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l caso SIRI continua ad agitare le acque tra M5S e Lega ed il vento che scaturisce dalle dichiarazioni di Salvini e Di Maio, fatte di reciproche accuse, fa volare sempre più gli stracci di un accordo che sempre più stenta a tenere uniti le due forze opposte per natura, ma che hanno provato a farsi uguali per contratto.
Tra i due prova, come ormai fa da tempo, prova ad inserirsi Conte ricordando ai due (ma forse farebbe bene a ricordarlo per primo a se stesso, e non solo oggi e per questo caso) che il Premier è lui e che è a lui che spetta l’ultima parola, e quindi la scelta, che possa risolvere il caso.
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Purtroppo per troppo tempo Conte non ha mai detto nemmeno la prima parola per cui ora anche queste volano via insieme agli stracci e nessuno sembra farci caso tanto più che, per l’ennesima volta, arzigogola con un NI, chiede pazienza e, – in concreto -, nulla decide ne risolve sulla vicenda del sottosegretario ai Trasporti del Carroccio, indagato per corruzione, per cui la tensione tra Lega e M5S non solo continua, ma aumenta sempre più come si può desumere dalle ultime dichiarazioni dei due.
Intanto l’interessato, Siri, sentendosi forte del sostegno di Salvini che, nonostante le ripetute richieste di un passo indietro da parte dell’alleato, Di Maio, non intende mollarlo, per il momento non ha alcuna intenzione di dimettersi ed allora ecco che cresce la battaglia verbale tra i due vicepremier che vede Di Maio a dire:
“Credo che la stragrande maggioranza degli italiani condivida il fatto che uno che è coinvolto in un’indagine di corruzione e che parla di mafia non possa restare sottosegretario. Detto questo ho piena fiducia nel fatto che Conte stia seguendo la vicenda e trovi una soluzione per questo governo e per noi e credo anche che Salvini farà la scelta giusta, anche perché ormai ci sono parlamentari della Lega che quando li incontro mi dicono che Siri debba dimettersi”.
Al tutto il Capitano risponde in modo sbrigativo e stizzato sbuffando un:
“Alla Lega ci pensa la Lega! Noi ci stiamo occupando di vita reale e quindi non ho tempo da perdere con altre polemiche, ho detto tutto quello che dovevo”
Poi, in serata, al termine di un comizio a Civitavecchia (dove è spuntato uno striscione ‘Io sto con Siri’), il leader del Carroccio a fatto sapere di non aver sentito il ministro del Lavoro durante la giornata, dando così anche nota del fatto che il rapporto con l’altro vicepremier, Di Maio, rimane teso.
Nella contrapposizione interviene, da Genova, anche il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti a sua volta tirato in ballo, sempre dai grillini, per l’assunzione avvenuta di recente di Federico Arata* al Dipartimento programmazione economica.
*Si tratta del figlio di Paolo Arata, l’imprenditore ed ex parlamentare di Forza Italia, indagato con il sottosegretario Armando Siri per corruzione. Arata jr, architetto, è stato molto attivo nel mettere in contatto l’ex ideologo di Donald Trump, Steve Bannon, con il mondo della Lega e Matteo Salvini.
Giancarlo Giorgetti quindi, a margine di un appuntamento elettorale a Genova, prova a riportare una eventuale definizione del caso al patto di governo Lega-M5S che, afferma, parla chiaro:
“Nel contratto che abbiamo stabilito ci sono delle regole che ci siamo dati. È chiaro che il rinvio a giudizio presuppone che ci sia una verifica preventiva, che al momento però nessuno conosce”
ed aggiunge:
“il Presidente del Consiglio e Siri si sono spiegati. Non conosco il contenuto dell’incontro, ma al momento resta lì anche se credo non abbia le deleghe, quindi resta lì”.
A seguire sente la necessità di scendere in campo anche Giulia Bongiorno, ministro della Funzione Pubblica che, prova a far pesare il suo verbo anche d’avvocato e dichiara:
“Siri è stato trattato dai media come un condannato definitivo, mentre è un indagato per fatti di corruzione che ha subito chiesto di essere ascoltato, ma ancora non ha reso interrogatorio. Da oggi secondo me dovrebbe calare il silenzio, in attesa dei chiarimenti che fornirà”.
Come si può notare, nella Lega i “combattenti” non mancano e più d’uno non esita a scendere in campo a fianco del Capitano, mentre, tra i pentastellati, Di Maio appare essere lasciato abbastanza solo per cui, come sempre, si vede quasi costretto a ripetere il mantra del:
“Ci sono tensioni nel governo ma il governo andrà avanti. Noi chiediamo le dimissioni perché per noi é un’inchiesta che implica una questione morale. Poi sono sicuro che se verrà giudicato innocente, tornerà a fare il sottosegretario”
e così pensa, credo, di tranquillizzare gli uni e gli altri; e per “gli uni” intendo i “suoi” sodali (o che tali dovrebbero essere) che ormai si sentono comodi nelle varie poltrone, o anche strapuntini, per cui temono di perderli e dover magari tornare a lavorare, semmai un lavoro avevano.
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