De Benedetti vs Scalfari: l’analisi di Stefano Feltri

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Non è una scaramuccia tra arzilli vecchietti, per usare un’espressione di Diego Della Valle: l’intervista di Carlo De Benedetti al Corriere della Sera rende esplicito come mai prima d’ora una crisi culturale nel centrosinistra che coincide con il crepuscolo del renzismo (e forse c’è un nesso di causa effetto tra la troppa fiducia riposta in Matteo Renzi e il caos identitario seguito alla sua caduta).

De Benedetti stronca la sua Repubblica. Contro Renzi e Scalfari. Separati in casa

Tra Luigi Di Maio e Silvio Berlusconi, l’Ingegnere si rifiuta di scegliere: “Ovviamente mi asterrei”.

L’altro fondatore di Repubblica, cioè Eugenio Scalfari che del giornale fu il primo direttore nel 1976, ha invece ribadito più volte che il male minore è Berlusconi, perché “la politica è una cosa diversa dalla morale”.

De Benedetti dice ad Aldo Cazzullo del Corriere: “Penso che la risposta di Scalfari abbia gravemente nuociuto al giornale” e che “Scalfari è stato talmente un grande nell’inventare Repubblica e uno stile di giornale che farebbe meglio a preservare il suo passato”. Tradotto: Scalfari ha 93 anni, farebbe meglio a lasciar parlare il suo passato invece che comprometterlo con interventi dettati solo dalla “vanità”.

A 83 anni, De Benedetti è ormai un ex finanziere e anche un ex editore: prima ha passato ai figli Rodolfo e Marco l’impero economico controllato dalla holding Cir poi, completata la fusione con l’Itedi della famiglia Agnelli, si è ritirato anche dal ramo editoriale, lasciando a fine giugno la presidenza del Gruppo Espresso (che ora si chiama Gedi). Per il sito Dagospia, l’intervista al Corriere “è la prova che l’83enne De Benedetti non conta più nulla a Repubblica”.

In realtà il messaggio dell’intervista, che ha esplicitato quanto De Benedetti ha spesso detto in privato in questi mesi, sembra ben altro: la vera Repubblica non è quella in edicola, che vende solo 185.000 copie, reduce da un restyling che non ne ha cambiato la natura (“un giornale non è solo latte e miele; è carne, è sangue. Può avere curve; ma deve avere anche spigoli”), con una catena di comando che non può funzionare, tra un direttore molto moderato, Mario Calabresi, e un condirettore più pugnace, Tommaso Cerno (“Nessun grande giornale al mondo utilizza questa  formula”) e che deve schierare una delle sue firma di punta, Michele Serra, per chiedere ai lettori di accettare  qualche garbata critica al Pd renziano mentre invece, ricorda De Benedetti, “Renzi ha deluso non solo me, ma tantissimi italiani”, molto meglio Paolo Gentiloni, “un calmante nell’isteria della politica renziana”.

Ecco, quella non è la vera Repubblica e – è il sottinteso – quella non è la vera cultura del centrosinistra progressista di cui quel giornale è stato la voce ma anche il laboratorio. La vera Repubblica resta quella di De Benedetti ed Ezio Mauro (“un grandissimo direttore”), immolato sull’altare della fusione con La Stampa cementata dall’arrivo alla direzione di Mario Calabresi, oggi stimato da John Elkann ma non certo da De Benedetti (l’Ingegnere non lo nomina in tutta l’intervista) che preferisce Cerno, già direttore dell’Espresso.

Nel gruppo Gedi oggi l’approccio De Benedetti-Mauro è all’opposizione. Ma le cose cambiano in fretta. Calabresi, che nei mesi scorsi è stato a un passo dall’addio, potrebbe avere nuove opportunità dopo le elezioni 2018 (le condirezioni come quella con Cerno non sono fatte per essere permanenti).

C’è da anche da scegliere un nuovo direttore per il coordinamento dei quotidiani locali Finegil, dopo il passaggio di Roberto Bernabò al Sole 24 Ore. La Repubblica normalizzata e filogovernativa dell’era renziana sta seguendo la caduta di Renzi. Meglio cambiare prima che sia troppo tardi, è il monito di De Benedetti.

vivicentro.it/OPINIONE
Vivicentro/De Benedetti vs Scalfari: l’analisi di Stefano Feltri
ilfattoquotidiano/De Benedetti stronca la sua Repubblica, contro Renzi e Scalfari (Stefano Feltri)

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