17.8 C
Castellammare di Stabia
Home Blog Pagina 5973

Ssc Napoli: “A causa dei lavori al San Paolo prevista la riduzione dei posti per i giornalisti. Spostamento anche per alcuni abbonati”

La SSC Napoli comunica che a causa dei lavori di ristrutturazione e adeguamento funzionale impiantistico in corso allo stadio San Paolo, riguardanti anche la Tribuna Stampa, il numero dei posti riservati ai giornalisti subirà una sensibile diminuzione.
I lavori si estenderanno anche ad alcune postazioni riservate agli abbonati, ai quali la SSC Napoli fornirà una adeguata sistemazione momentanea.

Da sscnapoli.it

Under 17 Torneo San Giovanni, Juve Stabia-Frattese 4-0: le vespette in finale!

Under 17 Torneo San Giovanni, Juve Stabia-Frattese 4-0: le vespette in finale!

Vittoria per l’Under 17 della Juve Stabia nella semifinale del Torneo San Giovanni. Contro la Frattese è arrivato l’accesso alla finale di domani che si giocherà alle ore 10 con il risultato di 4-0 grazie alla doppietta di Del Prete e ai gol di Masi e De Luca.

Così in campo:

Menzione, Follo, Matarazzo, Stallone, Casella, Diomaiuta, Ceparano, Fibiano, Del Prete, Esposito

Nella ripresa mister Di Somma fa scendere in campo:

Pezzella, Maiorino, Mercatelli, Casella, Matarazzo, Cucca, Stallone, Ranieri, Masi, Capasso, De Luca

a cura di Ciro Novellino

I nostri sponsor:

 






 

Dal Senegal: Koulibaly lavora a parte seguito da un fisioterapista del Napoli

Dal Senegal non arrivano segnali particolarmente incoraggianti per Kalidou Koulibaly. Stando a quanto riferiscono i media locali il difensore azzurro non avrebbe preso parte all’ allenamento con il gruppo. Koulibaly, uscito per infortunio nella sfida contro il Cagliari in campionato, ha lavorato a parte sotto la supervisione di un fisioterapista inviato dal Napoli. Il medico, però, non seguirà la squadra in Congo per l’ amichevole in programma. Non si esclude che Koulibaly possa saltare il prossimo impegno. L’ intento è quello di inserirlo gradualmente in vista dell’ esordio in Coppa d’ Africa contro la Tunisia il 15 gennaio.

L’Italia delle diseguaglianze: disabili sempre più svantaggiati

0

Per oltre tre milioni di persone con handicap l’unico sostegno è rappresentato dalla famiglia Eppure sembrano fare più notizia le scoperte dei “furbetti” che si spacciano come disabili. Linda Laura Sabbadini fotografa la situazione italiana fra difficoltà quotidiane e mancanza di sostegno statale, con diseguaglianze che anche in questo caso vedono il Mezzogiorno area più colpita.

Disabili sempre più svantaggiati: l’assistenza è ormai un optional

Welfare debole, famiglia unico sostegno per oltre 3 milioni di persone. Trentino-Alto Adige regione più virtuosa, mentre a Sud la situazione peggiora

Poco si parla di disabilità nonostante il disagio riguardi non solo le tante persone che ne soffrono, ma anche le loro famiglie. Poco se ne parla, di questa popolazione così vulnerabile, ma invisibile, lontana dai riflettori. Fa più notizia la scoperta dei «furbetti» che si spacciano per invalidi.

Numeri della disabilità  

Sono 3 milioni 200 mila le persone con limitazioni funzionali stimate dall’Istat nel 2013, in piena crisi economica, in gran parte anziani, 700 mila hanno meno di 65 anni. Le donne sono più svantaggiate, con un tasso doppio rispetto agli uomini. Il tipo di limitazioni varia e si sovrappone nella maggior parte dei casi, evidenziando così la necessità di una forte personalizzazione della cura, di risposte multidimensionali a cui spesso i servizi sanitari e non, non sono preparati. Quasi 2 milioni sono le persone con limitazioni nelle attività quotidiane, difficoltà nel vestirsi o spogliarsi, lavarsi mani, viso, o corpo, tagliare il cibo e mangiare. 1 milione 500 mila ha limitazioni di tipo motorio, 900 mila difficoltà nella sfera della comunicazione, nel vedere, sentire o parlare. La situazione peggiore riguarda però, 1 milione 400 mila persone costrette a stare a letto, su una sedia o a rimanere confinate nella propria abitazione, specie tra gli ultraottantenni e le donne.

Il peso della famiglia  

Inutile dire che le differenze territoriali penalizzano molto, ancora una volta il Mezzogiorno. Inutile dire che le differenze sociali sono molto accentuate ed in crescita rispetto al 2005. Nella metà dei casi i disabili hanno risorse scarse o insufficienti. Inoltre un terzo dei laureati disabili è confinato nella propria abitazione, contro la metà delle persone disabili con al massimo la licenza media. Non c’è da meravigliarsi, i disabili sono particolarmente svantaggiati da un punto di vista economico, per due motivi fondamentali: da un lato perché le loro condizioni di salute rendono difficile disporre di un reddito, o di un reddito adeguato, dall’altro perchè necessitano di più reddito dei non disabili, per soddisfare i loro bisogni basilari o comunque per raggiungere una analoga situazione di benessere. Il welfare, i servizi di assistenza pubblica, dovrebbero contribuire a colmare questo gap tra disabili e non disabili, ma generalmente è la famiglia la principale, se non l’unica, risorsa sulla quale i disabili possono contare. Non sono poche le famiglie in cui vive almeno un disabile, l’11,4% in maggioranza con persone che possono farsi carico almeno in parte della cura. Ma nel 40% il disabile vive solo e nel 6% con altre persone con limitazioni funzionali. In questi casi, purtroppo, i servizi non riescono a sopperire.

Servizi a domicilio  

Meno del 20% di queste famiglie ha usufruito di servizi pubblici a domicilio. La carenza assistenziale non è colmata neppure dai servizi domiciliari a pagamento. E così il 70% delle famiglie con disabili non usufruisce di alcun tipo di assistenza domiciliare, né privata né pubblica. Per di più una parte non piccola ha dovuto rinunciare all’assistenza domiciliare non sanitaria o per motivi economici o perché i servizi pubblici non l’avevano ancora concessa: il 15% circa di quelli che vivono soli o in cui tutti i componenti hanno difficoltà funzionali. Se a ciò aggiungiamo che due strutture sanitarie su tre sono impreparate ad accogliere persone con disabilità, come si evince dall’indagine condotta dalla Onlus Spes contra spem insieme all’Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni, non possiamo che affermare che abbiamo a che fare con un sistema che ancora non riesce a puntare sulla centralità della persona. Passi in avanti sono stati fatti con i maggiori stanziamenti previsti dal Governo Renzi, ma molta strada abbiamo da fare.

Differenze regionali  

La spesa dei Comuni per la disabilità è fortemente disuguale ed è più bassa laddove i bisogni sono maggiori. Si passa da 16.912 euro per disabile investiti in Trentino Alto Adige ai 469 euro in Calabria. Bisogna ridare centralità alla cura, prevedendo percorsi personalizzati e rendendo i servizi inclusivi, sostenibili, di qualità, come chiede la comunità dei disabili. Investire nella cura significa creare nuovi posti di lavoro per il benessere dei disabili. Devono esserci diritti certi ed esigibili in ogni parte del Paese. Le famiglie, non più quelle di una volta, ma quelle di oggi, con pochi figli e le donne sovraccariche di lavoro, e il volontariato, da soli, non possono farcela. Non è una questione di carità, ma di mera civiltà e di rispetto dei diritti dei cittadini, nonché delle Convenzioni dell’Onu.

vivicentro.it/sanità
vivicentro/L’Italia delle diseguaglianze: disabili sempre più svantaggiati
lastampa/Disabili sempre più svantaggiati: l’assistenza è ormai un optional LINDA LAURA SABBADINI

Venerato: “Il Napoli ha fissato il prezzo per Gabbiadini, il Wolfsburg resta alla finestra”

Ciro Venerato, giornalista di Rai Sport ed esperto di calciomercato, ha parlato ai microfoni di Radio Crc del futuro di Manolo Gabbiadini. Ecco quanto evidenziato:
“L’ attaccante interessa sempre al Wolfsburg. Dopo il 9 gennaio potrebbe arrivare l’ offerta del club tedesco che con la cessione di Draxler ha la liquidità per concludere l’ affare. La richiesta del Napoli è di 20 milioni, per una cifra inferiore non si muove. Pare che all’ agente del calciatore sia pervenuta un’ offerta di 18 milioni proprio dal Wolfsburg”.

Rafael, l’ entourage: “Difficile possa lasciare il Napoli a gennaio. Da escludere l’ ipotesi prestito”

A Radio Crc, nel corso di  ‘Si gonfia la rete’ è intervenuto Lucio Di Cesare, membro dell’entourage del portiere azzurro Rafael. Ecco quanto evidenziato:

 
“Nessun segnale di un suo addio a gennaio. Il ragazzo ha ancora un anno e mezzo di contratto. Personalmente ho grande stima di lui, ha avuto tanti problemi ma l’unico titolo vinto dal Napoli vedeva Rafael in porta. In questa sessione di mercato è sempre complicato chiudere operazioni. Il giocatore non ha nessun problema, a Napoli si trova bene. Il fatto che non giochi dipende da una scelta tecnica.
Prestito? La formula non è mai stata presa in considerazione proprio perché il Napoli non vuole pagare l’ ingaggio al club cui verrebbe ceduto. Il mercato è lungo ma al momento escludo che possano esserci margini per qualche trattativa”.

Trump protezionista attacca General Motors

0

Il protezionismo del presidente eletto statunitense passa attraverso i tweet che prendono di mira la Gm: producete negli Usa o pagherete tasse e dazi. Pronta la risposta dell’azienda rivale Ford che annuncia la cancellazione del progetto da 1,6 miliardi di dollari per costruire una nuova fabbrica in Messico investendo invece 700 milioni per aumentare la sua produzione in Michigan.

Trump attacca la General Motors. Ford, niente fabbrica in Messico

Il presidente-eletto contro Gm: tasse e dazi se non produce negli Usa. E l’azienda rivale investirà 700 milioni per la produzione in Michigan

NEW YORK – General Motors, Corea del Nord, Cina, Obamacare, e gli stessi repubblicani che hanno la maggioranza alla Camera. Sono gli ultimi obiettivi degli attacchi lanciati ieri via Twitter da Trump, che però sta già smuovendo l’industria manifatturiera americana. La Ford infatti ha reagito alle sue critiche annullando la costruzione di una nuova fabbrica in Messico.

Ieri mattina il presidente eletto ha annunciato la nomina del protezionista Robert Lighthizer come Trade Representative, e poi preso di mira la GM con un tweet: «Sta mandando le Chevy Cruze costruite in Messico ai concessionari americani, senza tasse. Fatele negli Usa o pagherte grossi dazi!». E’ curioso che proprio la ceo della General Motors, Mary Barra, sia stata inserita da Trump nel gruppo dei suoi consiglieri economici. Già nelle settimane scorse il presidente eletto aveva minacciato di imporre una tassa del 35% alle aziende americane che realizzano i loro prodotti sotto costo in Messico, per poi rivenderli negli Stati Uniti. Lo scopo di questa campagna è spingere le multinazionali a riportare il lavoro in America.

Ieri la GM ha risposto all’attacco dicendo che la maggior parte delle sue auto costruite oltre il confine vengono vendute all’estero, ma la reazione più importante per Donald è venuta dalla Ford. Il ceo Mark Fields infatti ha annunciato la cancellazione del progetto da 1,6 miliardi di dollari per costruire una nuova fabbrica in Messico, investendo invece 700 milioni per aumentare la sua produzione in Michigan. Fields ha spiegato la decisione dicendo che si fida delle politiche espansive promosse dal nuovo capo della Casa Bianca, perché aiuteranno le aziende americane a rilanciarsi e fronteggiare i concorrenti stranieri, che invece continueranno a contare sui vantaggi della globalizzazione.

Le case automobilistiche non sono state le uniche toccate ieri dalla politica dei tweet. Trump ha attaccato i suoi stessi colleghi di partito, perchè il giorno prima avevano hanno tagliato le gambe all’organismo indipendente della Camera incaricato di indagare le violazioni etiche commesse dai suoi membri. Donald durante la sua campagna aveva promesso di «prosciugare la palude della corruzione a Washington», ma il provvedimento dei repubblicani andava nella direzione opposta, e quindi li ha attaccati. «Con tante cose che ci sono da fare, dovevate cominciare proprio con questa?». Poco dopo i colleghi della Camera si sono adeguati, annullando l’iniziativa.

Il presidente eletto ha risposto anche al leader nord coreano Kim, che aveva annunciato la volontà di fare test con missili intercontinentali in grado di trasportare testate nucleari e colpire gli Usa. «Non succederà», è stata la risposta di Trump. Nello stesso tempo ha attaccato la Cina, accusandola di prendere soldi dagli Usa, senza poi fare nulla per fermare Pyongyang.

L’ultimo attacco Trump lo ha lanciato contro la riforma sanitaria voluta dal suo predecessore. «Obamacare non funziona, ha fatto esplodere i costi», ha detto, smentendo quindi l’intenzione di salvare la riforma.

vivicentro.it/politica
vivicentro/Trump protezionista attacca General Motors
lastampa/Trump attacca la General Motors. Ford, niente fabbrica in Messico – PAOLO MASTROLILLI – INVIATO A NEW YORK

Rai, il cda boccia il piano news, Verdelli lascia

0

L’addio di Carlo Verdelli, il giornalista che avrebbe dovuto ridisegnare l’informazione televisiva pubblica, segna il punto più acuto della crisi della Rai che Matteo Renzi un anno e mezzo fa ha affidato alle cure di un manager di sua fiducia, Antonio Campo Dall’Orto. Fabio Martini racconta i retroscena di una Rai tutta “politica” voluta dell’ex premier e mai nata, e quella, più ambiziosa, di Campo Dall’Orto che si sta sgretolando.

Il crepuscolo della tv renziana, nel mirino c’è Campo Dall’Orto

La nemesi: la nemica Berlinguer condurrà il talk show in prima serata

ROMA – L’addio di Carlo Verdelli, il giornalista che avrebbe dovuto ridisegnare l’informazione televisiva pubblica, segna il punto più acuto della crisi della Rai «renziana», la Rai che Matteo Renzi un anno e mezzo fa ha affidato alle cure di un manager di sua fiducia, Antonio Campo Dall’Orto. Una crisi che dura da mesi e che, nell’ottica dell’ex premier, consumerà il suo passaggio più paradossale e doloroso tra qualche settimana: a metà febbraio un nuovo talk show di RaiTre, in onda il martedì sera, sarà affidato a Bianca Berlinguer, che l’ex presidente del Consiglio alcuni mesi fa aveva fatto allontanare dalla direzione del Tg3. Una sorta di nemesi: sia pure dietro le quinte, Renzi si era battuto anche per cancellare un talk show come «Ballarò» e far allontanare il suo conduttore, Massimo Giannini, considerato ostile. Una movimentazione che alla fine ha prodotto un plateale boomerang: il programma che ha sostituito «Ballarò» – «Politics» – ha chiuso anticipatamente e per far risalire gli ascolti il direttore generale, il «renziano» Campo Dall’Orto, ha dovuto richiamare la ex direttora del Tg3. Una sequenza eloquente: la Rai tutta «politica» di Renzi non è mai nata e la Rai, più ambiziosa, di Campo Dall’Orto si sta sgretolando.

Tutto era iniziato il primo luglio del 2015. Renzi, presidente del Consiglio già da un anno e mezzo, alla Humboldt Universität di Berlino era stato chiamato a pronunciare un discorso sul futuro dell’Europa, impegno assolto ma con una breve digressione nel corso della quale il capo del governo aveva definito i talk show «un pollaio senz’anima». Un’accusa all’informazione televisiva, ritenuta faziosa e chiassosa, ma anche il preannuncio di una offensiva. La «striscia» che segue è eloquente. Pochi giorni dopo il discorso di Berlino viene nominato, su suggerimento del governo, il nuovo Cda della Rai: alla presidenza va la giornalista Monica Maggioni, già direttora di Rainews, mentre la direzione generale è affidata ad Antonio Campo Dall’Orto, un passato da manager televisivo oltreché frequentatore abituale della «Leopolda». Il 22 dicembre 2015 il Parlamento approva una legge di riforma della governance della Rai che assegna all’amministratore delegato un super-potere: quello di indicare i direttori di rete e delle testate giornalistiche.

E infine le nomine: il 19 febbraio 2016 il cda indica i nuovi direttori di Rete e dunque anche di RaiTre, la «bestia nera» di Renzi. Tutto sembra pronto per la «nuova» Rai targata Renzi e il programma «ideologico» lo spiega l’amministratore delegato in un’intervista al «Foglio». Per Campo Dall’Orto i nuovi talk show non dovranno «eccitare o indignare», ma invece informare meglio. Un programma molto innovativo, e per concretizzarlo RaiTre chiama un giornalista di Sky, Gianluca Semprini. Il format si rivela subito senza novità rispetto al passato, ma la vera condanna viene dagli ascolti: ogni settimana «Politics» è nettamente superato da «Di Martedì, il «talk» della «Sette» condotto da Giovanni Floris.

Meno politica l’operazione-Verdelli. Già direttore della «Gazzetta dello Sport», già vicedirettore del Corriere della Sera», inventore della fortunata formula di «Vanity», espressione di un giornalismo «pop alto», Verdelli è chiamato da Campo Dall’Orto per ridisegnare il piano editoriale della Rai. Una missione impegnativa, tant’è che i nuovi vertici mettono da parte l’ambizioso piano preparato dal direttore uscente Luigi Gubitosi con la razionalizzazione delle testate e la riduzione dei costi, per lanciare quello di Verdelli. Ma ora si riparte da capo: tutto da rifare, tutto cancellato.

vivicentro.it/politica
vivicentro/Rai, il cda boccia il piano news, Verdelli lascia
lastampa/Il crepuscolo della tv renziana, nel mirino c’è Campo Dall’Orto FABIO MARTINI

La USL di Pescara ci informa sulla meningite e su come vaccinarsi

0

LE DOMANDE PIU’ COMUNI

 

  1. CHE COS’È LA MENINGITE MENINGOCOCCICA ?

La meningite è un’infezione delle meningi, le membrane che avvolgono il cervello e il midollo spinale, e può essere provocata da batteri, virus, sostanze chimiche o agenti fisici.

La MENINGITE MENINGOCOCCICA è provocata da un batterio (Neisseria Meningitidis), detto semplicemente meningococco. Può colpire a qualunque età, ma è più diffusa sotto i cinque anni e in particolare nei bambini con meno di un anno di età, e negli adolescenti tra i 12 e i 21 anni.

Non è una malattia molto diffusa, ma si tratta di un’infezione severa, con una rapida evoluzione, con una mortalità del 10-15% (dovuta in genere a sepsi o setticemia), e con un rischio dell’11-19% di complicanze serie, come ritardo mentale, malattie del sistema nervoso, sordità, disturbi della sfera psico-affettiva.

È possibile una terapia con antibiotici, ma, perché sia efficace, è essenziale la tempestività della diagnosi, che non sempre si riesce a fare;   ci sono casi che vanno incontro a esiti negativi anche se la terapia viene iniziata prontamente.

 

  1. QUANTI TIPI DI MENINGITE MENINGOCOCCICA CI SONO ? Esistono vari gruppi o sierotipi di meningococchi, ma solo 5, cioè A, B, C, W135 e Y, sono responsabili della malattia meningococcica invasiva.

I sierotipi che circolano più di frequente in Italia e in Europa sono B e C, mentre in Asia e Africa è più diffuso il tipo A e negli Stati Uniti si trovano anche W135 e Y.

 

  1. I VACCINI ATTUALMENTE A DISPOSIZIONE Il vaccino rappresenta l’unica arma di prevenzione efficace per evitare la meningite. Contro la meningite da meningococco sono disponibili tre vaccini:
  • anti-meningococco B,
  • anti-meningococco C
  • tetravalente contro i sierotipi A,C,W135,Y.  

 

  •  
  •  
  • IL VACCINO CONTRO IL MENINGOCOCCO B (MENB) È stato autorizzato solo nel 2013, per questo non era incluso nel Piano Vaccinale 2012-2014.   Il vaccino protegge contro quasi il 90 per cento dei ceppi di meningococco B e si può fare a partire dai 2 mesi di vita. Il numero di dosi da somministrare varia a seconda dell’età in cui si comincia la somministrazione. Non si hanno ancora dati certi sulla durata della protezione. Al momento nella nostra Regione è   sottoposto a pagamento di ticket
  • (Euro 81,30) e viene effettuata con prenotazione.
  • IL VACCINO CONTRO IL MENINGOCOCCO C (MENC) Disponibile già da parecchi anni, è inserito tra le vaccinazioni raccomandate dal Piano Nazionale per la Prevenzione Vaccinale ed, essendo stato introdotto nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), è gratuito dopo il primo anno di vita per i nati dal 2011 in poi e per gli adolescenti da 11 a 18 anni (come da calendario vaccinale vigente). A pagamento con ticket (Euro 16,50) per tutti gli altri. E’ proposto in dose unica e viene effettuato con prenotazione.  

 

  • La vaccinazione ha consentito di avere una significativa riduzione dei casi di meningite C nei bambini di età inferiore ai 5 anni di vita.
  • IL VACCINO TETRAVALENTE A,C,W135,Y (MCV4) Disponibile da poco tempo e non inserito nel calendario vaccinale 2012-2014, il vaccino tetravalente coniugato antimeningococco A,C,W135,Y   è stato finora raccomandato in Italia prevalentemente ai viaggiatori che si recano in paesi dove sono presenti tali sierotipi di meningococco e a coloro che desiderano una protezione maggiore, tenendo presenti le frequenti opportunità di spostamento legate alla globalizzazione. 4. I POSSIBILI EFFETTI COLLATERALI DEI VACCINI CONTRO LA MENINGITE ?Le reazioni sistemiche sono più rare e comprendono febbre lieve,  sonnolenza, mal di testa, nausea e malessere generale, che si risolvono in 2-3 giorni.La prenotazione della vaccinazione può essere effettuata telefonando al n.0854253959 dal Lunedi al venerdi dalle h11.30 alle 13.
  • Sono previste sedute straordinarie i cui orari saranno comunicati a mezzo stampa.
  • Per il vaccino contro il meningococco B c’è un maggiore riscontro di febbre, che si verifica circa nel 70-80% dei casi, se il vaccino viene fatto in concomitanza con altri.  Come per qualsiasi altra vaccinazione, anche i vaccini contro il meningococco possono causare reazioni allergiche di varia entità, anche se sono situazioni estremamente rare.
  • Gli effetti indesiderati più comuni dei vaccini contro la meningite sono rossore, gonfiore, e dolore nel sito di iniezione, che durano 1-2 giorni.
  • Esso non è gratuito, ma viene offerto con un ticket (Euro 50) e viene effettuato con prenotazione.

                                                                           

Pavoletti, il padre: “C’è possibilità di vederlo contro lo Spezia”

Le sue parole

Paolo Pavoletti, papà di Leonardo, ha rilasciato alcune dichiarazioni a Radio Crc: “Voglio fare un cordiale saluto alla tifoseria partenopea. Sento Leonardo tutte le sere, mi dice che è stato accolto bene a Napoli. Lui è un ragazzo solare che è sempre piaciuto ad ogni tifoseria dove ha giocato. Leonardo prende a cuore la maglia e dà in campo il massimo sempre. Le scelte le faranno Sarri e lo staff, ma come mi ha detto Leonardo credo che sabato sia prematuro vederlo in campo. Forse con lo Spezia c’è possibilità di vederlo convocato. Francamente non c’è mai stato alcun dubbio sul Napoli, l’affare non è mai stato in bilico. L’artefice del convincimento di Leonardo è stato Giuntoli, anche se il Napoli era squadra molto gradita. La trattativa era su binari certi perchè avevamo avuto risposte concrete da accertamenti clinici riguardo la gamba dato che era venuto fuori che era fragile. Non abbiamo mai avuto dubbi sulla buona riuscita dell’affare. Sto pensando di andare a Madrid per vedere il Napoli, sono sicuro che il Napoli potrà fare bene. Quella di scegliere il 32 è una cosa strana, il 9 era libero forse non ha voluto indossarlo anche se io gli avevo detto di scegliere questo numero. Forse non se l’è sentita di indossare il 9, ma rispetto la sua scelta”.

Sacchi: “Il Napoli di Sarri è uno spettacolo, ma la Juve è un’altra cosa”

Lo riporta lastampa.it

Il punto di partenza di Arrigo Sacchi è il pensiero di una vita: il calcio è un gioco dove il singolo deve armonizzarsi al resto del gruppo per scrivere il copione più bello.

È per questo che nella sua carriera non ha mai dato tanto peso al mercato di gennaio?  
“Per far sì che tutti recitino lo stesso spartito ci vuole tempo. A gennaio difficilmente trovi il giocatore che sappia inserirsi subito e, ai giovani, occorre dare proprio quel tempo necessario per ambientarsi…”

Gli equilibri del campionato, quindi, sono destinati a restare gli stessi di fine anno?  
“Il Napoli di Sarri è uno spettacolo, la Roma prova sempre a mettere in mostra un calcio propositivo, ma la Juve è un’altra cosa”.

Dentro confine o anche in Europa?  
“La società bianconera ha quella superiorità morale, di regole e stile che, in Italia, non vedo. E se il confronto si allarga, oggi la Juve è fra i primi due o tre club al mondo per organizzazione e visione del futuro”.

Quante possibilità hanno i ragazzi di Allegri di imporsi in Champions League?  
“Sono convinto che questo possa essere l’anno buono: le altre grandi faticano, basta guardare come il Real Madrid ha vinto il Mondiale per club in Giappone. E se in Premier in testa ci sono due squadre, Chelsea e Liverpool, che non fanno la Champions…”

La Juve al passo delle corazzate europee…  
“La Juve ha tutto per vincere: il tecnico, i giocatori, e come detto, la società. Deve credere più in se stessa…”

Tradotto?  
“Negli ultimi quarant’anni la Champions è andata nelle mani di chi ha vinto dominando, tranne due o tre eccezioni. E per dominare intendo quella maniera di scendere in campo che ti permette di impossessarti dell’inerzia della gara: ecco che cosa intendo quando dico creder di più in se stessa”.

Un peccato che attraversa tutto il nostro calcio…  
“Da noi si ragiona così: ti ho fatto gol, adesso ti aspetto. Ma segnare non è un reato, io non ho mai visto un pugile non approfittare delle difficoltà dell’avversario sul ring”.

Un peccato senza via d’uscita?  

“No, qualcosa si sta muovendo. Passi significativi: guardate come il Napoli, la Roma, il Milan, la Fiorentina, ma anche realtà minori come l’Empoli o il Sassuolo vanno ad affrontare le partite di campionato. Vedo più coraggio”.

Gabbiadini, Sarri tira un sospiro di sollievo

Gabbiadini, Sarri tira un sospiro di sollievo

Come riporta La Gazzetta dello Sport, non dovrebbero esserci problemi sulla presenza di Manolo Gabbiadini sabato sera contro la Sampdora. L’attaccante bergamasco aveva accusato un problema muscolare i giorni scorsi facendo temere il peggio in vista del match contro i blucerchiati, ma ieri è arrivata la bella notizia per Sarri che potrà contare dunque sul numero 23, almeno in panchina.

Pavoletti è già napoletano a tutti gli effetti: ecco dove ha preso casa

Pavoletti è già napoletano a tutti gli effetti: ecco dove ha preso casa

La Gazzetta dello Sport scrive su Leonardo Pavoletti: “Difficile, ma non impossibile viste le tante assenze nell’organico di Sarri, che venga convocato per sabato in occasione di Napoli-Sampdoria. L’idea è quella di preservarlo e lasciarlo allenare ancora qualche giorno per poi farlo sedere in panchina nel match con lo Spezia di martedì. Mertens in Coppa Italia sarà squalificato e allora Pavoletti potrebbe essere l’unica alternativa a Gabbiadini. Pavoletti è già napoletano a tutti gli effetti: ha preso casa in centro e non a Castel Volturno per vivere, insieme alla fidanzata Elisa, in simbiosi con la città”.

Prandelli: “I giocatori del Valencia mi dicevano: ‘Il Napoli è la squadra più forte d’Europa!'”

Le sue parole

Cesare Prandelli ha parlato alla Gazzetta dello Sport:

Lei ha detto una cosa, il Valencia un’altra: cos’è successo?

“Mi avevano promesso rinforzi, un investimento di 30 milioni poi molto ridotto. Ero stato a Singapore a parlare con la proprietà. Avevo detto: “Ci sono problemi, ho bisogno almeno di un centravanti, due centrocampisti, un difensore sterno”. Risposta: “Ok”. E vado subito su Zaza, ideale per il mio progetto”.

Uno che ha una voglia infinita di rivincita.

“Chiudiamo con la Juve. Parlo con il papà, Antonio, e gli chiedo il permesso di contattare Simone. Lui ha carattere, personalità, è d’accordo e lo aspetto il 28 per il primo allenamento. Non posso perdere tempo. E invece la società blocca tutto e il 29 dicembre la vicepresidente, in videoconferenza, dice: “Avete 24 ore per scegliere un centrocampista o un attaccante”. Ma come, dico io, la punta centrale è già fatta! Nessuna risposta. Allora mi prendo 24 ore di riflessione e poi mi dimetto: non abbiamo preso un giocatore… già preso. Missione finita”.

A proposito di confronti: tra poco il Real Madrid sfida la più spagnola delle italiane, il Napoli.

“E proprio per questo in Spagna il Napoli fa paura. Le dico solo che, quando nello spogliatoio abbiamo visto le partite di Champions, i giocatori mi hanno detto: “Questa è la squadra più forte d’Europa!”. Il Real non ha ancora vinto”

Ghoulam tentenna sull’offerta di rinnovo del Napoli

Ghoulam tentenna sull’offerta di rinnovo del Napoli

Come riporta Il Mattino, il rinnovo di Ghoulam appare sempre più in bilico: “Non è ancora in dirittura d’arrivo il nuovo contratto di Ghoulam anche perché l’esterno dell’Algeria pare sia finito nel mirino di Atletico Madrid, Bayern Monaco e Psg e che quindi il suo agente, Alessandro Moggi, stia tramando per ottenere il massimo dal prossimo rinnovo. Situazione in evoluzione, quindi, anche perché il difensore ha ricevuto la proposta di rinnovo e ha preso tempo E il ds Giuntoli attende nelle prossime settimane. Il Napoli ha iniziato da due mesi a discutere del nuovo contratto, ma il terzino ha ancora qualche tentennamento: a giugno potrebbe andar via, anche perché difficile poter dire di no a una eventuale offerta da 30 milioni (tanto pare che siano disposti a pagare per il terzino impegnato in questi giorni in Coppa d’Africa)”.

Mertens chiuderà la carriera a Napoli: niente clausola rescissoria

Mertens chiuderà la carriera a Napoli: niente clausola rescissoria

Il Mattino scrive dei dettagli importanti in merito al rinnovo di Dries Mertens: “Il nuovo contratto di Mertens è lì sulla scrivania di uno studio legale di Bruxelles, in attesa di qualche piccolo accorgimento e delle firme. Dopodiché arriverà l’annuncio del rinnovo-fedeltà del campione belga. Un passaggio non da poco: l’attaccante prolungherà il contratto di due anni, sino al 2020, ottenendo un aumento ragionevole. Dovrebbe passare dagli attuali 1,5 milioni a circa 2 milioni di euro netti a stagione. Più i bonus, ovviamente. Manca l’ok da parte del club azzurro ad alcune clausole richieste dal giocatore (dettagli), mentre i diritti d’immagine resteranno interamente di proprietà del Napoli. Infine, la decisione sulla clausola rescissoria: il Napoli ha deciso di non inserirla, neppure per l’estero. Mertens ha detto sì al rinnovo con la maglia azzurra, cosa che non è mai stata in discussione nemmeno prima del suo boom di fine anno: alla scadenza del contratto avrà 33 anni, in pratica quasi alla fine della carriera”.

Via al mercato, il punto in casa Juve Stabia tra acquisti e cessioni

Via al mercato, il punto in casa Juve Stabia tra acquisti e cessioni

Il calciomercato della Juve Stabia e non solo, è partito, la sessione invernale darà la possibilità di apportare correttivi agli organici, accontentare gli scontenti delle rose e, perchè no, rinforzarsi in vista della seconda parte di stagione, quella che può regalare grandi soddisfazioni. Prima della sfida contro il Melfi, abbiamo ascoltato in esclusiva, il ds Logiudice che ci ha rivelato l’interesse per un terzino sinistro: “Noi in questo momento abbiamo la priorità di ingaggiare un terzino sinistro, perché sussiste ancora il problema di Liviero alle prese con l’infiammazione, il quale ha disputato appena 7 presenze, e solo in 5 occasioni ha giocato da titolare. Quindi dobbiamo intervenire in base alle priorità, ad esempio difficilmente andremo ad ingaggiare un altro centrocampista quando poi in organico ne abbiamo sei, opereremo laddove siamo venuti meno anche numericamente, tant’è che abbiamo dovuto adattare un’attaccante esterno a terzino sinistro. Quindi questa sarà la prima priorità”.

Proprio per le condizioni fisiche non ottimali di Liviero, secondo quanto raccolto dalla redazione di Vivicentro.it, si cerca un calciatore in grado di avere continuità di rendimento e il nome giusto, accompagnato da voci molto forti, potrebbe essere quello di Andrea De Vito, classe ’91, scuola Milan, in forza oggi al Messina che può ricoprire il ruolo di terzino sinistro e di centrale. Un terzino sinistro è la priorità, anche perchè non si può fare affidamento soltanto su Liotti, che piace alla Vibonese, la squadra della città che gli ha dato i natali, e non sempre si può adattare Lisi in quel ruolo.

Potrebbe lasciare la Juve Stabia anche Sandomenico con la pista più probabile per sostituirlo che porta dritto a Giuseppe Caccavallo della Salernitana che, però, chiederebbe in cambio Cancellotti, ritenuto incedibile dal club del patron Manniello. Occhio a Juan Surraco che potrebbe cambiare maglia, lasciando dopo solo sei mesi la Ternana. Non è detto, comunque, che a centrocampo, anche se quantitativamente e qualitativamente si è al top, possa arrivare un colpo di qualità qualora uno tra Salvi e Zibert dovesse partire.

Rosafio piace alla Paganese, mentre sul piede di partenza c’è Montalto in cerca di squadra. In attacco, si seguiva la pista Cisse del Benevento, ma i gol messi a segno nell’ultimo periodo lo allontanano dalla cessione. Piace, invece, Demiro Pozzebon, classe ’88, in forza sempre al Messina e già seguito in estate. Altro nome per l’attacco, potrebbe essere quello di Di Piazza in uscita dal Vicenza.

Siamo appena all’inizio, abbiamo provato a fare un quadro generale, ma il mercato è lungo e ricco di opportunità e, comunque, si sbloccherà soltanto negli ultimi 10 giorni del mese, per provare a raggiungere un sogno…chiamato serie B!

a cura di Ciro Novellino

RIPRODUZIONE RISERVATA

Sui migranti scontro sindaci-governo

0

Le proteste dopo la morte di una giovane ivoriana in una struttura di accoglienza migranti a Cona, in Veneto, hanno riacceso il nodo della distribuzione dei profughi. Davide Lessi, inviato del La Stampa, racconta la rabbia condivisa tra i migranti e gli abitanti del posto. I sindaci attaccano il governo: non servono nuovi centri, ma più espulsioni. In un’intervista il neo ministro degli Esteri Angelino Alfano:“Dobbiamo accelerare su espulsioni e rimpatri: sono al lavoro per concludere accordi che diminuiscano gli arrivi impedendo le partenze”.

“Nell’ex base per i missili senz’acqua calda e in camerate al freddo”

I profughi a Cona: «Sei mesi per avere un documento»

CONA (VENEZIA) – La rabbia del Veneto, questa volta, ha la faccia di un giovane ventenne che viene dalla Guinea. Si chiama Yansané e non vuole nascondersi. «Sì – dice in francese – ho partecipato anch’io alle proteste dell’altra notte per quella povera ragazza». Sandrine Bakayoko, ivoriana di 25 anni, era una delle ospiti del centro di accoglienza di Cona, nel Veneziano: domenica mattina un malore l’ha colta in bagno. Era sola, sotto la doccia. L’hanno trovata priva di sensi, dopo aver sfondato la porta. Vana la corsa al pronto soccorso di Piove di Sacco, nel Padovano. La ragazza, secondo l’autopsia eseguita ieri, è morta per una tromboembolia polmonare. Morte naturale, dunque. E anche il ritardo nei soccorsi è stato smentito dal Suem, il servizio di urgenza medica del 118. Delle verità che però non sono bastate a sedare gli animi. «Era influenzata da giorni», racconta ancora Yansané. E denuncia: «Quando stai male, qui dentro, qualsiasi cosa tu abbia ti danno sempre un’aspirina, sempre che ce ne siano ancora».

Lui, con un altro centinaio di migranti, domenica notte, ha detto basta. E’ insorto: ha occupato il centro di accoglienza, acceso dei falò e sequestrato per qualche ora 25 operatori della cooperativa che gestisce il campo.

Una rabbia coltivata da mesi che, per tutta la giornata di ieri, non è scemata. Per capirla bisogna venire qui, nella frazione di Conetta, 200 anime, tanti campi e un’ex base missilistica chiusa da 10 anni, dismessa da 4 e da circa 15 mesi diventata un centro di accoglienza. Un hub, per dirla all’inglese. Uno di quei non luoghi che viene utilizzato per ospitare migranti. Quanti? Nessuno sa dirlo. Ufficialmente 1366 (tanti sono i pasti serviti), 25 le donne. Ma secondo fonti non ufficiali arriverebbero fino a 1800-2000.

«Un delitto»

«Comunque troppi», dice il sindaco, Alberto Panfilio, che denuncia: «Non si può parcheggiare così tante anime in questo posto». Ha passato quasi tutta la notte davanti ai cancelli della base, la febbre a 38 e poca voglia di usare mezzi termini: «Non importa che quella giovane ivoriana sia morta in modo naturale. Qui, in ogni caso, è stato commesso un delitto. L’assassino? E’ la politica che, nella sua totale assenza, ha creato le condizioni perché accadesse tutto questo». Poi rivela: «Quella donna aveva anche subito un aborto un mese fa». Sandrine era sopravvissuta al barcone su cui, con il compagno, aveva attraversato il Mediterraneo partendo dalla Libia, non al malore che l’ha colta nei bagni di questo centro d’accoglienza.

Il viavai fuori dall’ingresso della base non si ferma. Decine di agenti schierati in tenuta anti-sommossa proteggono l’ingresso. Cercano di fare entrare i furgoni del servizio mensa, ma per qualche ora non ci riescono. La protesta dei migranti continua. Dentro non si entra. Non solo gli operatori della cooperativa, anche i giornalisti restano fuori.

Filo spinato  

Una cinta di filo spinato protegge l’insieme di ex edifici militari e nuove tensostrutture allestite per i richiedenti asilo. E loro escono, ci mettono la faccia per spiegare i motivi della protesta: «Il primo problema sono i documenti: c’è gente che è qui dentro da sei mesi in attesa di una risposta per la richiesta d’asilo», denuncia David, 36 anni e tre figli lasciati in Ghana prima di affrontare il deserto e il mare con un gommone da mille dinari a testa. E continua: «Poi le condizioni igieniche e l’assistenza non funzionano: per avere acqua calda mi alzo alle tre di notte ormai da due mesi. Anche le stanze non sono sempre riscaldate». Ma avete a disposizione soldi? «75 euro al mese», spiega ancora David. Due euro e pochi centesimi al giorno che servono a ricaricare i telefoni, chiamare casa e dire che, forse, andrà tutto bene. E proprio da quegli smartphone David e un capannello di suoi connazionali mostrano le foto e i video delle camerate dove vivono ammassati in letti a castello, dei bagni intasati, della sporcizia che invade ogni angolo. Fonti della prefettura assicurano che tutto ciò sia dovuto alla protesta delle ultime 24 ore che ha fatto saltare il servizio di pulizia. Ma i dubbi rimangono e, con loro, la rabbia.

La cooperativa nel mirino

Una rabbia condivisa. Tra i migranti e fra gli abitanti che si aggirano circospetti nelle viuzze di questa frazione, di campi lasciati a maggese e un solo bar chiuso per le vacanze natalizie. «Ho paura: dal mio balcone ho visto le proteste, i falò, gli scontri», dice Enzo Zanirato, 62 anni, tra un mese pensionato. «Questa cosa ci ha cambiato la vita», dice  un ex agente della polizia provinciale che preferisce mantenere l’anonimato. «Una volta facevo l’intero giro della base a piedi, ora non me la sento di superare la strada provinciale». Uno striscione esprime questo malessere: «Rimpatriare gli immigrati. Stop al business dell’accoglienza». E nel mirino finisce Ecofficina, la cooperativa padovana di Battaglia Terme, che gestisce il campo di Conetta e altri centri di migranti, da Rovigo a Treviso. Era nata per operare negli asili e nelle biblioteche ma ora la sua attività principale è diventata quella dell’accoglienza. Tanto da arrivare a fatturare oltre 10 milioni di euro in un anno. Un’ascesa che è finita anche nel mirino degli inquirenti: due le inchieste aperte sui vertici della cooperativa (una per falso relativa all’aggiudicazione di un bando Sprar, il Servizio centrale del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati). Nonché una «scomunica» da parte della Confcooperative che ha sospeso Ecofficina lo scorso settembre («E’ una coop che guarda troppo al business e non risponde alle logiche della buona accoglienza»).

Il contagio  

La rabbia dilaga in tutto il Veneto. Il sistema dell’accoglienza sembra non tenere più: solo nel Trevigiano mancano 1.196 posti letto secondo i numeri forniti dalla prefettura. Altri beni del demanio verranno usati per gestire gli arrivi. Come l’ex polveriera vicino a Volpago dove gli abitanti hanno organizzato una manifestazione tre giorni dopo Natale: «Benvenuti nel Montello, sarà il vostro inferno», si leggeva in uno degli striscioni. L’altra faccia della stessa rabbia.

Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

vivicentro.it/cronaca
vivicentro/Sui migranti scontro sindaci-governo
lastampa/“Nell’ex base per i missili senz’acqua calda e in camerate al freddo” DAVIDE LESSI – INVIATO A CONA (VENEZIA)

Alfano: ”Dobbiamo accelerare su espulsioni e rimpatri”

0
I sindaci attaccano il governo: non servono nuovi centri, ma più espulsioni.

In un’intervista il neo ministro degli Esteri Angelino Alfano: “Dobbiamo accelerare su espulsioni e rimpatri: sono al lavoro per concludere accordi che diminuiscano gli arrivi impedendo le partenze”Davide Lessi, inviato del La Stampa a Cona, racconta la rabbia condivisa tra i migranti e gli abitanti del posto. Le proteste dopo la morte di una giovane ivoriana in una struttura di accoglienza migranti a Cona, in Veneto, hanno riacceso il nodo della distribuzione dei profughi.

Alfano: “Le balbuzie dell’Europa inadeguate contro il terrore. Serve maggior coesione”

Il ministro degli Esteri: «Rilanciare cooperazione e difesa comune. L’Italia porterà all’Onu l’attenzione sui migranti e il Mediterraneo»

ROMA  «La politica estera ha cambiato velocità: chi era abituato a pensarla come una faccenda lenta, dovrà fare i conti con i nuovi ritmi delle questioni internazionali». Dai migranti alla Libia al terrorismo, l’Italia affronterà il 2017 «da protagonista», promette il ministro degli Esteri Angelino Alfano: membro del Consiglio di sicurezza Onu, alla presidenza del G7 che culminerà nel vertice di maggio a Taormina, parte della troika Osce (che nel 2018 guiderà).

Quali priorità porterà l’Italia all’Onu?  

«Dobbiamo portare l’attenzione sulla sicurezza e i grandi flussi migratori del Mediterraneo, il luogo in cui si giocano le sorti del mondo. E dobbiamo affrontare il problema alla radice: sono i conflitti che hanno sconvolto la Siria e l’Iraq all’origine dei flussi di milioni di rifugiati. E poi, come superpotenza culturale, dobbiamo porre al centro la difesa dei beni culturali e il contrasto al contrabbando di opere d’arte».

Il Mediterraneo sarà anche al centro dell’agenda del G7 di Taormina?

«Vorrei che anche in quel caso ci fosse una postura accentuata sulla sicurezza nel Mediterraneo e il contrasto al traffico di esseri umani: è una sfida globale, nessuno pensi che il tema migratorio sia risolto con l’accordo con la Turchia».

Che impressione le fa la rivolta di Cona?  

«Noi ci muoviamo con rigore e umanità: abbiamo salvato molte vite ma non possiamo accettare da nessuno violazioni delle regole. Per questo dobbiamo accelerare su espulsioni e rimpatri: sono al lavoro per concludere accordi che diminuiscano gli arrivi impedendo le partenze».

Con quali Paesi?  

«C’è un triangolo di Paesi fondamentale: il Niger, con cui siamo vicini a chiudere un accordo, la Tunisia e la Libia».

Dalla Libia, ieri il generale Haftar ha rimproverato l’Italia di essersi schierata dalla parte sbagliata: come risponde?

«Noi non abbiamo fatto una scelta a favore di qualcuno, sosteniamo il governo riconosciuto dall’Onu e aiutiamo chi lotta contro il terrore, compresi i feriti di Haftar: il volo che ci rimprovera di non aver mandato è stato rinviato per espressa richiesta del vicepresidente del Consiglio presidenziale che è espressione dell’est del Paese. Lavoriamo per un’intesa che includa tutti: siamo stati i primi a dire che deve essere previsto un ruolo anche per Haftar».

Ministro, spostiamoci a est: la Turchia rischia di diventare obiettivo numero uno dell’Isis?

«La Turchia è lì: grande e adagiata tra due continenti. Tra tentazioni e contraddizioni. Noi siamo solidali con il suo popolo e col suo governo. Non ci sono strade alternative alla solidarietà e all’incoraggiamento nella lotta al terrorismo. La Turchia resta un solido alleato Nato e un partner imprescindibile per la nostra sicurezza e la prosperità di centinaia di nostre imprese. Ho risentito il ministro degli Esteri turco, manifestandogli vicinanza e assicurandogli il nostro sostegno».

In Italia come possiamo stare tranquilli?  

«Viviamo in un sistema di terrorismo globale che non ammette risposte nazionali. L’elemento più idoneo per garantire la sicurezza è l’integrazione tra Paesi, lo scambio costante di informazioni tra polizie e intelligence: ma questo avviene solo se c’è fiducia tra Stati».

A livello europeo c’è sufficiente cooperazione?

«Non sono ancora soddisfatto di come vanno le cose: si può fare molto di più. La parola chiave dei terroristi è velocità, quella che hanno avuto nell’organizzare attentati: non si può dire che la capacità di risposta dell’Europa sia stata paragonabile».

E’ un tema da porre a Bruxelles?  

«Conosco i tempi dello Stato di diritto, ma qui ci sono le lentezze, le balbuzie di Stati che non scambiano informazioni. Dobbiamo rilanciare l’idea di una difesa comune: l’anniversario del Trattato di Roma, a marzo, non sarà una liturgica commemorazione ma un energico rilancio del progetto europeo».

Il premier Gentiloni ha parlato anche di migliorare i rapporti con la Russia…  

«Siamo stati i primi a dire no a un rinnovo automatico delle sanzioni. E credo che alla luce della recente, seppur fragile, tregua siriana, sarebbe un errore strategico fare a meno del contributo russo nelle sfide alla sicurezza».

Putin potrebbe persino ricevere un invito al G7 di Taormina?  

«È precoce dirlo. Ci sono in piedi le sanzioni e c’è in corso il riconoscimento – generoso da parte di alcuni, stentato da altri – di quanto Mosca ha fatto per il cessate il fuoco in Siria, che è un passo avanti importante, sebbene debba essere ricondotto alla filosofia della risoluzione 2254 dell’Onu».

Sta per insediarsi Trump: cosa si aspetta?  

«Trump ha vinto il giudizio degli elettori, ma sopravvivono i pregiudizi dei detrattori. Penso sarebbe superficiale e malaccorto non cogliere che, nel momento di maggiore freddezza di rapporti tra Usa e Russia, un loro rilancio può solo fare bene al mondo».

Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati

cicixwntro.it/politica
vivicentro/Alfano: ”Dobbiamo accelerare su espulsioni e rimpatri”
lastampa/Alfano: “Le balbuzie dell’Europa inadeguate contro il terrore. Serve maggior coesione” FRANCESCA SCHIANCHI

15 anni di Euro, una storia che viene da lontano

0
La divisa europea ha compiuto il 1° gennaio di quest’anno 15 anni, un traguardo segnato da entusiasmi ed arrese, perplessità e ostilità, quando non avversione. Manifestazioni di pensiero in linea con i movimenti politici che hanno preso il sopravvento negli ultimi dieci anni, con un impeto sempre più forte proprio negli stati facenti parte dell’Unione europea. Certamente la brexit non da dato impulso agli ideali di unità e integrazione, ha portato semmai alla luce l’inquietudine che serpeggia tra i movimenti populisti, che col passare degli anni, hanno assunto una connotazione nazionalistica tendente alla devianza, a concezione estreme, xenofobe.
Tutto questo non va al servizio degli obiettivi che hanno portato, passo dopo passo i paesi membri (quelli aderenti all’Eurozona), alla scelta di condividere la stessa moneta, obiettivo importante nell’ambito degli ideali sostenuti all’origine dai padri fondatori dell’Europa unita.
L’Euro oggi è la moneta condivisa nei 19 paesi dell’area euro, gli altri nove non l’hanno adottata, e tra questi ultimi, la Gran Bretagna si appresta a rompere i trattati siglati a partire dal 1° gennaio del 1973, anno in cui entrò a fare parte della Comunità europea. L’accettazione dell’adesione fu considerata allora un’impresa importante per il Regno Unito, l’uomo che si aggiudicò il merito nella storia fu Edward Heath, un conservatore.
La storia della divisa europea parte da lontano, per tanti anni è stato un lento e silenzioso procedere, una strada disseminata di ostacoli di ogni genere, superati grazie alla pertinacia e determinazione dei paesi membri, decisi a rendere più salda l’Unione europea attraverso una politica economica e monetaria comune.
Si comincia a parlare di politica monetaria comune nel giugno del 1988, attraverso il Consiglio europeo, che espresse l’intento di giungere alla realizzazione dell’Unione economica e monetaria (UEM), e affidò ad un comitato il compito di elaborare il programma con i fini da perseguire, sotto la supervisione del Presidente della Commissione europea, che allora era Jaques Delors. Tale comitato era formato dai governatori delle banche centrali dei paesi membri della Comunità europea, ed alti esponenti del mondo dell’economia e della finanza. A lavori conclusi, il comitato redasse un documento, che fu chiamato “Rapporto Delors”, ed aveva il fine di realizzare in tre fasi l’Unione economica e monetaria.
La prima fase iniziava a gennaio del 1990 e doveva terminare a gennaio del 1994- Si prefiggeva di raggiungere obiettivi fondamentali: la completa libertà di circolazione dei capitali, il rafforzamento della cooperazione fra le banche centrali, il libero utilizzo dell’ECU (Unità di conto europea, che sarà poi sostituita dall’euro), miglioramento della convergenza economica.
La seconda fase va dal ’94 al ’99, e perseguiva altri obiettivi importantissimi per la politica monetaria comune: la creazione dell’Istituto monetario europeo (IME), il divieto di finanziamento del settore pubblico da parte delle banche centrali, maggiore coordinamento delle politiche monetarie, rafforzamento della convergenza economica, e infine la progressiva realizzazione dell’indipendenza delle banche centrali nazionali, da completarsi al più tardi entro la data di istituzione del Sistema europeo di banche centrali.
La terza fase partiva dal 1999, e fissava altri punti cardine in questo delicato e complesso processo d’integrazione economica e monetaria: fissazione irrevocabile dei tassi di conversione, introduzione dell’euro, conduzione della politica monetaria unica da parte del Sistema europeo di banche centrali, entrata in vigore dei nuovi Accordi europei di cambio, entrata in vigore del Patto di stabilità e crescita. Accordo sottoscritto dai paesi membri interessati nel 1997, col fine di mantenere stabili i criteri di adesione all’Unione economica e monetaria, ovvero l’Eurozona, affinché si rafforzasse il percorso d’integrazione monetaria già avviato nel 1992, con la sottoscrizione del Trattato di Maastricht.
E’ stato a Madrid, nel 1995, che il Consiglio europeo ha deciso di denominare ‘Euro’ la nuova moneta comune. Anche sul nome tante sono state le considerazioni, doveva risultare semplice e chiaro per tutti gli idiomi, anche per quel che attiene alla pronuncia, tenendo conto dei diversi alfabeti. ‘Euro’ poi parlava già di Europa, il che non era da sottovalutare, considerato che la nuova moneta, con gli scambi, sarebbe finita in ogni angolo di mondo. (Furono i Fenici a chiamare l’Europa ‘Ereb’, ovvero Occidente).
Al nome era necessario attribuire un simbolo, che fosse altrettanto chiaro ed emblematico, che riflettesse l’origine, e rimandasse al vecchio continente. Anche questo passaggio è stato frutto di confronti: fra trenta proposte ne furono scelte 10, le quali, attraverso un sondaggio di opinione, diventarono due e infine si optò per il simbolo grafico ispirato alla lettera epsilon dell’alfabeto greco, dal quale ha avuto origine la civiltà europea. La lettera ‘E’ è semplicemente l’iniziale del toponimo Europa, mentre le due linee orizzontali che la attraversano, rappresentano la stabilità della valuta. E come EUR è registrata presso l’Organizzazione internazionale per la standardizzazione (ISO).
La moneta comune nei paesi dell’area euro, è entrata in circolo a partire dal 1° gennaio del 2002, ma c’è oltre un decennio di organizzazione per portare a termine tale processo. E’ stato proprio il trattato di Maastricht a conferire alla Banca Centrale Europea il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote nei paesi che avevano scelto la moneta comune, tuttavia il diritto di emissione è condiviso con le banche centrali nazionali. Nella fattispecie, poiché la BCE non è coinvolta in operazioni di cassa, sono le banche centrali nazionali a immetterle in circolazione, oltre ad avere l’onere di custodire le banconote. Inoltre, deve essere registrato nel bilancio della BCE e delle BCN, il valore dei biglietti in euro circolanti, in corrispondenza di uno schema di ripartizione già regolato. La regolamentazione e le competenze sulle monete in euro, spetta ai governi nazionali, con la supervisione della Commissione europea. I governi dei paesi di area euro, sono emittenti legali delle monete metalliche, e sono pertanto responsabili del disegno e delle peculiarità tecniche, oltre che del conio. La BCE svolge funzioni di vigilanza e ha il compito di approvare il volume di conio delle monete, oltre ad esprimere una valutazione sulla qualità.
Nel 1994, l’IME, o Istituto monetario europeo (l’Istituzione monetaria che ha preceduto la BCE), ha stabilito i tagli delle banconote in euro. In seguito, dopo attente valutazioni, fu deciso d’includere la banconota di 500 Euro.
Nell’incontro che si tenne a Madrid nel 1995, si decise anche la data in cui la nuova divisa sarebbe entrata in circolazione, si stabilì un periodo che andasse dal gennaio 1999 a gennaio del 2002, e infine si optò per la seconda soluzione, dando così modo a tutti i paesi aderenti, di assolvere agli adempimenti previsti dalla normativa comune in termini di politica monetaria. Il Consiglio europeo decise inoltre che la doppia circolazione di moneta non sarebbe andata oltre i sei mesi, ma alla fine il periodo fu ridotto, anche per via dei costi che avrebbero subito le banche e gli esercizi commerciali, inoltre si mirava a rendere più agevole il lavoro di adeguamento dei distributori automatici.
La doppia circolazione sarebbe durata dunque due mesi, dopo di che, le banche avrebbero continuato a cambiare in euro le valute nazionali, che cessavano tuttavia, da allora in avanti, di avere corso legale. Già a partire dal 1994, l’IME (Istituto monetario europeo), si impegnò tramite il proprio gruppo di lavoro, a trovare delle soluzioni adeguate per il tema sulle banconote, ossia il disegno della serie di biglietti in euro. Fu un processo di ricerca lungo, che coinvolse anche esperti esterni alle istituzioni europee, ossia esperti di storia, arte, psicologia, design e disegno di banconote. Si richiedeva un tema che alludesse all’unità, che riunisse in un unicum simbolico i sette tagli di banconote che erano stati previsti, il cui tema, quello espresso nel modo migliore, riunisse in sé tutti i criteri affini alla moneta comune. C’era l’esigenza di rendere veloce e agevole la riconoscibilità delle banconote in euro, non solo nei paesi aderenti e in Europa, ma dovunque. La cartina dell’Europa era una delle caratteristiche irrinunciabili che doveva essere impressa in tutti i tagli delle banconote.
La carta utilizzata per la stampa proviene dai cascami di cotone dell’industria tessile, è particolarmente resistente in quanto è stata considerata l’usura derivante dai tanti passaggi di mano, e pertanto la qualità della materia prima deve essere altissima. Grande attenzione ha richiesto anche la filigrana adottata, due sono i tipi, riconoscibili anche dai non esperti. Il primo evidenzia l’immagine tridimensionale in chiaroscuro, che è poi il motivo principale, il secondo indica invece il valore nominale, le cifre si possono visionare in controluce. Il processo relativo alla filigrana ha richiesto metodi di perfezionamento derivanti da sistemi informatici computerizzati, legati alla progettazione e fabbricazione.
Per quel che riguarda i disegni, si partì dal presupposto dell’imparzialità più assoluta, pertanto si scartò l’ipotesi dei personaggi troppo rappresentativi. Una giuria, appositamente istituita, concordò sull’importanza d’imprimere un aspetto inequivocabilmente europeo alle banconote. Tanti furono gli ostacoli di carattere tecnico per la stampa delle banconote, si doveva procedere con materiali simili in tutti i paesi, affinché i risultati di stampa non presentassero differenze evidenti. La prima stampe dei prototipi fu avviata nel 1997, importantissimi nella valutazione erano i caratteri visivi. Gli strumenti di produzione, come le lastre da stampa, dovevano essere perfette, affinché le immagini delle banconote corrispondessero ai criteri di alta qualità. E tanti furono anche gli studi per garantire la sicurezza in termini di prevenzione per la contraffazione e falsificazione.
Un grande aiuto in questo versante è venuto da strumenti ad alta tecnologia, i cosiddetti rilevatori di banconote false, in grado di riconoscere con alti margini di sicurezza, quelle non legali.
Si tenne anche conto dei non vedenti, che in Europa sono oltre 7 milioni, furono contattati i rappresentanti di questa categoria speciale di cittadini europei, e con loro si concordarono gli accorgimenti tecnici in grado di rendere la moneta fruibile, con i caratteri speciali idonei a individuare i vari tagli.
Un lungo viaggio quello della valuta europea, durato 15 anni, che attesta i risultati della moneta unica circolante in zona euro. L’euro si è presentata come moneta forte, solida, ha subito le insidie della crisi economica che si è scatenata nel 2007, eppure, malgrado la scossa e i contraccolpi in termini finanziari, c’è stata una buona tenuta. La politica monetaria della BCE, volta negli ultimi anni, a riportare su valori accettabili il tasso d’inflazione, ha esercitato la sua influenza, anche se siamo ancora lontani dai target ideali.
L’economia europea, secondo i dati degli ultimi trimestri, dimostra di essere in crescita, anche il tasso di disoccupazione rientra in margini più accettabili, ma l’euro si avvicina pericolosamente alla parità col dollaro. Il biglietto verde ha accelerato parecchio alla fine del 2016, e non sembra avere intenzione di arretrare. Mentre l’euro perde terreno sul dollaro, accade il contrario con la sterlina, divisa che sembrava una roccaforte inespugnabile in Europa. Ad ottobre scorso, all’International Currency Exchange, in uno dei sei aeroporti di Londra, sono stati offerti 97 centesimi di euro per una sterlina. Un cambio che non sorprende, visti gli effetti della Brexit. Nel volgere di un anno, i timori dei mercati hanno avuto riflessi pesanti sui cambi, e la sterlina ha perso un quinto del suo valore, dal giorno del referendum il 15% della valutazione. Bisogna tuttavia precisare che i cambiavalute offrono in genere prezzi meno vantaggiosi rispetto ai cambi ufficiali delle divise. Ma resta comunque un segno importante che mette in rilievo una tendenza.
L’euro in Italia è più odiato che amato, ma del resto, un leale confronto di prezzi tra le due valute (con la lira), lascia veramente perplessi, se si considera l’aumento vertiginoso dei prezzi in 15 anni di moneta unica. Eppure, in un mondo sempre proiettato sulle trasformazioni e il progresso, pensare di tornare indietro sembra utopia, un azzardo perfino pericoloso, dati i rischi. E così quest’avventura che ci ha portato in un’altra dimensione, che ci ha fatto misurare con i fili tesi della globalizzazione, ha un suo senso nel terzo millennio.
Certamente ci sono aspetti che richiedono interventi e riforme, ma riprendere la via dell’autonomia significherebbe essere anacronistici nei confronti della storia, innescare un processo che riporterebbe l’Europa degli stati sovrani verso pericolosi nazionalismi e instabilità geopolitica. Com’è sempre stato, alla fine sarà la libera autodeterminazione dei popoli a decidere il destino futuro dell’Europa, con il semplice esercizio del diritto di voto, nello spazio esiguo d’una cabina elettorale, porto franco della democrazia.