sanzione della perdita della gara (ibidem n.9) ai sensi dell’art. 17,
comma 5, lett. a) CGS,
P.Q.M.
delibera di sanzionare la Soc. Sassuolo con la punizione sportiva della perdita della gara per 0-3”

La società emiliana, nella persona del suo legale, Avv. Mattia Grassani, proporrà ricorso avverso questa decisione, confidando di riavere i 3 punti.

CHRISTIAN BARISANI

ESCLUSIVA – Manniello: “Il tempo ci darà ragione. Questo è un grande gruppo”

Il Presidente Manniello parla del prossimo campionato e ci comunica che il calciomercato per la Juve Stabia è chiuso

Durante la puntata de “Il pungiglione stabiese” programma radiofonico a cura della nostra redazione, in onda ogni lunedì a partire dalle 20.00 su ViviRadioWeb, è intervenuto in esclusiva il patron della Juve Stabia Franco Manniello.

Dopo averlo sentito in esclusiva subito dopo la gara di Catania (CLICCA QUI), pubblichiamo oggi le dichiarazioni del numero uno stabiese a Il Pungiglione Stabiese:

“Non possiamo fare una tragedia per la sconfitta di Catania. Il risultato, per me, è di 2-1 perché l’errore di Amenta è giunto ormai all’ultimo secondo e 3-1 è un risultato troppo pesante per quanto visto in campo.

Mi è piaciuta la grinta della mia squadra, abbiamo perso a Catania contro una squadra che arruolava giocatori che hanno fatto la A per tanti anni e in più avevamo alcune defezioni importanti.

Sono convintissimo di aver allestito un’ottima squadra e il tempo mi darà ragione. Dico anche che accetterò le critiche solo di chi si abbona, non è possibile voler competere con le corazzate di altre piazze importanti facendo solo 320 abbonati. È inaccettabile. Non ascolterò nessuno, andrò avanti per la mia strada e chi vorrà seguire le vespe sarà ben accetto, altrimenti possono seguire altre squadre o andare al cinema la domenica, nessuno obbliga loro di seguire la Juve Stabia.

A Castellammare si pretende solo e ci si lamenta non apprezzando gli sforzi immani della società. Gli stabiesi non capiscono che malgrado la nostra potenza sia inferiore a quella di altre piazze, quest’anno cercheremo di lottare contro piazze che fanno 8000 abbonamenti.

Sono contento della squadra, dell’allenatore e dello staff. Non si può proprio criticare la squadra dopo solo una partita. Siamo andati a giocarcela a viso aperto su campi come Livorno, Novara e Catania. Qualcuno storce il naso ma dico che il migliore acquisto è proprio Fontana. Mi ha convinto la sua voglia di rivincita dopo l’ingiusta squalifica. Abbiamo un bel gruppo e un’idea di gioco anche grazie a lui, per me è un ottimo allenatore.

Dopo 10 anni conosco bene la piazza, conosco chi ama le vespe e conosco chi vuole il nostro male.

Tornando alla partita dico che meritavamo ampiamente il pareggio, a differenza della scorsa stagione in cui meritavamo di perdere ma abbiamo pareggiato. Ma il calcio è così, è la prima giornata e siamo solo all’inizio.

Il Matera, che ha costruito una corazzata, ha pareggiato con una ripescata. Questo i tifosi non lo evidenziano. Ripeto che è troppo presto e i conti si fanno alla fine, io sono tranquillissimo. Ce la giocheremo con tutti fino alla fine.

Il nostro mercato?

Ormai è chiuso. Siamo al completo, abbiamo preso Montalto e quindi completato la rosa. Abbiamo i 16 posti over completi e quindi siamo a posto così. Non è stato facile allestire una squadra di livello perché i giocatori importanti snobbano Castellammare. Un esempio è Moscardelli che ha preferito Arezzo a Castellammare pur prendendo un ingaggio molto inferiore a quello che gli abbiamo proposto noi.

Il Melfi?

Non è una partita decisiva. Vogliamo assolutamente vincere ma non dobbiamo avere pressioni, la sconfitta di Catania mi ha fatto bene perché ho avuto la conferma di avere un buon allenatore, una buona squadra e un bel gruppo che è un gruppo di amici e questo è fondamentale. Bisogna evidenziare che mancavano Liviero, Camigliano, Capodaglio e Kanoute che sono giocatori molto importanti. Quando siamo andati in B abbiamo perso le prime due partite, questo per dire che la corsa è ancora lunghissima. Sicuramente non siamo il Real Madrid ma ce la giocheremo ovunque e con chiunque.

Il settore giovanile?

Non riuscivo a curarlo bene, per fortuna è arrivato De Lucia che oltre ad essere un grande imprenditore è un amante del calcio e un tifoso della Juve Stabia. Lui e Turi cureranno sicuramente meglio di me il settore giovanile e sono sicuro che faranno bene. Magari, con il tempo, De Lucia darà una mano anche alla prima squadra ma ora il suo obiettivo è di raggiungere grandi risultati con il settore giovanile. Vedremo”

Sono morti i negoziati per il Ttip? Quale la (presunta) causa?

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Sono davvero morti i negoziati per il Ttip (il trattato commerciale Ue-Usa) come ha annunciato il vice cancelliere tedesco Gabriel? Forse no. Ma certo il loro esito è stretto tra gli interessi di bottega di governi alla vigilia di difficili elezioni: negli Stati Uniti, in Francia, in Germania.

Il vice cancelliere tedesco Sigmar Gabriel ha annunciato il fallimento del Ttip. Le scadenze elettorali in America e in Europa minano la conclusione dei negoziati. Trasformando il progetto in un’occasione sprecata. L’interesse nazionale contro quello comunitario.

Tutti lo pensano, ma pochi lo ammettono: e così il tramonto del progetto Ttip (Transatlantic Trade and Investment Partership) diventa il nuovo segreto di Pulcinella. In un’intervista alla rete tedesca Zdf, il vice cancelliere e ministro dell’Economia tedesco Sigmar Gabriel ha dichiarato “ufficialmente” il fallimento delle negoziazioni tra Unione Europea e Stati Uniti. Ma di ufficiale, in realtà, c’è ben poco.

Le scadenze elettorali

Il Ttip è l’accordo commerciale in corso di negoziazione tra Unione europea e Stati Uniti. Una volta siglato, avrebbe creato l’area di libero scambio più grande e ricca del mondo. Il progetto è stato avviato nel 2013, con la volontà dei negoziatori di chiudere l’accordo prima possibile, in modo da non arrivare troppo vicino alle scadenze elettorali dei due lati dell’Atlantico. Ma così non è stato.
Gli Stati Uniti sono infatti nel vivo della campagna presidenziale ed è difficile immaginarsi il futuro dell’accordo nell’America post-Obama. Una buona parte dell’opinione pubblica vede nel trattato una ulteriore minaccia ai lavoratori americani impoveriti. Una paura che Trump ha cavalcato da subito e a cui Clinton ha dovuto cedere per non perdere quella parte di elettorato democratico che ha sostenuto il suo sfidante interno, Bernie Sanders. È altrettanto improbabile vederne il futuro prima della fine del mandato di Obama, che al momento ha il potere dell’anatra zoppa – così si chiama il presidente a fine mandato – e un Congresso non proprio collaborativo.
Anche in Europa, il palcoscenico elettorale di Francia e Germania riduce lo spazio politico di manovra. Risulta difficile infatti per i premier europei dichiararsi a favore di un accordo che ha fatto scendere in piazza migliaia di cittadini.

Un’occasione sprecata

Un’occasione sprecata, se davvero il Ttip non dovesse vedere mai la luce. Soprattutto dopo la conclusione del Tpp (Trans Pacific Partnership), l’accordo commerciale che lega Stati Uniti e undici paesi dell’area pacifica (Cina esclusa). In mezzo ai due più grandi trattati bilaterali mai negoziati (Ttip e Tpp), gli Usa si sono elevati a perno del commercio mondiale, cercando di legarsi oltreoceano da entrambi i lati. A fronte di un legame sul Pacifico già siglato – ma non ancora ratificato – il rischio è che l’Ue venga marginalizzata negli scambi commerciali con gli Stati Uniti. Si parla di perdere peso nel commercio con il primo destinatario delle merci europee (gli Stati Uniti assorbono un quinto delle esportazioni europee). E, per giunta, con un partner il cui tessuto produttivo risulta simile a quello europeo, condizione favorevole per lo sviluppo del commercio intra-industriale. Il testimone potrebbe involontariamente passare ai partner asiatici, che grazie al Tpp godranno di facilitazioni commerciali negli scambi con gli Usa.
Si tratta di uno scenario concreto: nel 2015 gli Stati Uniti hanno importato dagli altri undici paesi firmatari del Tpp il 37,6 per cento delle importazioni totali. Per un totale di 840 miliardi di dollari, ossia il doppio di quanto importa dalla Cina (il primo partner commerciale). Certo è che tra i firmatari del Tpp ci sono anche Canada e Messico, già legati dal libero scambio con gli Usa tramite il Nafta.

Tabella 1 – Importazioni Usa per paese, 2015

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Fonte: Elaborazione su dati United States Census Bureau

Con l’entrata in vigore dell’accordo, le stime della Banca Mondiale prevedono un aumento del commercio tra i dodici paesi del Tpp di circa l’11 per cento entro il 2030. Nel frattempo l’Unione Europea resta a guardare.
Questo però non implica un Ttip a tutti i costi. Anzi, con il Tpp alla firma, nessun Ttip è peggio di un Ttip imperfetto.

Se prevalgono gli interessi nazionali

La dichiarazione di Gabriel è poi indice di una tendenza che incrina l’autorevolezza istituzionale degli organi europei. La politica commerciale comune è infatti competenza esclusiva della Commissione europea, che ha ricevuto un mandato unanime per l’inizio delle negoziazioni sul Ttip. È l’unica che quindi può dichiarare il fallimento del progetto di libero scambio con gli Usa. Durante la fase di genesi dell’accordo, gli Stati membri non possono e non devono depotenziare il ruolo dell’esecutivo comunitario. Altrimenti l’interesse nazionale – o l’interesse elettorale – rischia di soffocare l’interesse comunitario. Com’è avvenuto nel caso del Ceta (Comprehensive Economic and Trade Agreement), l’accordo commerciale concluso con il Canada, lasciato in balia dei parlamenti nazionali.
Nel momento in cui si dichiara in luoghi simbolici che l’Ue deve ritrovare una forza unitaria, si deve tenere conto che il prezzo del legame di 27 stati risiede innanzitutto nel prescindere dagli interessi nazionali per rispondere nel miglior modo possibile alle sfide esterne. Di fronte alle presenti minacce, come il terrorismo e la crisi dei migranti, le vicende commerciali possono anche non sembrare prioritarie. Ma in un’Europa a velocità zero virgola si deve necessariamente guardare ai fattori strutturali della crescita. E assicurare un mercato per le merci europee è sicuramente importante.
“The ball is still rolling” – la palla è ancora in campo – ha commentato un portavoce della Commissione in risposta alla dichiarazione del vice cancelliere tedesco. E in mezzo alla nebbia dell’Europa post-Brexit, non resta che sperare che la partita continui.

MARIASOLE LISCIANDRO IMG_7004

Laureata in Economia, Finanza e Mercati Internazionali presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Research Assistant presso Lavoce.info.

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lavoce.infi/La causa della morte (presunta) del Ttip (Mariasole Lisciandro)

Janet Yellen: i cambiamenti operativi della Fed e le ricadute sui tassi

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Alludendo a un possibile rialzo dei tassi, la presidente della Fed Janet Yellen ha lasciato i mercati nella nebbia ma non ha stupito i banchieri centrali riuniti a Jackson Hole. Li ha sorpresi, invece, snocciolando e quindi consacrando definitivamente gli strumenti di politica monetaria non convenzionale a sua disposizione.

Da Jackson Hole nessuna sorpresa sull’azione di breve periodo della Fed. Al centro il futuro della politica monetaria e le ricadute sui tassi. E Yellen consacra definitivamente gli strumenti non convenzionali. L’importanza della politica fiscale.

Nel discorso che Janet Yellen ha tenuto a Jackson Hole, il passaggio che più ha catturato l’attenzione dei mercati è stato quando Yellen ha detto che le ragioni di un rialzo dei tassi “si sono rafforzate negli ultimi mesi”. Ne è seguito un (peraltro modesto) rialzo dei tassi di mercato e del dollaro.
Complessivamente, tuttavia, il discorso non ha riservato sorprese sulle intenzioni a breve della Fed. Basti considerare che in un grafico offerto all’attenzione della platea, Yellen ha sottolineato l’incertezza sul futuro dei tassi con una proiezione secondo cui il tasso interbancario tra due anni si collocherà (al 70 per cento di probabilità) tra lo zero e il 4,5 per cento. Di fronte a una forchetta così ampia, l’attenzione dei traders si è rapidamente spostata sui dati congiunturali che saranno resi noti prima del FOMC del 20-21 settembre. Ci sono però due temi nel discorso che meritano attenzione. Dopotutto, il tema del simposio di quest’anno (che dal 1982 si tiene in un rustico albergo nelle montagne del Wyoming) era “il futuro della politica monetaria”. E Yellen ha esaminato i cambiamenti operativi della Fed, con ricadute sull’orientamento dei tassi.

Il futuro della politica monetaria

Un tema che circola da qualche tempo è questo: se la Fed non si sbriga ad alzare i tassi durante la ripresa, di quali munizioni potrà disporre quando l’economia americana rallenterà? Come farà a ridurre i tassi se non avrà spazio per farlo? A queste domande, citando un lavoro di David Reifschneider, Yellen risponde che la crisi ha insegnato che la politica monetaria è qualcosa di più della fissazione del Fed funds target e comprende anche le operazioni di acquisto di titoli e la “forward guidance”, finalizzate ad influenzare l’intera curva dei tassi (a breve, a media, e a lunga durata). Quando l’economia rallenterà, la Fed potrà, se necessario, rimettere in campo gli strumenti “non convenzionali” ormai destinati ad entrare a pieno titolo tra i normali strumenti delle banche centrali. Anche il sistema della remunerazione della liquidità delle banche presso la Fed non sarà abbandonato, dice Yellen, e semmai rafforzato col ricorso ai reverse repos, allo scopo di rendere più efficace la trasmissione ai tassi di mercato. La crisi, insomma, ha incalzato la Fed non soltanto ad elaborare un piano d’emergenza ma ne ha anche messo in luce i limiti. Gli strumenti impiegati dalla Fed prima della crisi, ha spiegato Yellen, erano efficaci in quelle particolari circostanze. Ora ne sappiamo di più. Yellen ha invece preferito sorvolare su un tema decisamente più spinoso: quali sono gli effetti dei bassi tassi di interesse sulla spesa privata? Un recente studio della Fed esprime riserve sulla robustezza empirica di questa relazione. Secondo gli autori, gli investimenti delle imprese sono ben poco sensibili al livello dei tassi d’interesse. Ma di questo si dovrà parlare un’altra volta.

L’orientamento dei tassi

Questa evoluzione della politica monetaria può avere importanti ricadute sullo scenario dei tassi. Se ammettiamo che un tasso di policy relativamente basso non pregiudichi la possibilità di contrastare una recessione, allora i futuri rialzi potranno essere contenuti. Yellen ha rafforzato questo scenario osservando che il mondo è cambiato, e che se la media del tasso interbancario nel 1965-2000 era superiore al 7 per cento, il valore medio oggi atteso nei cicli futuri è solo del 3 per cento. Per comprendere il disegno della Fed (alzare i tassi a breve ma non quelli a lunga) basta mettere a confronto la curva dei rendimenti oggi con quella del giorno dell’ultimo rialzo della Fed (vedi grafico sottostante). Se il tasso interbancario è oggi appena superiore, e sarà presto ritoccato verso l’alto, i rendimenti a medio-lungo termine sono scesi. Non sarebbe dunque sbagliato affermare che dopo dicembre 2015 la Fed ha allentato (non stretto) le condizioni monetarie. A 34 anni dal primo simposio a Jackson Hole con Paul Volcker e i tassi a doppia cifra, Yellen sembra aver consacrato l’era dei tassi a piccola cifra.

Grafico 1 – Curva dei rendimenti a confronto
16 dicembre 2015 (in blu) e 26 agosto 2016 (in verde)

terzi

E il futuro della politica fiscale?

Nel discorso c’è un passaggio in cui Yellen auspica politiche di investimento accompagnate da un sostegno fiscale alla crescita. Sull’efficacia dello stimolo fiscale si è pronunciato anche un recente commento della Fed. E sempre a Jackson Hole, Benoît Cœuré della Banca Centrale Europea ha auspicato l’emissione di un debito comune dell’eurozona. Da tempo i banchieri centrali ripetono che la politica monetaria non basta, e la Fed lo ha ribadito nel confronto con gli attivisti di “Fed Up” (traduzione: “siamo stufi”) che ha incontrato a margine del simposio. Ma a giudicare dal disinteresse della politica a fare la propria parte, sarebbe bene che i banchieri centrali, se ci credono davvero, parlino più forte.

ANDREA TERZIterzi

Andrea Terzi si è laureato in economia politica presso l’Università Bocconi di Milano e ha conseguito il Ph.D in economics presso Rutgers University. È professore di economia nella Franklin University Switzerland, ricercatore associato del Levy Economics Institute del Bard College (NY), e insegna Economia Monetaria nell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. È autore di La Moneta (Farsi un’idea, il Mulino, 2002) e Salviamo l’Europa dall’austerità (2014, Vita e Pensiero). È coautore e coeditore di Euroland and the World Economy: Global Player or Global Drag? (Palgrave Macmillan, 2007).

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vivicentro.it/Janet Yellen: i cambiamenti operativi della Fed e le ricadute sui tassi
lavoce.info/A Jackson Hole una Yellen non convenzionale (Andrea Terzi)

Caso Mps: la soluzione è ancora in alto mare

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La soluzione “di mercato” del dissesto bancario di Mps è ancora in alto mare. Nel timore che il previsto mega-aumento di capitale di 5 miliardi fallisca, ecco la conversione “volontaria” delle obbligazioni subordinate detenute da investitori istituzionali in azioni. Mentre il Portogallo, zitto zitto, salva una banca con soldi pubblici evitando il bail-in.

Autunno caldo a Siena

Il caso Mps è ancora in alto mare. Adesso spunta l’idea di chiedere la conversione “volontaria” di obbligazioni subordinate in azioni: una partita dall’esito molto incerto. Intanto il governo portoghese, zitto zitto, salva una banca evitando il bail-in. Morale: il nostro governo parla, gli altri agiscono.

Luglio è stato un mese di fuoco sul fronte bancario: attacchi in borsa, stress test, Monte dei Paschi di Siena… Per quest’ultimo, si è alla fine trovata una soluzione “di mercato”, che ha consentito ai vertici dell’istituto e ai nostri governanti di dirci: problema risolto, andate in ferie tranquilli. Finite le vacanze, ci accorgiamo che non è vero e che ci aspetta un autunno caldo. Il tanto celebrato Piano Mps è in realtà ancora in fase di definizione e i margini di incertezza sulla sua realizzazione sono elevati.
L’accordo di luglio prevede la cessione delle sofferenze tramite una operazione di cartolarizzazione. Una tranche di titoli derivanti dalla cartolarizzazione (quella senior) dovrebbe essere ceduta sul mercato, con il sostegno della garanzia pubblica (Gacs): questo lavoro è ancora tutto da fare, tanto che il piano prevede che, in attesa che si perfezioni la vendita di questa tranche, Mps riceva un prestito-ponte (da JP Morgan) per finanziare la cessione di questa parte di sofferenze. L’unica cosa sicura sembra la cessione della tranche “mezzanina” ad Atlante, oltre alla assegnazione della tranche junior ai vecchi azionisti di Mps.

Aumento di capitale in salita

Ma le maggiori incertezze derivano dall’aumento di capitale di 5 miliardi, reso necessario per compensare le perdite derivanti dalla cessione delle sofferenze a prezzi inferiori al valore di bilancio e dalla svalutazione di altri prestiti in portafoglio alla banca (incagliati e scaduti).
Qui il piano prevede che la raccolta di capitale avvenga sul mercato, pur con l’assistenza di un consorzio di garanzia costituito da alcune banche di livello internazionale. Ciò significa che la banca dovrà trovare acquirenti privati disposti, nel complesso, a sborsare 5 miliardi per una banca che attualmente vale in borsa 700 milioni.
È vero che il pool di banche garanti avrebbe l’impegno di comprare le azioni che rimanessero invendute, ma è anche vero che quell’impegno è subordinato ad alcune condizioni, tra le quali la cessione delle sofferenze. Data l’incertezza sulla effettiva capacità di attrarre nuovi azionisti per una cifra così alta, la banca sta considerando l’opzione di chiedere ai detentori istituzionali di obbligazioni subordinate la disponibilità a una conversione volontaria delle loro obbligazioni in azioni della banca stessa, al fine di ridurre la dimensione dell’aumento di capitale.  L’esito di questa partita con gli investitori istituzionali è molto incerto. Perché uno di essi dovrebbe aderire volontariamente, se sa che la banca verrà salvata grazie all’adesione degli altri? Oppure dietro alla parola “volontaria” si nasconde un bail-in mascherato? Tutto questo processo durerà ancora alcuni mesi: l’emissione delle nuove azioni è prevista per novembre-dicembre.

Aiuti di stato: si può

Il tormentone Mps è quindi destinato a continuare e a pesare come un macigno nel panorama bancario italiano. Si dirà: non c’erano alternative, il salvataggio pubblico non è più possibile con le nuove regole europee, poiché implicherebbe l’odiato bail-in. Obiezione: nel caso di Mps, ciò non è del tutto vero. Le regole europee consentono, in caso di aiuto di stato, di disapplicare il bail-in (art. 32.4.d della Bank recovery and resolution directive) e il burden-sharing, cioè il bail-in limitato agli azionisti e obbligazionisti subordinati (punto 45 della comunicazione della Commissione sugli aiuti di stato alle banche), nei casi in cui ciò sia necessario per preservare la stabilità finanziaria di un paese. Questa condizione si applica a Mps, che è la terza banca italiana e ha una dimensione sistemica per il nostro paese.
Si dirà ancora: ma se interviene Pantalone, acquistando azioni Mps, chi ha sbagliato non pagherà mai i suoi errori. Anche questo non è vero: la stessa Brrd prevede che le autorità di supervisione e di risoluzione (Bce e Banca d’Italia) abbiano poteri di intervento per la rimozione e sostituzione dei vertici bancari (sia prima sia durante una procedura di risoluzione), indipendentemente dalla presenza di aiuti pubblici. Si noti che l’onere per lo stato italiano sarebbe compensato dalla acquisizione di una attività, per cui il debito lordo aumenterebbe ma quello netto no: non è un caso se altri paesi hanno affrontato la crisi delle loro banche entrando nel capitale e poi rivendendo le loro partecipazioni.

Noi parliamo, gli altri fanno

Infine, è di questi giorni la notizia che il governo portoghese è stato autorizzato dalla Commissione Ue a immettere 2,7 miliardi per ricapitalizzare la Caixa geral de depositos, senza che ciò sia considerato aiuto di stato e quindi senza applicare alcuna forma di bail-in. L’accordo con la Commissione prevede l’impegno a ristrutturare la banca, compreso il rinnovo dei vertici.
Perché il Portogallo (che peraltro ha un rapporto debito/PIL del 130 per cento, simile al nostro) ha ottenuto un accordo che l’Italia non ha saputo (o voluto) ottenere? Le nostre autorità (governo, banca centrale) hanno prima criticato aspramente le nuove norme sul bail-in, lasciando intendere di volerle rivedere al più preso e facendo sorgere il sospetto che non volessero rispettarle. Poi si sono appiattite su un rispetto delle regole così supino da non sfruttare neppure i margini di negoziazione possibili, nel rispetto di quelle regole. I governanti degli altri paesi parlano di meno e portano a casa di più.

ANGELO BAGLIONIBAGLIONINUOVAInsegna Economia Politica presso l’Università Cattolica di Milano, Facoltà di Scienze Bancarie, Finanziarie e Assicurative. Ha recentemente insegnato anche al Master in Economia e Banca presso la Facoltà di Economia R.M.Goodwin dell’Università di Siena. E’ membro del Comitato direttivo e scientifico del Laboratorio di Analisi Monetaria (Università Cattolica di Milano e Associazione per lo Sviluppo degli Studi di Banca e Borsa). Dal 1988 al 1997 è stato economista presso l’Ufficio Studi della Banca Commerciale Italiana (ora Intesa Sanpaolo), come responsabile della Sezione Intermediari Finanziari. I suoi interessi di ricerca si collocano nell’area dell’economia monetaria e finanziaria. Ha scritto libri e articoli pubblicati su riviste internazionali. E’ laureato in Università Bocconi e ha conseguito il Master in Economics presso la University of Pennsylvania. Redattore de lavoce.info.

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lavoce.info/Autunno caldo a Siena (Angelo Baglioni)

Concorsone scuole: è strage di candidati

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Tra le proteste degli esclusi e dei sindacati, i concorsi a cattedra per gli insegnanti fanno strage di candidati. La selezione è più severa del solito perché in palio non ci sono punteggi ma posti di lavoro. La qualità del sistema scolastico ha tutto da guadagnarci. Ma valutare bene non è né facile né a basso costo.

Una selezione più severa degli insegnanti. Succede nei concorsi a cattedra per i docenti delle scuole. Perché in palio non ci sono semplici punteggi ma posti di lavoro. Gli esclusi protestano, ma una valutazione più rigorosa va a tutto vantaggio della qualità dell’insegnamento.

Sui giornali irrompe la polemica sui concorsi a cattedra per i docenti delle scuole primarie e secondarie. Dai dati pubblicati risulterebbe che nella scuola secondaria il tasso di bocciatura (misurato dalla non ammissione alla prova orale) è di circa il 55 per cento, per salire al 77 per cento nella scuola primaria e dell’infanzia. I sindacati cavalcano la protesta dei docenti esclusi. Un polverone che nasconde alcune importanti questioni e alcuni effetti positivi che potrebbero derivare dalle nuove procedure concorsuali.

Qui in palio ci sono posti di lavoro veri

Vediamo di ripercorrere alcuni aspetti che non ci sembra siano stati adeguatamente sottolineati. Innanzitutto si rimette in moto il sistema dei concorsi a cattedra avviato nel 2012 (in precedenza ve ne era stato un altro nel 1999), dove in palio ci sono posti di lavoro e non solo punti di cui avvantaggiarsi nelle graduatorie. Non si tratta di una differenza banale, sia per i candidati sia per i commissari. Se la posta in palio è l’ottenimento di una abilitazione, in mancanza di un numero massimo preassegnato, è facile che i commissari siano più laschi nelle valutazioni (“una abilitazione non si nega a nessuno”). La responsabilità della scelta è meno diretta e ci può essere la tendenza a trascurare le ricadute negative prodotte sul sistema scolastico dal dichiarare idonei candidati non adeguatamente preparati. Viceversa, se il concorso prevede l’immissione in ruolo dei vincitori, i commissari tenderanno ad essere più rigorosi nella selezione: la responsabilità in questo caso è diretta e gli effetti di scelte sbagliate sono immediati e duraturi. D’altra parte i candidati, sapendo che la posta in gioco è alta, saranno indotti a prepararsi meglio. Si genera così un processo selettivo più severo in cui solo i candidati migliori risulteranno vincitori. Ciò è a tutto beneficio del sistema scolastico: se vogliamo una buona preparazione per i nostri studenti non possiamo che partire dalla preparazione dei loro docenti.

Perché selezionare è difficile 

Capire se un concorso che boccia più della metà dei partecipanti è da ritenersi “troppo difficile” non è cosa semplice. Di certo è importante puntare alla selezione di insegnanti ben preparati. Le competenze acquisite attraverso l’istruzione sono cruciali per le prospettive di crescita sia degli individui che della società nel suo complesso e molte ricerche concordano nel ritenere che la qualità degli insegnanti rappresenti uno degli input di maggiore rilevanza. Misurare la qualità degli insegnanti non è però facile e lo è ancora meno se ciò deve avvenire attraverso un esame a cui partecipa un numero elevato di candidati. Nonostante ciò è importante aprire la selezione al maggior numero possibile di candidati. Se l’obiettivo è selezionare docenti con elevata competenza, non c’è ragione di riservarlo a coloro che hanno conseguito l’abilitazione ed escludere invece laureati e dottori di ricerca. Bisogna poi predisporre una procedura di selezione capace di identificare i candidati migliori e disporre di commissioni competenti che possono operare in tranquillità e con abbastanza tempo a disposizione. Ciò richiede risorse. Al momento, invece, sono previsti compensi inadeguati che, oltre a scoraggiare gli insegnanti a presentare domanda per diventare commissari e non permettere di fatto alcuna selezione, tolgono dignità a chi deve svolgere un compito così delicato e importante. Poiché nessuna procedura di selezione è perfetta, si deve tener conto del fatto che si comunque presentare due tipi di errore: quello di promuovere soggetti inadeguati alla posizione da ricoprire (errore di II specie) e quello di scartare soggetti invece adatti (errori di I specie). A seconda del peso attribuito a questi due tipi di errori si può decidere di strutturare la procedura di selezione in modo piuttosto che in un altro e di mettere più o meno in alto l’asticella. L’attuale procedura con una prova scritta composta da 8 domande di cui 2 da svolgere in inglese (accompagnata per alcune discipline da una prova pratica) e una prova didattica da preparare in 24 ore, quindi a step successivi, sembra rivolta soprattutto ad evitare il primo tipo di errore. Può essere una scelta saggia data l’importanza che la preparazione dei docenti ha nel processo formativo. Non è però senza costi, poiché anche il secondo tipo di errore ha conseguenze negative innanzitutto su quegli insegnanti che potrebbero essere stati scartati nonostante la loro effettiva buona preparazione. Inoltre, come evidenziato da molti, con questo tasso di selettività non si riusciranno a coprire i 63 mila posti messi a concorso, lasciandone scoperti almeno 20 mila, con i conseguenti problemi di copertura tramite supplenze, turn-over di insegnanti e inefficacia dell’azione didattica. È un problema che nel tempo può essere corretto, per esempio anticipando la cadenza prevista dei concorsi, che da triennali potrebbero diventare biennali. Tuttavia, non bisogna dimenticare che i concorsi ben fatti comportano costi.

Valutazione per una migliore qualità della scuola

Ben venga quindi l’aumento di selettività nei concorsi a docenza, è una inversione di rotta rispetto al principio generale delle graduatorie, che permette di diventare insegnante a chiunque abbia un minimo di esperienza di insegnamento (non valutata, dal momento che ogni anno di insegnamento valeva due punti, indipendentemente dalla qualità del lavoro svolto). I concorsi necessitano però risorse, da esse anche dipende la qualità del processo di selezione.

DANIELE CHECCHIchecchi

Insegna economia del lavoro all’Università Statale di Milano. Ha collaborato come consulente economico del sindacato nel periodo 1978-88, e successivamente ha partecipato a diverse ricerche sulla contrattazione decentrata. Si occupa di comportamenti sindacali e di economia dell’istruzione. È stato membro della Commissione Governativa per il riordino dei cicli scolastici (luglio 2000).

MARIA DE PAOLASchermata 2014-04-23 alle 18.11.23

Ha conseguito un  Dottorato di Ricerca in Economia presso l’Università la Sapienza di Roma. E’ professore Associato di Politica Economica presso il Dipartimento di Economia, Statistica e Finanza dell’Università della Calabria. Si occupa prevalentemente di Economia del lavoro e dell’istruzione, Discriminazione di genere, Political Economy e valutazione di politiche pubbliche.

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lavoce.info/Scuola: concorso a cattedra davvero troppo selettivo? Daniele Checchi e Maria De Paola

La Calamità e la necessità di sorvegliare sugli interventi

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La rinascita alla prova della giustizia

Il clima di umana e attiva solidarietà e di civile convergenza politica che s’è stabilito (con qualche inevitabile eccezione) dopo il terremoto ad Amatrice e nel Centro Italia non dovrebbe impedire qualche più approfondita riflessione su questo genere di calamità naturali, che in Italia purtroppo si verificano assai spesso, dando luogo a conseguenze che non sono affatto inevitabili, ed anzi potrebbero essere previste e arginate per tempo. La storia di quasi mezzo secolo, dal Belice (1968) in poi, ma anche di più di un secolo, da Messina (1908), ci ha impartito severe lezioni che vengono sistematicamente dimenticate o contraddette di volta in volta, aggravando le sofferenze delle vittime dirette di crolli e distruzioni.

Lasciamo pure stare, se vogliamo, per restare ad esempi più recenti, l’esperienza del Belice, in cui uno Stato assolutamente impreparato, che non conosceva neppure il significato della parola «protezione civile», impiegò alcuni giorni prima di raggiungere i paesi colpiti, e alcuni anni per montare baracche e alloggi prefabbricati in cui almeno un paio di generazioni di superstiti fecero in tempo a nascere e a crescere prima della ricostruzione, rimasta incompleta per oltre trent’anni.

E tralasciamo anche, sempre per evitare forzature di ragionamento, l’esempio del Friuli, dove all’opposto una popolazione preventivamente sfiduciata dalla sorte subita dai compagni di sventura siciliani, non indugiò a rimboccarsi le maniche dall’indomani del sisma, e animata da un sentimento che oggi si definirebbe antipolitico, preferì far da sé, coadiuvata da un irregolare democristiano d’altri tempi come il ministro Zamberletti e dalla sua task-force di generali in pensione che agivano di propria iniziativa, a dispetto di qualsiasi direttiva romana, ma riuscendo così a rimettere su case e palazzi distrutti nel tempo sorprendente di un paio d’anni.

Quattro anni dopo in Irpinia (1980), nella notte che sollevò l’indignazione del presidente-cittadino Pertini e in cui i soccorritori scoprirono che non esistevano carte geografiche della zona colpita, tanto da dover usare quelle per escursionisti del Touring Club, sulla pelle degli oltre duemila morti, sepolti dalle macerie di paesi-presepio di impianto medioevale, si apriva uno dei più duri scontri tra una classe dirigente politica – il fior fiore dell’allora gruppo dirigente Dc, da De Mita a Gava – decisa a capovolgere gli esempi negativi del passato, riversando un flusso enorme di denaro pubblico nelle zone colpite e magari allargando i confini dell’intervento, e una magistratura che vedeva in tutto ciò una formidabile occasione per le organizzazioni criminali che volevano approfittarne. Tra i magistrati che con maggiore sforzo si impegnarono in quest’opera di bonifica, preventiva e successiva al contempo, c’era l’attuale procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, allora giovane giudice istruttore a Sant’Angelo dei Lombardi, uno dei centri rasi al suolo dalle scosse, ed oggi, non a caso in prima fila nell’esprimere timori che anche il terremoto di Amatrice possa fornire tentazioni all’affarismo mafioso. Di qui appunto il suo attuale e formale avvertimento all’altro importante magistrato, il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Raffaele Cantone, incaricato dal governo di sorvegliare la distribuzione dei primi aiuti e l’avvio delle iniziative più urgenti, con il conseguente impiego di danaro pubblico e privato.

Ora, che un lavoro del genere sia necessario oltre che benemerito, viste le esperienze del passato più recente, basti pensare anche all’Umbria (1997) e a L’Aquila (2009), non ci sono dubbi. Ma è un fatto che l’urgenza dei soccorsi e la necessità di passare subito dalle parole ai fatti imponga procedure semplificate e corsie preferenziali, come del resto è avvenuto in passato con l’approvazione di leggi speciali e iniziative specifiche, che richiedono scadenze abbreviate approcci commisurati ai problemi delle realtà colpite. Attrezzarsi per evitare che da queste congiunture possano generare episodi di malversazione è giustissimo. Ma mettere le mani avanti, prima ancora che si mettano all’opera le persone scelte dal governo per il compito difficile di evitare un autunno e un inverno all’addiaccio ai terremotati d’agosto, potrebbe rivelarsi eccessivo, rallentando un lavoro che richiede necessariamente tempi stretti e creando le premesse per un ennesimo, quanto improvvido, al momento, scontro tra politica e magistratura. Che se invece dovesse verificarsi, renderebbe impossibile da mantenere la promessa di Renzi – già di suo un po’ avventata – di smontare le tende e dare ai senza casa un tetto, ancorché provvisorio, entro un mese.

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lastampa/La rinascita alla prova della giustizia MARCELLO SORGI

La lezione del signor Facebook: Faciem liber

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Il Buongiorno di Massimo Gramellini ragiona su un apparente paradosso: il fondatore di Facebook, il più grande social media del mondo, suggerisce a noi italiani di non abbandonare i vecchi libri di latino e invita i ragazzi a osare e elegge Enea, l’eroe cantato da Virgilio, quale più grande imprenditore della storia per la sua forza e tenacia:

«Enea è il più grande imprenditore della storia. Va avanti con forza e tenacia, non si arrende mai. Nella sua avventura ci sono le regole fondamentali per creare qualcosa di importante: la missione chiara in testa, la squadra con la quale realizzarla e la perseveranza»: firmato Mark Zuckerberg. 

Faciem liber
 Uno dei mantra del luogocomunismo italico recita che la cultura classica non serve più a nulla. Poiché la romanità è ciarpame nostalgico e il latino una fabbrica di disoccupati, per procurare uno straccetto di futuro ai nostri ragazzi occorre togliere in fretta dai loro zaini il Castiglioni Mariotti e l’Eneide e sostituirli con un trattato sugli algoritmi e un dizionario di cinese. Siamo nell’era di Facebook, cosa volete che conti la conoscenza della storia antica?

Poi un giorno sbarca in Italia colui che Facebook lo ha inventato e scopriamo che conosce il latino, ha una passione politica per la Pax Augustea e una artistica per i monumenti della Roma dei Cesari, cita la perseveranza di Enea come modello esistenziale e apprezza il «De Amicitia» di Cicerone.

A questo punto non ci si capisce più niente. Se per diventare come Zuckerberg bisogna fare l’opposto di Zuckerberg, qualcuno deve avere sbagliato i suoi conti. Zuckerberg, probabilmente, che ha perso tempo a studiare Virgilio, allargando a tal punto la mente da metterla nelle condizioni di accogliere un’idea che ha cambiato la vita a un paio di miliardi di persone. Se invece del latino avesse studiato una materia più utile, oggi saprebbe tutto soltanto di informatica, farebbe il dipendente sottopagato di Facebook e la teoria modernista dei nostri geniali educatori avrebbe trionfato in saecula saeculorum.

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vivicentro/La lezione del signor Facebook: Faciem liber
lastampa/Faciem liber MASSIMO GRAMELLINI

Renzi sconfessa il prefetto: i funerali ad Amatrice

I funerali di molte delle vittime si svolgono oggi ad Amatrice. La decisione di tenerli a Rieti aveva scatenato tensione dopo il sisma: le famiglie hanno chiesto di poter salutare i cari nella propria città. Ed un tweet del premier Matteo Renzi ha sconfessato il prefetto che aveva scelto Rieti per ragioni logistiche.

“I funerali si celebrano ad Amatrice”. E le bare da Rieti ritornano in paese

Il prefetto voleva farli svolgere nel capoluogo per problemi di viabilità e meteo Decide Renzi con un tweet e alle 18 il borgo distrutto potrà piangere le sue vittime

«Questa è una decisione assurda!» urla un signore che si chiama Antonio Fontanella. E’ l’ex sindaco del paese e proprio non riesce a crederci. «I funerali sono un momento di raccoglimento per la nostra comunità. Che senso ha portarci via da qui? Che venga Rieti ad Amatrice, non il contrario». «Ha ragione», dice don Fabio. «Io non ci vado là. Piuttosto dirò messa qui senza le bare».

Di fronte alla scuola crollata di Amatrice, alla fine della mattina del giorno numero sei, va in scena il primo momento di tensione dopo il terremoto. Una piccola folla si è radunata davanti alla sala operativa della Protezione civile. La rabbia scoppia quando diventa ufficiale la notizia che i funerali delle vittime di Amatrice si terranno all’aeroporto militare di Rieti. Decisione presa dal prefetto Valter Crudo, per due ordini di motivi: le strade sono danneggiate e quasi tutte chiuse, mentre si annuncia il primo giorno di maltempo. Le salme sono già state trasferite nella notte di domenica all’aeroporto, comprese le ultime sei in attesa di identificazione. Il prefetto assicura un servizio di navette per il trasferimento e maxischermi collegati in diretta. Ma non sembra un’idea molto apprezzata. «Noi il funerale in televisione non lo vediamo! Vogliamo salutare i nostri familiari nel modo giusto, con dignità, nella nostra terra».

Anche il sindaco Pirozzi è contrario: «Ho fatto presente a tutte le istituzioni che mi sembrava una scelta sbagliata. Bisogna tener conto del dolore». E infatti, persino un funzionario della Protezioni civile, che sta cercando di spiegare le ragioni istituzionali, la definisce una scelta «dolorosa». Tre ore più tardi, sono le 15.25, un tweet del presidente del consiglio Matteo Renzi sbroglia la questione, sconfessando il prefetto: «I funerali delle vittime del terremoto si terranno ad Amatrice come chiedono il sindaco e la comunità locale. E come è giusto!». Più tardi dichiarerà al Tg1: «Si tratta di una decisione sacrosanta». In serata le salme incominciano il viaggio di ritorno. Il funerale solenne verrà celebrato oggi alle sei di sera dal vescovo Domenico Pompili nel paese simbolo della tragedia. È stato proclamato un altro giorno di lutto nazionale.

Sarebbe stato davvero assurdo il contrario. Dopo che proprio il premier Renzi era andato sabato al funerale delle vittime marchigiane, rassicurando tutti i parenti e i sopravvissuti sul fatto che le decisioni sarebbero state condivise. «Non possiamo decidere da Roma. Dobbiamo confrontarci con voi. Siete voi che dovete dirci se preferite restare vicini ai paesi oppure no». Decidere della vita futura, a cominciare dalla commemorazione dei propri cari. Altre due vittime sono state estratte ieri dalle macerie di Amatrice. Il conto dei morti sale a 292, gli sfollati assistiti nelle tende sono più di 2900.

Questo tratto della strada statale Salaria, al confine fra Lazio e Marche, è in piena trasformazione. I primi cantieri per contenere le frane dalla montagna e spostare le macerie sono in funzione. In diversi punti la strada è a circolazione alternata. Lungo il percorso che va da Arquata del Tronto ad Amatrice si vedono quattro campi con le tende azzurre per gli sfollati. Ma è salendo che la situazione si complica. Le strade agibili sono per i mezzi di soccorso, ieri tutti gli altri potevano raggiungere Amatrice solo passando per uno sterrato. Chissà che strada avevano fatto i due sciacalli bloccati in frazione Preta a bordo di una Passat con targa tedesca. I carabinieri li hanno fermati con soldi, vestiti e persino pentole rubate nelle abitazioni crollate.

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lastampa/“I funerali si celebrano ad Amatrice”. E le bare da Rieti ritornano in paese NICCOLÒ ZANCAN – INVIATO AD AMATRICE

30 agosto 2016: salvati 1800 migranti e recuperate 3 salme (VIDEO)

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1800 migranti tratti in salvo nella giornata odierna, 30 agosto 2016, nello Stretto di Sicilia, nel corso di 12 operazioni di soccorso coordinate dalla Centrale Operativa della Guardia Costiera di Roma del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

Nel dettaglio, 302 persone sono state soccorse dalla nave Dattilo della Guardia costiera; 967 dalle navi Bersagliere e Cigala Fulgosi della Marina Militare, inserite nel dispositivo Mare sicuro; 128 dal rimorchiatore Voschablis, dirottato in zona dalla Centrale operativa della Guardia costiera e 410 dalla nave Phoenix del MOAS, che a bordo di un gommone ha anche rinvenuto e recuperato 3 salme.

NOTE sulla Guardia Costiera:

La guardia costiera è un corpo di polizia, talvolta con status e/o funzioni militari – organizzata a livello statale, responsabile di vari servizi.

Generalmente esercita una serie di differenti competenze che possono essere diverse nei vari paesi del mondo.

Attività e competenze

Fra le responsabilità che possono essere affidate ad un servizio di guardacoste, vi è la sorveglianza del rispetto delle norme che regolamentano la navigazione, la manutenzione di boe, fari, e altri ausili alla navigazione, il controllo delle frontiere marittime, sorvegliando le acque territoriali e altri servizi di controllo.

In alcuni paesi, la guardia costiera è parte delle forze armate, in altri è una organizzazione civile o privata. In altri paesi ancora, i compiti di salvataggio in mare sono suddivisi tra più organizzazioni, compresi corpi volontari civili. In questi casi, i mezzi navali possono essere forniti dai volontari, come i Royal National Lifeboat Institution, i velivoli dalle forze armate e la guardia costiera contribuisce con i propri mezzi.

In tempo di guerra, le guardie costiere possono venire incaricate della difesa dei porti, del controspionaggio navale e di perlustrazioni litoranee.

(note da: wikipedia)

 

Caccia agli appalti truffa del terremoto

Due milioni 995 mila euro sono piovuti su Accumoli e Amatrice dopo il terremoto del 1997. È su questo denaro che si concentra l’attenzione della Procura di Rieti: bisogna capire perché le ristrutturazioni non hanno evitato il peggio, esattamente una settimana fa.

Al setaccio incarichi e consulenze sui fondi del dopo terremoto 1997

Gli inquirenti vogliono capire come sono stati spesi tre milioni di euro. Indagini sui collaudi che mancano e sui lavori che non sono stati ultimati

Quasi tre milioni di euro. Per la precisione 2 milioni 995 mila euro. A tanto ammontano i finanziamenti che sono piovuti su Accumoli e Amatrice per i danni subiti dal sisma del 1997. A questi si deve aggiungere il finanziamento – ma fuori dal sisma dell’Aquila – che la Regione Lazio elargì al comune di Amatrice al fine di migliore la sicurezza della scuola «Romolo Capranica» e di altre strutture presenti sul territorio. Intorno a questo fiume di denaro, nelle prossime ore, si concentrerà l’attenzione della Procura di Rieti.

L’obiettivo, è quello di accertare come siano stati elargiti i contributi pubblici, e soprattutto come sono stati conferiti gli incarichi a una quarantina di professionisti tra ingegneri, architetti e geometri.

Il campanile crollato  

È questo il dubbio che anima l’iniziativa degli inquirenti. Un interrogativo che incontra anche le richieste dei cittadini, sia quelli che hanno o non hanno subito danni, sia soprattutto i familiari di chi, proprio sotto quelle strutture appena restaurate, ha perduto la vita. A cominciare dalla famiglia Tuccio di Accumoli (mamma, papà e due figli piccoli) annientata dal crollo del campanile del complesso parrocchiale di San Pietro e Lorenzo restaurata con 125 mila euro con tanto di collaudo. Insomma a distanza di quasi vent’anni, dunque, quel sisma che colpì duramente e tragicamente l’Umbria e alcuni luoghi simbolo come Assisi o Camerino nelle Marche, torna protagonista insieme al terremoto dello scorso 24 agosto. Nel territorio di Amatrice le strutture restaurate sono state tredici per un milione 860 mila euro. Ben 630 mila euro di «questi fondi – assicurano fonti – sono stati elargiti alla Curia… e mai rendicontati…».

I collaudi  

Solo due opere al maggio di quest’anno erano state collaudate. Si tratta della Chiesa di San Michele Arcangelo (100 mila euro) e di Icona Passatore per 200 mila euro. Le altre tre strutture, per un valore in euro di altre 330 mila euro (affidate come Ente attuatore alla Curia di Rieti) non risultano ancora restaurate.

Le caserme dei Carabinieri  

C’è poi il singolare caso delle caserme dei Carabinieri. Quella di Accumoli, nei fatti, è andata completamente distrutta. Ad Amatrice i lavori della caserma non sono ancora ultimati (150 mila euro) e anche l’altro edificio preso in affitto in attesa del rientro nella caserma principale è di fatto ancora inutilizzato. È davanti a queste cifre e alla presenza di tante consulenze che la procura vuole andare fino in fondo. Capire non solo come gli incarichi siano stati conferiti ma soprattutto quali rapporti sono intercorsi tra chi ha ricevuto e chi ha conferito l’incarico. Affidi più volte distribuiti a stesse persone che in talune circostanze figuravano come progettisti e in altri come collaudatori. In tutto sono una quarantina i professionisti che a vario titolo hanno partecipato alla distribuzione dei lavori che solo in parte a distanza di quasi vent’anni sono stati collaudati. In un caso, addirittura, la chiesa di Sant’Angelo di Amatrice i lavori sono ancora in fase di esecuzione.

La scuola elementare  

Capitolo a parte, invece, merita la scuola «Romolo Capranica» di Amatrice. La città fu tagliata fuori dai finanziamenti per il sisma aquilano del 2009. Ottenne allora una finanziamento ad hoc dalla Regione Lazio (5 milioni di euro) per una serie di lavori da svolgere sia nel palazzo che comunale che nella scuola alberghiera. Per la «Romolo Capranica» ci fu un accordo di programma in base al quale il commissario per il sisma Fabio Melilli rese ente attuatore il comune stesso per una cifra di 170 mila euro. Soldi che si aggiunsero ai circa 500 mila che lo stesso sindaco Pirozzi aveva ottenuto dalla Regione e che il comune appaltò autonomamente per i lavori.

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