Se nel Centro destra c’è aria di dispettucci, nel centrosinistra si assiste invece a un momento inedito per il segretario del Pd Matteo Renzi: “L’autoproclamata fase zen di Renzi continua: e a trarne vantaggio non è solo il quadro generale, come si usa dire, ma forse lo stesso profilo del leader Pd”, osserva Federico Geremicca.
Quei leader in cerca di un’identità
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rriconoscibile. Quasi come un Achille che rinunci alla battaglia o un centravanti affamato di gol che ceda ad un compagno un calcio di rigore. Sia come sia, a qualche settimana dall’avvio dell’esperimento, l’autoproclamata «fase zen» di Matteo Renzi continua: e a trarne vantaggio non è solo il quadro generale, come si usa dire, ma forse lo stesso profilo del leader Pd.
Eppure, la fase è di quelle fatte apposta per polemiche cattive e soddisfazioni retroattive. Infatti, l’economia che migliora, la battaglia sullo Ius soli, la legge elettorale da varare e il sanguinoso regolamento di conti a sinistra del Pd, tratteggiano un quadro nel quale il «vecchio» Renzi sarebbe andato a nozze. Invece, niente. Che sia il successo del «modello Gentiloni» ad aver influenzato anche il leader democratico o che si tratti di altro, la novità è evidente, anche se non ancora consolidata.
La correzione di rotta renziana (se si vuole, più di forma che di sostanza) si inserisce in una fase politicamente assai interessante in ragione di un fenomeno ormai indiscutibile: la debolezza, la contestazione e la crisi delle leadership in campo. È un fenomeno – sia chiaro – non solo italiano, se solo si pensa alla parabola delle «tre M» (Merkel, May e Macron) considerate pochi mesi fa padrone d’Europa ed ora alle prese con diverse ma evidenti difficoltà.
Infatti, quasi come per contrappasso – rispetto ad una esasperata personalizzazione della politica – il peso della lunga fase di crisi si va impietosamente riversando – e personalmente, appunto – su leader e capi di governo. Ma mentre qua e là in Europa si intravedono alternative e antidoti, in Italia rischiano di farla da padrona l’incertezza e la confusione, visto che il fenomeno è tanto diffuso da apparire generalizzato.
Non è in buona salute, anche se appare in ripresa, la leadership di Matteo Renzi, che deve fare i conti con contestazioni interne e veti ed ostracismi esterni. Discorso simile per Silvio Berlusconi, il cui ruolo guida è apertamente contestato perfino da chi dovrebbe allearsi con lui. E la sorpresa sta nel fatto che addirittura la neonata leadership del Movimento Cinque Stelle – che pure si dice refrattario a correnti e cordate – è attaccata dai cosiddetti «ortodossi», insofferenti verso il troppo potere e la poca democrazia che avrebbero accompagnato l’ascesa di Luigi Di Maio.
Il quadro, inoltre, si fa più preoccupante se si getta uno sguardo al cosiddetto potere decentrato, spesso capace di supplire a difficoltà, lentezze e impacci nazionali. Tra sei mesi, magari, il quadro sarà diverso: ma oggi come oggi anche alla guida delle maggiori città italiane (da Roma a Milano, passando per Torino) ci sono sindaci discussi e poco amati. E lasciamo da parte, per carità di patria, lo stato di salute e il credito di cui godono magistratura, sindacati e altre organizzazioni di massa.
Questo è lo stato dell’arte a sei mesi – più o meno – dalle prossime elezioni politiche, che saranno il vero banco di prova per leadership contestate e affaticate. Saggezza vorrebbe che si tenesse conto di tutto questo, mentre si ragiona sul profilo della legge elettorale da varare: e il bivio, in fondo, è chiaro. Al punto in cui si è, infatti, la scelta è semplice: o si va avanti (rafforzando il sistema maggioritario fino a dare a leadership politiche e di governo un potere vero, che in fondo non hanno mai avuto) o si torna indietro, ai tempi in cui nessuno comandava sul serio ma nessuno pagava davvero.
Dopo aver finto per decenni – col Mattarellum prima e col Porcellum poi – che in Italia i cittadini potessero davvero eleggere il loro premier (cosa non prevista dalla Costituzione) sarebbe il caso di sciogliere definitivamente il nodo. Molto probabilmente non avverrà, e l’intero sistema continuerà a reggersi – dunque – su un equivoco di fondo. Il «vecchio» Renzi – per tornare all’inizio – avrebbe denunciato l’insostenibilità dell’imbroglio; il Renzi-zen, invece, si limita a lavorare per il meno peggio…
Ancora qualche settimana e vedremo l’approdo della discussione. E scopriremo anche se il «vecchio» Renzi si è davvero «gentilonizzato» o se la sua – come sussurra qualcuno – non è una trasformazione ma un semplice, passeggero e obbligato letargo.
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