29 aprile 1955. Gronchi viene eletto Presidente della Repubblica Italiana

A larga maggioranza Giovanni Gronchi viene eletto Presidente della Repubblica. Tappe principali della sua carriera politica e intervista alla famiglia. VIDEO

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ACCADDE OGGI 29 Aprile: A larga maggioranza Giovanni Gronchi viene eletto Presidente della Repubblica. Tappe principali della sua carriera politica e intervista alla famiglia. VIDEO

Subito dopo l’elezione, Giovanni Gronchi parla alla nazione dai microfoni della Incom: il suo augurio è che gli italiani amino il proprio paese. Per esprimere questo desiderio, Gronchi utilizza una metafora a lui, in quanto ex-insegnante, cara: il nuovo presidente vorrebbe che il popolo italiano eseguisse il seguente tema: “amate l’Italia”.

Negli ambienti politici italiani e internazionali, l’elezione di Giovanni Gronchi, avvenuta il 29 aprile 1955, fu accolta come un evento sorprendente dai risvolti inquietanti.

Sottosegretario per cinque mesi nel primo governo Mussolini, nell’aprile del 1923 lasciò il governo con gli altri ministri popolari.

Avendo rinunciato al mestiere di insegnante per non servire il regime fascista, Gronchi si ritirò dalla vita di partito, dedicandosi ad attività imprenditoriali.

Questa lunga eclissi politica si concluse nel 1942, quando contribuì alla creazione della Democrazia cristiana.

Negli anni seguenti, fu successivamente membro del CLN , fondatore della CGIL , ministro dell’Industria, del Commercio e del Lavoro , deputato alla Costituente e, infine, presidente della Camera.

Principale rivale di De Gasperi in seno al partito cattolico, ne criticò la politica liberista auspicando una svolta in senso keynesiano.

Al congresso di Napoli , difese la prospettiva dell’apertura a sinistra, da raggiungersi con un’alleanza con i socialisti.

In un contesto in cui PCI e PSI erano ancora legati da un patto d’azione, si trattava di una «proposta eretica», avversata dal Vaticano, dagli Stati Uniti e dai settori moderati della classe politica italiana.

Infine, con l’elezione di Fanfani a segretario della DC, Gronchi veniva escluso, con altri notabili democristiani dalla nuova direzione democristiana.

Nei giorni dell’elezione presidenziale del 1955, Fanfani sperava che i voti della coalizione governativa potessero convergere facilmente sul candidato ufficiale della DC, il presidente del Senato Cesare Merzagora.

In realtà, si trattava di una candidatura debole, avversata all’interno dello stesso partito cattolico, mentre Gronchi tesseva pazientemente la sua tela, moltiplicando i contatti sia con la sinistra socialcomunista che con alcuni esponenti monarchici e missini.

Al 1° turno dell’elezione, Merzagora raccolse circa cento voti in meno del previsto.

Il nome di Gronchi cominciò ad emergere al 2° scrutinio e al 3° balzò in testa.

Einaudi, che sperava in una rielezione e che poteva essere una carta di riserva, ottenne i voti dei liberali e dei socialdemocratici.

Fu chiaro fin dall’inizio che la maggioranza quasi plebiscitaria ottenuta da Gronchi non corrispondeva ad un sostegno effettivo del partito di maggioranza.

Un diffuso allarmismo si manifestò anche Oltreoceano, dove il nuovo presidente viene erroneamente considerato come un pericoloso filocomunista.

Il presidente si distinse anche per alcune innovazioni nella prassi, come la convocazione al Quirinale di riunioni di prefetti o di ambasciatori – oggi del tutto banali – ma che all’epoca suscitarono commenti negativi.

Con queste riunioni, Gronchi intendeva metter fine alle discriminazioni anticomuniste adottate dalla «circolare Scelba» ed incoraggiare un nuovo corso in politica estera.

Come vedremo in seguito, questa linea diplomatica entrò subito in conflitto con quella del governo, causando non pochi attriti con Segni, fino alle dimissioni di quest’ultimo, il 6 maggio 1957.

Chiamato a realizzare l’apertura a sinistra, Zoli ottenne la maggioranza al Senato con i voti… dei monarchici e dei neofascisti del MSI, e decise immediatamente di rassegnare le dimissioni.

Dopo un mandato esplorativo conferito a Merzagora e una nuova rinuncia di Fanfani, su consiglio di questi Gronchi decise di rinviare alle camere il governo dimissionario di Zoli, che ottenne la fiducia.

I dodici mesi dell’esecutivo Zoli corrisposero certamente al periodo di maggior attivismo del capo dello Stato, in particolare nel campo della politica estera.

In effetti, il presidente del Consiglio si occupò soprattutto del disbrigo degli affari correnti, in vista delle elezioni legislative del 1958.

Come Einaudi, anche Gronchi procedette ad uno scioglimento anticipato del Senato – il cui mandato correva fino al 1959 – per far coincidere il rinnovamento delle due assemblee.

In quell’occasione, Gronchi procedette ad una modifica della prassi secondo cui l’incarico veniva conferito prima con un comunicato, quindi, al momento della nascita del governo, con un decreto opportunamente retrodatato.

Se Gronchi e Fanfani avevano idee simili nel campo della politica estera ed interna, i rapporti personali furono tutt’altro che facili.

Fanfani fece risalire a questo momento la sua rottura con Gronchi.

Furono tuttavia le rivalità in seno alla DC a provocarne le dimissioni sia da capo di governo che dalla segreteria del partito .

Si aprì così la crisi più pericolosa della storia della Repubblica. In seguito alle dimissioni prima di Pastore, Sullo e Bo, poi di altri ministri, il presidente del Consiglio riconsegnò il mandato nelle mani di Gronchi.

Questi incaricò Fanfani, ma quando il tentativo sembrava andare a buon fine, la destra democristiana annunciò il proprio veto.

In assenza di alternative , il presidente della Repubblica decise di rinviare il governo in Senato, come aveva già fatto in precedenza con Zoli.

Ottenuta la fiducia, il governo ebbe vita breve a causa dei moti di Genova, dove avrebbe dovuto svolgersi il congresso del MSI.

In realtà l’autorizzazione era stata concessa ai missini non da Tambroni, ma dal governo Segni.

Nel clima incandescente del luglio 1960, la presenza dei missini nella maggioranza di governo fece precipitare la situazione.

A questo punto le dimissioni di Tambroni, seppur ritardate, furono inevitabili e l’episodio segnò profondamente il settennato di Gronchi nella memoria collettiva.

Se la strada verso l’apertura a sinistra era ormai aperta, Fanfani non concesse a Gronchi la soddisfazione di aprire la crisi prima dell’inizio del «semestre bianco».

I viaggi all’estero

La politica estera fu sicuramente il principale terreno d’azione di Gronchi.

Senza essere ostile al Patto atlantico, di cui auspicava un riorientamento verso una maggiore cooperazione economica, lo statista di Pontedera privilegiava una linea che affermasse l’autonomia dell’Italia nel bacino mediterraneo, linea condivisa dal presidente dell’ENI, Enrico Mattei.

In questo contesto si inserì la famosa vicenda della lettera di Gronchi ad Eisenhower, che Segni e Martino fecero bloccare.

Le proposte avanzate da Gronchi – l’adozione di un piano di aiuti ai paesi del Medio Oriente in funzione anticomunista – non erano né rivoluzionarie né eterodosse, ma il governo intese in questo modo porre un freno all’interventismo presidenziale.

La visita negli Stati Uniti , cominciata sotto pessimi aspici, si concluse con un trionfo, grazie alla simpatia che Gronchi seppe conquistarsi con i suoi discorsi al Congresso e in altre sedi.

Prima della visita, si pose per la prima volta la questione della supplenza presidenziale.

Non volendo cedere neppur provvisoriamente i suoi poteri al presidente del Senato Merzagora, suo vecchio rivale, Gronchi nominò una commissione ad hoc che consegnò le proprie conclusioni molti mesi dopo.

A Bonn, Gronchi e Adenauer parlarono di un «motore italo-tedesco» per accelerare l’integrazione europea.

Nel settembre del 1957, il presidente della Repubblica si recò in Iran contemporaneamente a Enrico Mattei, il quale vi firmò il celebre accordo ENI/NIOC che segnò l’inizio di una nuova fase nei rapporti con i Paesi produttori di petrolio.

A questa visita fecero seguito il viaggio in Turchia e numerosi contatti con rappresentanti dei paesi non allineati dell’Africa e dell’Asia.

Il viaggio in Brasile fu il primo di un capo di Stato italiano in America latina, dove fu accolto con entusiasmo dagli emigrati italiani. Il 10 settembre, firmò con il presidente Kubitscheck la dichiarazione di San Paolo, con cui l’Italia intendeva lanciare un ponte tra l’Europa e i paesi sudamericani.

Fino a questo momento, le visite all’estero avevano conferito un notevole prestigio internazionale a Gronchi e all’Italia.

A Mosca, Gronchi trovò in Krusciov il più imprevedibile degli interlocutori.

L’incidente, prontamente enfatizzato dalla stampa italiana, diede al viaggio il significato di un fallimento diplomatico, mentre gli alleati atlantici sottolineavano la fermezza dimostrata da Gronchi di fronte al segretario del PCUS.

In occasione di questa visita, vennero stampati alcuni francobolli commemorativi, tra cui il famoso «Gronchi rosa», che presentava un errore di frontiera tra il Perù e l’Ecuador.

Aspetti istituzionali della presidenza Gronchi

Già nel discorso di insediamento, il nuovo presidente aveva sottolineato la necessità di procedere ad un «disgelo costituzionale», attuando le istituzioni previste dalla costituzione, come la Corte costituzionale, il Consiglio superiore della magistratura e il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro.

Gronchi partecipò in prima persona ai negoziati per sbloccare la situazione che impediva da anni l’entrata in vigore della Corte.

Quest’ultimo, eletto dai suoi pari il 23 gennaio 1956, fu il primo presidente della Corte.

Fu necessario attendere le leggi del 5 gennaio 1957 e del 24 marzo 1958 perché anche il CNEL e il CSM fossero ufficialmente istituiti, in seguito a ripetuti interventi di Gronchi presso il presidente del Consiglio e i presidenti delle due Camere.

Per quanto riguarda la nomina dei membri del CNEL, egli adottò la prassi istituita da Einaudi per i giudici costituzionali, ritenendo che la scelta dei membri di nomina presidenziale spettava in modo esclusivo al capo dello Stato.

Prassi del resto seguita anche per l’unica nomina di senatore a vita, quella del’ex-presidente del Senato Paratore.

Quirinale, chi sono stati i presidenti della Repubblica

Il presidente della Repubblica viene eletto dal Parlamento in seduta comune e resta in carica 7 anni.

Il primo a ricoprire questo incarico è stato Enrico De Nicola nel 1948.

Nel suo caso non si è trattato di un settennato: è stato prima Capo provvisorio dello Stato dal 28 giugno 1946 al 31 dicembre 1947 (una carica che è stata creata ad hoc, per poi essere abolita), poi presidente della Repubblica dal 1° gennaio 1948 al 12 maggio 1948.

Il suo successore è stato Luigi Einaudi, esponente del Partito liberale italiano (come De Nicola), all’età di 74 anni: restò in carica per l’intera durata del suo mandato, così come Giovanni Gronchi, esponente della Dc, capo dello Stato dal 1955 al 1962.

Dopodiché è stato il turno di Antonio Segni che, eletto nel 1962 quando aveva 71 anni, è stato costretto a lasciare il Quirinale nel 1964, per una grave malattia (è morto nel 1972).

Al suo posto, Giuseppe Saragat, del Partito socialdemocratico italiano, dal 1964 al 1971.

Anche Giovanni Leone, la cui elezione fu forse la più risicata, rimise il mandato con qualche mese di anticipo rispetto alla fine naturale, per motivi politici: eletto nel 1971 chiuse nel 1978, nei anno in cui venne ritrovato il corpo di Aldo Moro, ucciso dalle Brigate rosse.

Quindi, la presidenza di Sandro Pertini (socialista), forse quella ricordata come la più popolare in assoluto, nonostante i tempi bui dal 1978 al 1985 (stragi terroristiche e mafiose, tensioni sindacali e crisi economica).

E ancora il controverso settennato di Francesco Cossiga (Dc), dal 1985 al 1992, lasciando all’alba di Tangentopoli.

Oscar Luigi Scalfaro (anche lui Dc) è stato il primo presidente a interessarsi in modo molto attivo alle vicende politiche del Parlamento, dal 1992 al 1999.

Gli è succeduto Carlo Azeglio Ciampi (indipendente), dal 1999 al 2006, gli anni dell’Euro.

Quindi Giorgio Napolitano (Democratici di sinistra), dal 2006 al 2013 e poi dal 2013 al 2015.

Poi fu il turno di Sergio Mattarella (indipendente), che chiude il settennato, dal 2015 al 2022, in piena pandemia.

Infine ancora Sergio Mattarella (indipendente), che viene pregato da tutti, a gran voce, di rinnovare il suo mandato per il settennato 2022-2029 anche se prima aveva dichiarato fermamente di non volerne fare un altro tanto che aveva già preparato il trasloco.

Presidenti della Repubblica, l’elenco

Ricapitolando, ecco l’elenco dei presidenti della Repubblica dal 1946 ad oggi:

  • Enrico De Nicola (1° gennaio 1948 – 12 maggio 1948);
  • Luigi Einaudi (1948-1955);
  • Giovanni Gronchi (1955-1962);
  • Antonio Segni: (1962-1964);
  • Giuseppe Saragat (1964-1971);
  • Giovanni Leone (1971-1978);
  • Sandro Pertini (1978-1985);
  • Francesco Cossiga (1985-1992);
  • Oscar Luigi Scalfaro (1992-1999);
  • Carlo Azeglio Ciampi (1999-2006);
  • Giorgio Napolitano (2006-2013):
  • Giorgio Napolitano bis (2013-2015);
  • Sergio Mattarella (2015-2022);
  • Sergio Mattarella (2022-2029).

Dove vive il presidente della Repubblica

Il Presidente della Repubblica vive in vicolo della Rosa all’Alloro 1, a Roma, sede del Palazzo del Quirinale, che è la residenza ufficiale del capo dello Stato. Anche se in passato ci sono state alcune eccezioni, come quelle di Giovanni Gronchi e Sandro Pertini.

Quanto guadagna il Presidente della Repubblica e quanto costa il Quirinale

Il Presidente della Repubblica è un organo costituzionale eletto dal Parlamento in seduta comune integrato dai delegati delle Regioni: 3 consiglieri per regione, con l’eccezione della Valle d’Aosta, che ne nomina 1 solo, per un totale di 58. Rimane in carica per un periodo di 7 anni.

Partiamo dal Quanto costa il Quirinale

Come riporta Truenumbers, che ne ha analizzato i bilanci, il Quirinale costa ogni anno 224 milioni di euro. Il costo totale delle attività del Quirinale per il 52,3% è composto dalle retribuzioni del personale, 713 persone, in servizio al Colle.

Quanto guadagna il Presidente della Repubblica

Rispetto al totale di 224 milioni di euro, lo stipendio del Presidente della Repubblica rappresenta lo 0,11%, ovvero 240mila euro di stipendio annuo lordo. 13 mensilità da 18.400 euro lordi al mese, cui va sottratta l’Irpef.

Come fa notare ancora Truenumbers, la più alta carica dello Stato non percepisce però la quattordicesima.

Il tetto: quanto può guadagnare al massimo

Qualcuno starà pensando che però, oltre alla dotazione economica del Presidente a carico del bilancio dello Stato, ci sono poi altre fonti di reddito come pensioni, vitalizi e stipendi erogati da terze parti.

A quanto può arrivare quindi lo stipendio del Capo dello Stato?

A sorpresa, sempre e solo a 240mila euro.

La retribuzione complessiva del Presidente della Repubblica non può mai superare questo tetto annuale.

E questo proprio per volontà di Sergio Mattarella. Tra i primi atti ufficiali dell’attuale Presidente, infatti, c’è stato proprio il divieto di cumulo tra stipendi, vitalizi e pensioni.

Da qui la decisione di Mattarella di rinunciare alla sua pensione di professore universitario.

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Redazione

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