Oggi e domani in Sicilia si va a votare in diversi comuni ma i cittadini continuiamo ovunque a rimanere forzosamente solo dei “buoi”.
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non me ne vogliano i “buoi”, il termine è solo metaforico, ho rispetto per la vita animale).
Oggi domenica 4 ottobre e domani lunedì 5 si svolgono in Sicilia le elezioni amministrative in 62 Comuni.
Avendo l’Isola, come da Statuto speciale, l’autonomia decisionale in materia di Enti locali, il Governo di centrodestra del Presidente della Regione, Nello Musumeci, ha fissato diversamente i predetti due giorni per le elezioni comunali (ovviamente con maggiori costi tanto poi pagano poi da sempre i cittadini-buoi-contribuenti) per la tornata elettorale, rispetto a quanto disposto dal Governo nazionale Conte2 (giallo-rosso: m5s, Pd, Leu, Iv) che invece nella Penisola le ha fatto coincidere con il referendum del 20 e 21 settembre sul taglio dei parlamentari in cui ha vinto il SI (sperando che almeno questo “SI” venga poi onorato nei Palazzi parlamentari e istituzionali).
A seguito dell’emergenza Covid 19, in questa tornata elettorale le urne saranno aperte due giorni: domenica (dalle 7 alle 22) e lunedì (dalle 7 alle 14) Lo scrutinio delle schede si terrà immediatamente dopo la conclusione delle votazioni. La costituzione dell’Ufficio elettorale, nei vari seggi, è avvenuta il sabato pomeriggio.
Ogni eventuale ballottaggio è fissato per il 18 ottobre. Ad essere coinvolti dalla tornata elettorale straordinaria saranno oltre 810 mila siciliani.
L’opinione e il tema dell’articolo.
Che si vada a votare nella Penisola o nell’Isola alle amministrative, di fatto e forzosamente: il cittadino di tutta evidenza non conta nulla; se non solo per la facoltà (quanto libera ?) di eleggere i soliti o altri padroni oppure delfini/e, vecchi o nuovi, senza che poi possa realmente incidere, partecipando e controllando la locale politica per il restante quinquennio.
Da queste pagine e anche con altre attività socio-attive, specialmente in questi ultimi due anni, si sono formulate delle doviziose proposte sulla scorta di esperienze in trincea, al solo fine che si possa avere un concreto, forzoso e legittimo potere, così che si possa partecipare e controllare pragmaticamente la Cosa pubblica, ovverosia la vita del proprio Comune e quindi indirettamente, anche le Città metropolitane e Regioni, il tutto per legge e con uno strumento adeguato e modernizzato, non costoso e indirettamente di tutela civile ed esistenziale.
Le proposte erano state meditate per cercare di mettere fine al noto cancro decennale quanto altrettanto fuorviato, dell’imperante clientelismo, voto di scambio sociale, mercimonio, favoritismo, penetrazione di delinquenza e criminalità organizzata, tutti fattori che risaputamente quanto solitamente elusi, specialmente dalle passerelle, congressi, eventi, manifestazioni, discorsi di fine anno e dalle innumerevoli pletore di codazzi, squillo (uomini e donne) e menestrelli che nel nostrano contesto: pubblico-politico-sociale italiano e siciliano, ci dirottano e per questo vengono parimenti mantenuti e incrementati con i soldi pubblici dalle rispettive mendaci forze politiche di appartenenza).
Sinteticamente alcune proposte.
1) Tagliare “l’acqua” alla base. Abbattere la corruzione nei Comuni ed Enti vari. Per fare questo si dovrebbero ripristinare gli organi di controllo (come il Co.Re.Co, Comitato regionale di controllo e la Commissione Provinciale di controllo) ma con criteri inoppugnabili di rotazione (questa misconosciuta nella Nazione) e composti con anche nuove figure, quali un Magistrato (peraltro già a suo tempo previsto dalla norma ma sempre surrogato da avvocati che sono più “avvicinabili”) e tre ufficiali, rispettivamente della Guardia di Finanza, Polizia e Carabinieri, però tutti quanto meno provenienti da regioni diverse e neppure limitrofe a quella in cui opererebbero. Una riassuntiva cronistoria su questo strumento: Sull’onda di fine anni ’90, con la premeditata propaganda del federalismo e decentramento, fu varata la riforma del Titolo V della Costituzione che è entrata in vigore l’8 novembre 2001 dopo un lungo iter normativo. Il Senato, con deliberazione adottata l’8 Marzo 2001 (Governo Amato II) ha approvato la Legge Costituzionale n. 3/2001, cosiddetta riforma Titolo V della Costituzione, artt. 114–132, con cui si disciplinano le autonomie locali. All’epoca, si giunse all’approvazione con una maggioranza inferiore a quella richiesta (maggioranza qualificata dei due terzi dei membri delle Camere) e per questo tale legge è stata sottoposta a referendum confermativo il 7 ottobre 2001 (Governo Berlusconi 2), il quale si è concluso con esito favorevole (noi cittadini comuni siamo troppo baravi con la nostra, preordinata dallo Stato, insipienza scolastica a darci zappate sui piedi) all’approvazione della legge con il 64% dei votanti che si è espresso per il SI, così entrando in vigore il mese successivo. Nessuno da quel momento ha controllato più le delibere e gli atti dei Comuni e degli Enti. In una intervista del 2018 (e ancora prima nel 2016 nel corso della presentazione del suo libro “Padrini e Padroni” che si era tenuta alla Procura di Enna alla presenza del procuratore Massimo Palmeri e del massmediologo Klaus Daviche) il Procuratore Capo di Catanzaro dr. Gratteri, individuava in ciò uno dei motivi per cui i Comuni sono spesso in mano alla corruzione e alla criminalità <<La riforma Bassanini è stata un grande, anche se involontario, favore alle mafie, perché ha tolto il CORECO (Comitato Regionale di Controllo). Un sindaco solo davanti al mafioso che va lì e gli dice «No questa delibera deve passare.» il primo cittadino cosa risponde «Guarda che è inutile che la facciamo perché tanto il CORECO la boccia». Oggi non c’è nemmeno quello”. Ha dichiarato Gratteri in un’altra fase dell’incontro “Quando il capomafia concorre a votare il sindaco, perché la cosa terribile per i politici solo le ultime 48 ore quando hanno paura di non essere eletti, fanno patti con il diavolo. Bisognerebbe incatenare i candidati gli ultimi tre giorni per non farli andare nelle case dei capimafia. Oggi rispetto a venti anni fa sono loro che vanno a casa dei mafiosi a chiedere pacchetti di voti in cambio di appalti perché la mafia è più credibile di loro. Trenta quaranta anni fa era il contrario: era il boss che andava dal politico a chiedere il posto per la nuora, o di non far fare la leva al figlio”.
Occorre quindi urgente questo Organo amministrativo intermedio, tra la società e il Tar, che esamini le delibere, determine, ecc. degli Enti e al quale (assumendosene le responsabilità nel caso di dichiarazioni mendaci) il cittadino o il consigliere di minoranza possa segnalare in modo celere, non costoso e semplice, le note storture in tanti Enti.
2) La legge 97/2016 e successive integrazioni e modificazioni sulla trasparenza della Pubblica Amministrazione, che in buona parte è una discreta norma, ma di tutta evidenza deliberatamente inefficace, in quanto sostanzialmente solo propositiva e pertanto incompleta poiché non contempla pene e sanzioni. Mancano infatti le immediate conseguenze a carico dell’amministrazione inadempiente quando opaca se non anche omertosa e reticente. Il comune cittadino infatti, dopo che ha messo in luce le locali irregolarità, non può e non dovrebbe, in una Nazione civile, democratica e repubblicana, doversi esporre a costosi ricorsi e spese legali, oltre a diverse conseguenze a cui potrebbe andare incontro con anche ritorsioni trasversali verso la propria famiglia.
3) Va abolito il limite dei 15 mila abitanti previsto dall’art. 13 del d.lgs. 97/2016 per cui i rispettivi amministratori non devono rendere noti i loro redditi e quelli dei propri parenti diretti (una norma che favorisce anche la mafia). A seguito infatti del decreto legislativo 25 maggio 2016, n. 97 «Revisione esemplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza, correttivo della legge 6 novembre 2012, n. 190 e del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, ai sensi dell’articolo 7 della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», l’ANAC (Autorità Nazionale Anticorruzione) nell’adunanza dell’8 marzo 2017 ha approvato in via definitiva la delibera n. 241 «Linee guida recanti indicazioni sull’attuazione dell’art. 14 del d.lgs. 33/2013 «Obblighi di pubblicazione concernenti i titolari di incarichi politici, di amministrazione, di direzione o di governo e i titolari di incarichi dirigenziali» come modificato dall’art. 13 del d.lgs. 97/2016» che ne dispone la pubblicazione sul sito istituzionale dell’ANAC e sulla Gazzetta Ufficiale e in cui si dice “Comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti … nei comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti, i titolari di incarichi politici, nonché i loro coniugi non separati e parenti entro il secondo grado non sono tenuti alla pubblicazione dei dati di cui all’art. 14, co. 1, lett. f), ovverosia dichiarazioni reddituali e patrimoniali.
4) Associazionismo preda del clientelismo. Una recente norma obbliga tutte le forme associative che ricevono contributi pubblici di divulgare su un sito aperto, pertanto non chiuso ai soli iscritti, tutte le rispettive informazioni sui fondi ricevuti. La legge n.124 del 4 agosto 2017, ai commi 125 e 129, fa infatti obbligo di trasparenza sui contributi percepiti. Ed entro il 28 febbraio del 2018 e successivamente ogni anno, tutte le associazioni, onlus e fondazioni destinatarie nell’anno precedente di contributi superiori a 10mila euro erogati da Amministrazioni pubbliche e da società partecipate, hanno l’obbligo di pubblicare sui siti web le informazioni relative a sovvenzioni, contributi, incarichi retribuiti e a vantaggi economici di qualunque genere ricevuti l’anno precedente. L’inosservanza dell’obbligo comporta la restituzione delle somme ai soggetti eroganti. Sono conseguentemente esonerati da tale obbligo le Associazioni che ricevono – sovvenzioni, contributi, incarichi retribuiti e vantaggi economici – inferiori a 10mila euro. Nessuno pare neanche rispettare questa norma. E non solo andrebbe fatta applicare, ma anche si deve e sollecitamente in tutta Italia, ridurre l’importo fissato, dai dieci mila ad almeno 1000 euro, anzi meglio 500, l’obbligo, per qualsiasi associazione che riceve fondi pubblici, di rendicontare pubblicamente su un proprio sito o pagina Facebook. E nel caso di inadempienza, non solo comminare la restituzione delle somme, ma anche escludere l’associazione e similare, da ogni futuro rapporto con il sistema pubblico. Così certa trasversale clientelare politica perderebbe di certo parte del consenso di tutta evidenza comprato con i soldi dei contribuenti mistificato da contributi, stante che notoriamente molto associazionismo sono forme implicite di distribuzione di soldi pubblici per finanziare politici, liste elettorali, partiti e rispettivi seguiti. Si distingue in Italia per trasparenza nell’associazionismo solo il Veneto, nella cui Regione le Organizzazioni di Volontariato (L. 266/91) e le Associazioni di Promozione Sociale (L. 383/00) ed iscritte al Registro Regionale sono sempre tenute, sulla base della L.R. n. 30 del 30 dicembre 2016, a pubblicizzare i contributi ricevuti da Enti pubblici, indipendentemente dal loro importo. All’obbligo si assolve nel Veneto, compilando un apposito schema e attraverso la sua pubblicazione sul rispettivo sito internet dell’associazione, onlus, ecc.
È stato tutto vano.
La non trasformazione in norme efficaci e certe delle sopra elencate proposte, riteniamo, permette una costante rigenerazione, specialmente a partire dal basso così rafforzando l’alto, della trasversale collettrice umana di uomini e donne che ci ammorbano, contaminando da sempre ed ogni giorno di più la restante società, grazie pure alla velata (e neanche tanto) sparsa compiacenza e connivenza dei vari Governi, Parlamenti, Giurisprudenza, ecc.
Sicché nessuno pare volere che il cittadino possa forzosamente impicciarsi della Cosa pubblica, evidentemente ritenuta dalla trasversale politica e dalle istituzioni “cosa nostra”.
L’Italia e la Sicilia appaiono ormai in modo lampante e in maggioranza, eticamente subdole nel sistema pubblico-politico. Regna visibile una interiore e di fatto corruzione generalizzata, insieme anche a tanta omertà, spesso pure dovuta ad obbligato silenzio per “quieto vivere” per se e la propria famiglia.
Inoltre c’è tanto preordinato benaltrismo specialmente con l’effimera parola “cultura” da sempre buona in tutte le varie occasioni pubbliche per blaterare di tutto e di altro che non sia il quotidiano e palese vero dei nostri tempi.
La Penisola e l’Isola, a detta (ufficiosamente) di tutti, stanno divenendo sempre più ipocrite e retoriche; nei governi, parlamenti, palazzi, istituzioni, burocrazia, ordini professionali, associazioni di categoria, ecc.
Dagli scranni più alti fino all’ultimo sgabello, il sistema pubblico-politico appare da anni solo auto-referente, teatrante, tronfio, ingordo e sprezzante nonché pure concussionario e prepotente . Il raggiungimento di fini e interessi comuni è ormai divenuto da tempo solo uno slogan per allodole.
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