Italo comprato da un fondo Usa: perché pagato così tanto?

La storia di Italo, comprato da un fondo Usa per quasi 2 miliardi di euro, non è...

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La storia di Italo, comprato da un fondo Usa per quasi 2 miliardi di euro, non è un’altra bandiera tricolore ammainata ma il successo della scelta coraggiosa – e unica in Europa – di consentire la concorrenza tra operatori nel sistema ferroviario. Rimane da capire perché gli acquirenti abbiano offerto un prezzo tanto alto.

Italo a stelle e strisce

È una storia istruttiva sulla concorrenza quella di Ntv, la società dei treni Italo ad alta velocità. Tra errori e difficoltà (create anche dall’ex monopolista Ffss) l’impresa si afferma sul mercato, crea ricchezza e ora viene acquistata da un fondo Usa.

E così i treni amaranto passano agli americani, con l’accettazione dell’offerta del fondo infrastrutturale Gip di oltre 1.980 miliardi di euro e l’accollamento del debito. Italo, che all’inizio del decennio Trenitalia, con qualche cattiveria,  suggeriva di chiamare Franco, per la presenza tra gli azionisti dei francesi di Sncf, verrà ora forse soprannominato Bob, e racconta una storia sorprendentemente innovativa nel panorama europeo.

Quando nel 2006 un gruppo di azionisti italiani, tra cui alcuni degli alfieri del lusso made in Italy e imprenditori di consolidata esperienza nel settore – assieme ai francesi – disegnano un progetto di concorrenza nell’alta velocità, affrontano un terreno completamente vergine. Perché in nessun altro paese in Europa si assisteva, allora come oggi, a forme di concorrenza nel mercato. Anche la liberista Inghilterra prevedeva infatti forme di concorrenza per il mercato dove il vincitore della gara opera come monopolista. Non era quindi ovvio se effettivamente un mercato per i servizi di trasporto ad alta velocità potesse sostenere più di un operatore. Il secondo rischio riguardava la decisione di entrare in un mercato formalmente liberalizzato, ma privo di quelle garanzie che possono facilitare la crescita dei nuovi concorrenti. Non vi era infatti, allora come oggi, alcuna separazione tra la rete ferroviaria, gestita da Rfi, le stazioni e i servizi di trasporto, offerti da Trenitalia all’interno del gruppo Ffss, non esisteva alcuna separazione contabile tra servizi gestiti in monopolio in un regime di servizio di interesse generale e servizi competitivi. L’Autorità di regolazione dei trasporti sarebbe stata creata solamente alla fine del 2011, portando tra i primi provvedimenti una riduzione dei pedaggi che RFI chiedeva a Italo (Ntv) per l’utilizzo dei binari.

Tutta in salita la partenza di Italo

Inoltre, nei primi anni di attività, probabilmente Ntv compie degli errori nella scelta del business model. Presentando i propri treni come un servizio di comfort e di lusso, con un premio di prezzo rispetto a Trenitalia, si dimentica un aspetto fondamentale. Il pubblico business guarda alla frequenza delle corse, che consenta una gestione flessibile delle trasferte e degli orari di partenza. Su questo Italo scontava uno svantaggio strutturale rispetto a Trenitalia, che ha sempre offerto un numero ben maggiore di corse, riuscendo a intercettare una quota maggiore del pubblico ad alta disponibilità di spesa.

L’avvio della concorrenza nel 2012 ha avuto un impatto significativo sui prezzi, che si sono via via ridotti mano a mano che l’offerta di Italo cresceva. Quanto questa dinamica sia stata guidata da normali fattori concorrenziali e quanto invece abbia visto l’incumbent mettere in atto una strategia di prezzi predatori finalizzata alla esclusione del nuovo concorrente non è dato sapere: l’indagine avviata dall’Autorità antitrust si è chiusa con l’accettazione da parte di Ntv di alcune misure senza arrivare a una decisione finale. Ma sicuramente i risultati economici del nuovo attore sono stati ben al di sotto delle attese, e hanno portato nel 2014 alla necessità di rinegoziare le condizioni di finanziamento, con l’entrata di Intesa e di Generali nell’azionariato (e l’uscita dei prudentissimi francesi). Un rigidissimo programma di riduzione dei costi assieme al riconoscimento della necessità di prezzare a sconto rispetto a Trenitalia hanno permesso di risalire la china, con un aumento dei passeggeri, del load factor e dei ricavi, fino al risultato positivo del 2016.

Una storia di imprenditoria privata

E arriviamo quindi alle vicende di oggi, su cui è utile sgombrare il campo da alcune opinioni senza fondamento. La vicenda di Ntv non è l’ennesima riproposizione del vecchio adagio della privatizzazione dei profitti e pubblicizzazione delle perdite. L’avventura imprenditoriale si è basata su capitali privati, dai soggetti pubblici, il gruppo Ffss, ha ricevuto non favori  ma sonori schiaffoni. Onore al merito, quindi, di un progetto che è sempre stato gravido di rischi.

Resta da capire cosa attendersi dal nuovo azionista Gip. Non è chiaro infatti quali siano le aspettative che hanno portato il fondo infrastrutturale a un’offerta sicuramente molto generosa. Mi sembrerebbe puro autolesionismo un disinvestimento dal mercato italiano, che oggi è l’unico in Europa a vedere due imprese in concorrenza che fanno profitti. E tuttavia è difficile immaginare ulteriori sostanziali margini di efficientamento di Italo dopo la cura di questi anni. Lo sviluppo su nuove tratte dei servizi ad alta velocità in Italia, d’altra parte, dipende anche da quanto Rfi investirà nel potenziamento delle infrastrutture.  Si è poi parlato del progetto di replicare l’esperienza italiana in altri paesi europei, anche in vista della prevista apertura del mercato nel 2020. Una prospettiva tuttavia da guardare con un qualche scetticismo, dopo i ripetuti rinvii nella tabella di marcia europea delle liberalizzazioni ferroviarie. Se l’esperienza italiana insegna qualcosa, inoltre, è proprio la grande resistenza che gli incumbent nazionali frappongono all’entrata di concorrenti, resistenza che può essere mitigata solamente da politiche pubbliche appropriate nelle mani dei diversi governi.  E non si vede oggi in giro tutto questo entusiasmo per la concorrenza.

MICHELE POLO – Ha svolto i suoi studi presso l’Università Bocconi e la London School of Economics. E’ professore Ordinario di Economia Politica presso l’Università Bocconi. Ha trascorso periodi di ricerca a Lovanio, Barcellona, Londra e Tolosa. I suoi interessi di ricerca riguardano l’economia e la politica industriale, l’antitrust e la regolamentazione. Redattore de lavoce.info.

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