Jihad a Londra: caccia ai Jihadisti di Birmingham vicini a Khalid

Francesca Paci, de La Stampa, ci accompagna nel quartiere in cui ha vissuto il 52enne...

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Francesca Paci, de La Stampa, ci accompagna nel quartiere in cui ha vissuto il 52enne britannico Khalid, autore dell’assalto di Westminister,  che la propaganda di Isis – rivendicando l’attacco – ha definito “un soldato del Califfato”. Viveva a Birmingham, dove ora si concentrano le indagini: ieri, otto arresti. Il Regno Unito reagisce stringendosi a Theresa May (“Non abbiamo paura”) e Londra, scrive Marco Bresolin, riprende il suo ritmo normale nel giro di mezza giornata. Solo a sera si trova in Trafalgar Square per una veglia. Il bilancio è di 5 morti, incluso Khalid. Alessandra Rizzo racconta le vittime del jihadista.

Caccia alla cellula di Birmingham. Raffica di arresti: “Pronti a colpire”

Identificato l’attentatore di Westminster: è un 52enne britannico di origini pachistane. Viveva nella capitale del jihad britannico ed era stato già stato segnalato agli 007

BIRMINGHAM – «Sì, quell’uomo ha noleggiato la Hyundai presso la nostra società» conferma il manager della Enterprise di Solihull, distretto automobilistico a Sud di Birmingham. L’uomo di cui parla è Khalid Masood, il 52enne britannico di nascita e pachistano di origini.

È stato lui che mercoledì, prima di essere ucciso dalla polizia, ha seminato il panico nel cuore della città. Non ci dice se sia venuto proprio qui, nell’anonimo quartiere in cui sono stati arrestati i suoi presunti contatti, o se invece abbia bussato a uno dei due uffici di downtown. Ma con un investimento minimo si è messo al volante della 4×4 puntando al massimo danno: «Un modello del genere costa circa 40 sterline al giorno».

L’attentatore di Westminster ha più di un legame con Birmingham, tristemente nota come la capitale dello jihadismo made in Uk, la città da un milione di abitanti e 250 mila musulmani che ha visto 39 condanne per terrorismo in pochi anni e la partenza di almeno un quinto dei foreign fighters britannici. Scotland Yard si limita a riferire che Masood viveva nel West Midlands, la regione di Birmingham, ma oltre che a Londra, nell’ambito della maxi retata in cui sono state arrestate 8 persone in sei diversi indirizzi con l’accusa di preparare un attentato, gli agenti sono venuti a bussare qui, Hagley road, trafficata arteria di Edgbaston, la zona mista non distante dal centro in cui abita la premio Nobel Malala, brulicano attività a luci rosse e piccole comunità di pachistani, bengalesi e iraniani si dividono pochi metri di marciapiede aprendovi ristoranti o supermarket dalla vita breve.

«Li ho visti l’altra notte, la polizia urlava e loro tenevano le braccia ammanettate sopra la testa, saranno stati cinque, dei tipi asiatici con la pelle un po’ più scura della mia che sono di Teheran, c’era anche una donna velata con loro» racconta Ravi Sidighi, titolare di Hagley, l’alimentari a fianco del portoncino presidiato dai bobbies. Le finestre al secondo piano hanno le tapparelle abbassate. «L’appartamento è stato vuoto per molto tempo, almeno fino tre o quattro mesi fa» dice un ragazzo che come ogni giorno, come decine di altri dallo sguardo vacuo pari al suo, bighellona in zona. Nessuno ci ha fatto caso: Hagley road è una specie di non-luogo in cui è facile passare inosservati, la maggior parte dei negozi è sfitta, la chiesa battista del Redentore raccoglie le anime perse per le strade con i cartelli «Alcol restricted area». L’epicentro della radicalizzazione è altrove, Balsall Heath, Sparkhill, Coventry road, dove in vent’anni sono spariti i pub e si sono moltiplicate le librerie halal che diffondono l’islam deobandi, quello nemico dell’integrazione. Quando nel 2014 Birmingham lanciò l’offensiva contro l’indottrinamento e piazzò 200 telecamere nei quartieri abitati dai musulmani Hagley road fu risparmiata, forse perché «periferica», marginale, come l’intelligence considerava Masood, noto al Mi5 sin dal 1983 per precedenti penali come aggressione e possesso di armi, ma mai accusato di terrorismo.

«Sono sempre loro, i fottuti nativi, la gente diffida di noi immigrati ma la minaccia viene da loro» borbotta il nigeriano Michael, arrivato sei anni fa. Non ricorda le facce dei suoi vicini, magari se li vedesse per strada sì, ma a fare un identikit no. Non sarebbe in grado neppure l’universitaria francese Mariam, residente da settembre al numero 161, spalla a spalla con gli arrestati: «Ci si saluta a malapena comprando la pizza». Il proprietario dell’appartamento ora sigillato e del sottostante ristorante «Shiraz, a taste of Persia», Hajj Makhawand, ripete di aver affittato alla cieca attraverso l’agenzia Initial Property che a sua volta ci congeda con un no comment. Col calar della sera però diverse persone si avvicinano ai giornalisti per rivelare (verità inverificabile) che forse sì, anche l’attentatore era della zona, che l’avevano visto, sempre vestito di nero.

Gli esperti s’interrogano da tempo sul fenomeno Birmingham, vittima della crisi della manifattura e del ’900 ma non più di altri luoghi analoghi come Manchester. Se l’intelligence britannica parla di 3000 «attenzionati» nel paese, il direttore dell’associazione locale «Radical Thinking» Khasam Amar conta tra i suoi concittadini almeno 400 giovani «a rischio».

«Il terreno è fertile all’estremismo per ragioni economiche, etniche e sociali che esplodono anche in virtù della forte tendenza alla autosegregazione, gran parte dell’Islam locale è arrivato decenni fa dal Pakistan e le sue forti connotazioni rurali non si sono mai adeguate al paesaggio urbano» nota Chris Allen, sociologo dell’università di Birmingham. Il 62% dei musulmani è concentrato in sette zone tra le più depresse del paese, il 41% vive di sussidi, la disoccupazione già a quota 15% raddoppia intorno alle circa 120 moschee cittadine, dove si parla soprattutto urdu.

Poi c’è Mamood, assoldato a posteriori dall’Isis con un comunicato online, ma fuori tempo massimo per un terrorista. Jahan Mahmoud, storico e ricercatore sociale con forti radici nella comunità musulmana ha passato le ultime ore a indagare silenzi e reticenze: «Nessuno pare saper molto di lui o del suo network. Alla sua età nessun programma di deradicalizzazione lo prenderebbe in considerazione, uno di 52 anni è ritenuto uno non a rischio, un periferico».

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