Flat tax, reddito di cittadinanza, ma: e l’aumento automatico dell’ Iva? Chi pagherà?

L’aumento automatico dell’ Iva in applicazione delle clausole di salvaguardia (“invenzione/regalo” del Governo Berlusconi*) aleggia sul...

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L’aumento automatico dell’ Iva in applicazione delle clausole di salvaguardia (“invenzione/regalo” del Governo Berlusconi*) aleggia sul programma del prossimo governo.

* Clausola di salvaguardia
Con i decreti dell’estate 2011 (decreto legge 98/2011 del 6 luglio e 138/2011 del 13 agosto) il governo Berlusconi dispone una copertura a futura memoria, assistita da una clausola di salvaguardia: se il governo (il governo che verrà) non troverà, entro il 30 settembre 2012, 20 miliardi attraverso i tagli al sociale ipotizzati da una improbabile delega fiscale-assistenziale, i soldi, già iscritti in bilancio come entrata, si dovranno trovare con un taglio lineare di tutte le agevolazioni fiscali, oppure con un aumento delle aliquote delle imposte indirette, incluse le accise.

Evitarlo richiede di trovare altre entrate nel bilancio dello stato o tagli di spesa, altro che flat tax e reddito di cittadinanza. Qualcuno dovrà pagare e bisognerà spiegare a chi tocca.

Per chi suona la clausola di salvaguardia

La via per eliminare la clausola di salvaguardia sulle aliquote Iva rimane stretta. Lo è dal punto di vista procedurale, ma ancora di più da quello politico. Perché si devono trovare altre entrate o effettuare tagli di spesa. A chi toccherà pagare?

Il pendolo della clausola

Per tutta la durata della campagna elettorale, le forze politiche hanno accuratamente evitato di raccontare come avrebbero evitato l’aumento dell’Iva dal 2019 (la cosiddetta “clausola di salvaguardia”), preferendo suggestionare gli elettori con promesse inverosimili di aumento della spesa pubblica e tagli clamorosi di imposte. Dopo le elezioni, per due mesi, le stesse forze politiche hanno poi spergiurato che avrebbero fatto di tutto per evitare l’aumento. Quando è sembrato avvicinarsi un ritorno alle urne, la clausola è di nuovo diventata un problema secondario e facilmente risolvibile. Ora, nell’attesa di scoprire se il tentativo di Lega e Movimento 5 stelle di formare un governo avrà successo o meno, e per orientarsi tra le varie oscillazioni dei partiti sulla clausola, è utile ripassare la procedura legislativa per l’approvazione del documento che sta alla base di tutte le decisioni di finanza pubblica, vale a dire l’iter per l’approvazione del bilancio dello stato

Processo annuale e sessione autunnale

Il processo di bilancio interessa tutto l’anno che precede la sua entrata in vigore. Dal punto di vista procedurale, il bilancio è l’unica legge per cui l’iniziativa legislativa appartiene in via esclusiva al governo (articolo 81 Costituzione). La prima fase è nota come “semestre europeo”: entro il 10 aprile, il governo presenta il Documento di economia e finanza alle Camere (ed entro il 30 aprile alle istituzioni europee); il Def è poi aggiornato sulla base delle eventuali osservazioni ricevute e delle stime più recenti entro il 20 settembre, così che poi può diventare base fondamentale per la redazione della legge di bilancio. Il Def dovrebbe comporsi, tra le altre cose, di un quadro a legislazione vigente e uno programmatico, che tenga conto degli obiettivi e delle riforme previste dal governo. Ma per quest’anno, vista la fase transitoria del dopo voto, è stato accettato che contenesse solo la parte tendenziale, e quindi, naturalmente, che non affrontasse il problema delle clausole di salvaguardia.
Il disegno di legge di bilancio è presentato alle Camere entro il 20 ottobre, quando si apre la seconda fase, cioè la “sessione parlamentare di bilancio”. Entro il 30 novembre, la Commissione europea comunica un parere sul documento programmatico di bilancio (consegnato entro il 15/10), che può tramutarsi in un via libera, in un’accettazione con riserva oppure in una richiesta di intervento per correggere i conti (una “manovra correttiva”).
Il termine ultimo per l’approvazione del bilancio è naturalmente il 31 dicembre. Se la legge di bilancio non venisse approvata in tempo, il Parlamento può comunque autorizzare l’esercizio provvisorio, della durata massima complessiva di quattro mesi (articolo 81 Costituzione).

La clausola di salvaguardia

Oltre alla necessità di ricorre all’esercizio provvisorio – che comunque limita l’azione del governo, vincolato a spendere esattamente un dodicesimo della spesa totale dell’anno precedente – senza legge di bilancio salterebbe la possibilità di evitare l’aumento dell’Iva, proprio perché è in questa sede che devono essere trovate le risorse.
In linea di principio, si potrebbe intervenire sulle finanze pubbliche, e quindi anche sulla clausola di salvaguardia, per decreto legge. Ma ovviamente l’intervento dovrebbe essere giustificato sulla base di “casi straordinari di necessità e di urgenza” (articolo 77 Costituzione). E, come ogni decreto legge, dovrebbe essere convertito in legge dal Parlamento entro 60 giorni. Senza una maggioranza parlamentare, quindi, la via del decreto sembra molto difficile da percorre. E qualora invece la maggioranza ci fosse, allora ci sarebbe anche un nuovo governo e dunque ci sarebbero gli spazi per l’approvazione della legge di bilancio.
Ma senza un governo, per il “problema clausola” il voto rimane l’unica possibilità. Dal punto di vista dei tempi, votare nel secondo semestre è molto rischioso: se si dovesse scegliere tra luglio e l’autunno appare dunque forse più indicata la prima alternativa. Al contrario, qualora un nuovo governo ricevesse la fiducia delle Camere, le cose sarebbero più semplici – anche se non scontate – indipendentemente dal fatto che l’esecutivo sia nato su iniziativa del Presidente della Repubblica o sulla base di accordi politici tra le forze in Parlamento (come in queste ore sembra possa accadere tra Lega e M5s).
La via per il congelamento o il disinnesco definitivo della clausola di salvaguardia rimane stretta: dal punto di vista procedurale, ma ancora di più dal punto di vista dell’accordo politico sulle coperture. Perché una cosa appare comunque certa: disattivare l’aumento dell’Iva richiede l’incremento di altre entrate oppure tagli di spesa. A chi toccherà, dunque, pagare?

Paolo Balduzzi/lavoce.info

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