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ancano due mesi alle elezioni, ma il sistema proporzionale sta producendo confusione fra le forze politiche in campo prima ancora di andare alle urne: «A differenza di quel che accadeva in tempo di maggioritario – scrive Federico Geremicca nel suo editoriale – il sistema proporzionale spinge alla ricerca della conquista del voto e allo scontro con il competitor più vicino e non più con quello più distante». Innescando una sfida tutti contro tutti che mette a soqquadro la scena politica.
Il proporzionale che porta scompiglio
Diciamo la verità, non ci eravamo più abituati: né come cittadini-elettori e forse nemmeno come osservatori di fatti politici. Dopo 20 anni e più di elezione diretta di sindaci, governatori e (un po’ surrettiziamente) perfino di capi di governo.
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Il dietro-front dal sistema maggioritario a quello proporzionale sta infatti creando non pochi problemi e una discreta confusione. E la notizia, se si vuole, è che in questi primi passi di campagna elettorale anche i partiti – più o meno tutti – sembrano vittime della stessa disabitudine.
Gli esempi si sprecano. Ne citiamo due. Il primo: la difficoltà del Pd a mettere assieme una qualche forma di coalizione, nonostante un lavoro che dura da mesi e che ricorda sempre più – però – la famosa tela di Penelope; il secondo: la tensione crescente che segna i rapporti tra la Lega e Forza Italia, che pure – stando agli annunci – si dicono alleati per la riconquista del governo del Paese. Ogni giorno una polemica: su chi sarà premier, sull’Europa, sugli immigrati, sul rapporto con i «centristi traditori».
Si tratta di pratiche politiche e strategie alle quali – appunto – bisogna rifare l’abitudine, perché – a differenza di quel che accadeva in tempo di maggioritario – il sistema proporzionale spinge alla ricerca della conquista del voto e allo scontro con il competitor più vicino e non più con quello più distante. Accadeva così negli anni della Prima Repubblica (soprattutto negli ultimi due decenni): e non a caso – per fare un solo esempio – gli scontri e le tensioni che contrapponevano il Pci di Enrico Berlinguer e il Psi di Bettino Craxi erano spesso assai più aspri della storica rivalità che divideva Dc e Pci
È anche per questo che l’avvio della campagna elettorale sembra avvenire, come dicevamo, sotto il segno della più grande confusione. Per dire: Matteo Renzi considera più avversario Berlusconi o Piero Grasso? Salvini è più distante da Di Maio o da Forza Italia? E i Cinque Stelle considerano più coerente un governo con la Lega o con la nuova sinistra di Bersani, D’Alema e Civati? La fotografia che restituisce l’attuale stato di cose, insomma, è quella di un frenetico tutti contro tutti: e considerando il profilo della nuova legge elettorale, polemiche e confusione non potranno che aumentare
Storia a sé – per il momento – è quella del Movimento Cinque Stelle: che pur dichiarandosi lontano da tutti, ha trovato il modo di autoprodurre – diciamo così – una notevolissima quantità di pasticci. Ogni giorno ne sforna uno nuovo: una volta è il cambio semiclandestino di regole e statuto, un’altra i tilt ed i sospetti che segnano ogni importante decisione via web, un’altra ancora – ed è storia di oggi – l’oscuro meccanismo di selezione delle candidature. E visto che la campagna elettorale non è ancora nemmeno ufficialmente cominciata, l’interrogativo su quanti altri pasticci combinerà il movimento di Beppe Grillo rischia di diventare virale.
È innegabile, però, che il centro di gravità della massima conflittualità sia oggi collocabile nell’area del centrosinistra ed abbia come baricentro proprio il Pd. Il partito di Matteo Renzi, infatti, ha subito una scissione e non è poi riuscito (in ossequio alla logica, diremmo) a far coalizione con gli scissionisti. Ha quindi tentato col Campo progressista di Giuliano Pisapia, registrando un altro insuccesso. Ed è ora alle prese col possibile fallimento sia del patto elettorale con gli europeisti di Emma Bonino sia con i centristi di Beatrice Lorenzin. Se gli altri hanno un problema, insomma, il Partito democratico per ora sembra averne un mucchio.
Molti ne attribuiscono la causa alla presenza «divisiva» di Matteo Renzi, che certo non ha precisamente la pazienza e la duttilità del federatore. Tanto che c’è chi giunge a pensare che, volendo votare comunque per la possibile coalizione di centrosinistra, l’alternativa sarebbe fare una croce proprio sul partito della Lorenzin: così da indebolire Renzi pur votando per il campo prescelto. Una follia, verrebbe da dire. E in fondo, invece, è solo una delle scelte rese possibili da questo fantastico ritorno al supermarket del proporzionale.
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lastampa/Il proporzionale che porta scompiglio FEDERICO GEREMICCA
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