Il Regno Unito reagisce stringendosi a Theresa May (“Non abbiamo paura”) e Londra, scrive Marco Bresolin, riprende il suo ritmo normale nel giro di mezza giornata. Solo a sera si trova in Trafalgar Square per una veglia. Il bilancio è di 5 morti, incluso Khalid. Alessandra Rizzo racconta le vittime del jihadista. mentre Francesca Paci, de La Stampa, ci accompagna nel quartiere in cui ha vissuto il 52enne britannico Khalid, autore dell’assalto di Westminister, che la propaganda di Isis – rivendicando l’attacco – ha definito “un soldato del Califfato”. Viveva a Birmingham, dove ora si concentrano le indagini: ieri, otto arresti.
Londra sfida il terrore con la normalità: no alla paura
Theresa May in Parlamento: non ci faremo intimorire
Il giorno dopo l’attacco terroristico con auto-ariete e coltello andato in scena proprio sotto il Big Ben (tre morti e una quarantina di feriti), Londra è «business as usual». Normale amministrazione, si va avanti come se nulla fosse. Un gruppetto di adolescenti si stacca dalla fila per il London Eye e si siede in cerchio attorno a un musicista di strada con il cappello bianco. Insieme cantano «Let It Be». Lascia che sia.
La seduta del Parlamento interrotta mercoledì pomeriggio riprende, come previsto. In Aula c’è anche Tobias Ellwood, il sottosegretario agli Esteri che nel cortile di Westminster aveva tentato inutilmente di rianimare l’agente Keith Palmer. Il conservatore James Cleverly si commuove ricordando il poliziotto che ha perso la vita mentre cercava di fermare il killer. Theresa May ha l’aria del capo di governo in perfetta sintonia con il Paese. «La miglior riposta al terrorismo è la normalità – dice alla Camera dei Comuni -. Non abbiamo paura e non ci facciamo intimorire». Lo slogan «We are not afraid» spunta ovunque. Scritto con i pennarelli sulle lavagne informative nelle fermate della metropolitana. Disegnato con gessetti colorati sul pavimento di Trafalgar Square. Condiviso come immagine sui social network.
Poco dopo l’una del pomeriggio se ne vanno le nuvole. Le cabine trasparenti del London Eye iniziano a girare e riflettono i primi raggi di sole. Il ponte di Westminster riapre. Arrivano i fotografi, qualcuno fa jogging, spuntano i bus rossi a due piani. Ai semafori i pedoni britannici si distinguono dai turisti stranieri perché continuano a passare col rosso, altro che timore delle auto-ariete. Gli altri restano fermi e girano la testa prima a sinistra e poi a destra, per cercare di capire da che lato arrivino le auto. Rimane off-limits solo la zona davanti all’ingresso del Parlamento. Unico segno di discontinuità insieme con le bandiere a mezz’asta e qualche poliziotto in più del solito agli incroci. Ma non c’è quel clima di pesantezza che si respira ancora oggi in una città come Bruxelles, dove l’immagine dei militari armati fino ai denti che passeggiano lentamente dà l’impressione che il pericolo sia sempre dietro l’angolo. No, qui l’atmosfera non è quella del post-attentato. Sembra quasi che ci sia stato «solo» un brutto incidente stradale. È il coraggio della normalità che prende il sopravvento. O forse solo la forza della rassegnazione.
Alla National Gallery c’è la fila per entrare a vedere la mostra di Michelangelo & Sebastiano, un capannello si forma davanti agli «Ambasciatori» di Hans Holbein il Giovane. C’è più stupore qui che sotto il Big Ben. Al St James’s Park le coppiette camminano mano nella mano e i bambini giocano con le anatre. Louis e Marie vengono da Rennes, in Francia. «La notte del Bataclan, anche per noi che non siamo parigini, è stato un vero choc. È vero che stiamo parlando di un attacco di un’altra entità, ma dopo Parigi e Bruxelles ormai c’è una sorta di assuefazione. Ci siamo quasi abituati». Un editoriale sul «Telegraph» lancia il dibattito agli altri giornali e all’intera società: «Mentre piangiamo i nostri morti e auguriamo una pronta guarigione ai feriti, dobbiamo negare ai terroristi la reazione sproporzionata che cercano».
Nel tardo pomeriggio Trafalgar Square inizia a riempirsi per la manifestazione convocata dal sindaco Sadiq Khan. Il London Eye fa gli ultimi giri, il musicista col cappello bianco è ancora lì. Gli studenti che lo circondano sono cambiati, la canzone è sempre la stessa. «And when the broken-hearted people / Living in the world agree / There will be an answer / Let it be».
vivicentro.it/cronaca
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lastampa/Londra sfida il terrore con la normalità: no alla paura MARCO BRESOLIN – INVIATO A LONDRA
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