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Tra buste, copie e corrieri, le preferenze all’estero hanno sempre destato sospetti. Beppe Grillo alza i toni e insulta Renzi.

Buste, copie e corrieri: quelle preferenze sempre sospette

A dieci anni dall’introduzione della circoscrizione estero le falle nella procedura non sono mai state affrontate

ROMA – E così, al decimo anno si scopre che il voto degli italiani all’estero non è esattamente un modello di trasparenza. Era il 2006, infatti, quando per la prima volta votarono per il Parlamento anche i connazionali residenti fuori d’Italia sulla base della famosa legge Tremaglia che aveva concesso il voto anche a chi non risiede in patria, né vi paga le tasse, magari non ha mai messo piede nella terra degli avi, ma siccome è iscritto all’Aire (Anagrafe degli italiani residenti all’estero) partecipa alla formazione delle leggi.

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a allora ci sono circa 4 milioni di italians che votano per posta sia alle Politiche, sia ai referendum, con qualche problema tecnico sempre in agguato. Le criticità sono note: le schede elettorali vengono fatte preparare da stamperie locali e capita (come è capitato a Buenos Aires nel 2008) che il tipografo possa stampare 120mila schede più del necessario. Che fine fanno le schede in eccesso? Boh. A recapitare le schede, poi, ci pensano i corrieri privati. E una volta che si è votato nel segreto della cucina di casa (ma in tanti casi ci si arrangia al patronato) la scheda viene imbustata, imbucata, e tramite posta ordinaria spedita al consolato più vicino. Nel caso del prossimo referendum costituzionale, saranno considerate valide soltanto le buste arrivate agli uffici consolari entro le ore 16, ora locale, di giovedì 1° dicembre. Le buste che arriveranno fuori tempo massimo saranno bruciate.

È questa inedita procedura a tappe che ha spesso dato adito a errori, sviste, fors’anche brogli. Si racconta che a un’elezione del 2008 arrivarono a Roma trentamila schede dalla Svizzera che erano di colore diverso da quello regolamentare, portavano tutte il voto per l’Udc e sembravano vergate dalla stessa mano. Furono annullate in blocco.

Non meraviglia, dunque, che l’ambasciatrice Cristina Ravaglia, direttore generale per Italiani all’estero e Politiche migratorie – come da scoop del Fatto Quotidiano – nel 2013 abbia scritto al Quirinale e al governo, denunciando che il sistema è «totalmente inadeguato, se non contrario ai fondamentali principi costituzionali che sanciscono che il voto sia personale, segreto e libero».

Appare abbastanza secondaria, insomma, la polemica su Matteo Renzi che ottiene gli indirizzari e fa recapitare una lettera personale ai 4 milioni di elettori residenti all’estero. Il Comitato per il No ne ha fatto una questione capitale, ma c’è da ricordare che nel 2008 fecero lo stesso sia Silvio Berlusconi, sia Walter Veltroni. L’uno invitava a votare contro la sinistra che «ha impoverito il Paese con una valanga di tasse»; l’altro chiedeva il suffragio «per una Italia nuova, più moderna, serena, veloce e giusta». Nel 2013 fu Pier Luigi Bersani, candidato premier, a scrivere la sua lettera agli italiani all’estero. Tutti ci provano, insomma, a solleticare quegli elettori che la lontananza rende distaccati. All’ultimo referendum, per dire, quello sulle trivelle dell’aprile 2016, a fronte di una media di votanti del 31%, votò soltanto il 19,82% dei residenti all’estero.

Il punto è che c’è un bacino di milioni di italians orgogliosi di questo nuovo diritto (erano 2 milioni 432 mila elettori nel 2006; 2 milioni 627mila nel 2008; 3 milioni 149mila nel 2013; 4 milioni 23 mila quest’anno), spesso ignorato, ma non quando c’è da votare. Rappresentano ormai l’8% del corpo elettorale, non bruscolini. Fa scuola il caso di Romano Prodi, che alle elezioni del 2006 – Berlusconi era il premier uscente – poté avere la maggioranza soltanto grazie a loro, i connazionali residenti fuori d’Italia. Alle 3 di notte, infatti, a schede nazionali scrutinate, si contrapponevano una maggioranza di centrosinistra alla Camera e una maggioranza di centrodestra al Senato, profilandosi l’ingovernabilità assoluta.

In quel 2006, il colpo di scena venne dal girone dantesco di Castelnuovo di Porto, il megacentro della Protezione civile dove si accalcano circa diecimila scrutatori per esaminare le schede dell’estero (che quella volta furono un milione). Gli eletti all’estero erano quasi tutti di centrosinistra e la situazione del Senato si ribaltò. Berlusconi poi fece di tutto per agganciare, ammaliare, corrompere quei senatori eletti all’estero, ma questa è tutta un’altra storia.

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