Renzi, Merkel, Hollande nel vertice a bordo della portaelicotteri Garibaldi, al largo dell’isola di Ventotene, concordano il rilancio dell’Unione dopo il referendum sull’uscita della Gran Bretagna. La Cancelliera tedesca apre sui migranti: “E’ una questione non solo nazionale ma europea”. Spiragli anche sulla flessibilità. Ora l’obiettivo dei tre leader, scrive Marco Zatterin, è costruire un’agenda comune guardando al Consiglio Ue di Bratislava, il primo che si svolgerà senza i britannici.
La strategia di Renzi, Merkel e Hollande: ricostruire il consenso nell’Ue MARCO ZATTERIN
Renzi, Merkel, Hollande – Azioni comuni sul dossier migranti, aperture sull’economia: la marcia di avvicinamento verso la sfida di Bratislava
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erché senza non si va da nessuna parte. L’universo in cui il breve summit svoltosi nelle acque dell’isola pontina prova a catapultare l’Europa è quello della ripartenza necessaria, certo non semplice, ma ancora possibile. Renzi è ben imbeccato quando pesca dal manifesto di Spinelli e Rossi una frase cruciale. Dice che «oggi è il momento in cui bisogna saper gettare via i vecchi fardelli divenuti ingombranti». Sembra pensata ieri, invece è vecchia di settanta e passa anni, scritta in un mondo diversamente pericoloso. È questo il compito che tocca all’Europa: «Tenersi pronti al nuovo che sopraggiunge così diverso da tutto quello che si era immaginato».
C’è l’ambizione dello scatto. Hollande, Merkel e Renzi davanti alla tomba di Spinelli, padre del federalismo europeo, regalano un’immagine inedita e toccante. Chi segue la scena dai palazzi di Bruxelles si compiace per il messaggio che deriva dalla visita al cimitero di Ventotene, non però senza interrogarsi se sia fede vera o l’ultima spiaggia di tre condottieri che, cercando una via di uscita per i problemi interni, si offrono sponda reciproca stringendosi nell’afflato europeista per salvarsi la pelle politica. Nessuno fra gli oratori della Garibaldi è certo essere in sella nel 2018. «Se salvano l’Europa per salvare se stessi va comunque bene», sorride un diplomatico. Non è un caso che la sintonia sia palese sulla Difesa, i giovani, gli investimenti e il piano Juncker da rassodare. Sono le direttive sulle quali si può avanzare davvero. Sui migranti e il Compact che punta a frenare i flussi alle origini. Renzi ascolta la Merkel e fiuta aria nuova. La tedesca gli confessa di voler superare l’approccio che sinora è stato soprattutto nazionale in cambio di ricette collettive. «È il superamento di Dublino», esulta il premier. Vuol dire condivisione di accoglienza e ripartizione dei rifugiati fra tutti. Ottimo, per l’Italia che lo chiede da tempo.
Eppure, per unire auspicio e decisione, manca il consenso di altre venticinque capitali. Frau Merkel è pragmatica e attenta agli equilibri. Apre sulla flessibilità, loda le riforme di Roma, ma si ferma prima del punto in cui potrebbe scatenare l’ira degli oppositori che non gradirebbero un’eccessiva clemenza verso il terzo debito planetario. È la sola a citare le responsabilità che toccano la Commissione Ue quanto viene alla flessibilità – riportando la voglia di Europa dalla sfera governativa alla più opportuna dimensione comunitaria; è l’unica a parlare degli «altri». Se si vuole essere «europei», creare soluzioni e non problemi, si deve per forza pensare agli «altri», ai Paesi piccoli e ai leader turbolenti della nuova Europa che soffrono ogni forma di direttorio. Gli «altri» servono a fare i «tutti». Il passaggio dal sogno alla realtà impone di tirare a bordo anche loro prima del vertice a Ventisette di Bratislava, il 16 settembre. Sarà l’esordio del dopo Brexit, un summit in cui l’unità sarà indispensabile sebbene non sufficiente alla luce degli immensi interrogativi sul tavolo e delle divisioni che possono derivarne.
Berlino vuole ritardare al massimo l’avvio del negoziato per il divorzio britannico così da non disturbare la vigila elettorale; i francesi pensano l’esatto contrario. La spunteranno i tedeschi al solito, cosa che accadrà anche sulla velocità di approfondimento del processo di integrazione, che sarà lenta per non fare infuriare le genti dell’Est. La via d’uscita passa allora per la Sicurezza, un Compact che freni i migranti alla partenza africana, la maggiore energia del piano investimenti, una più felice integrazione fra i giovani. Comunque sia bisogna fare in fretta. Una fumata appena grigia in Slovacchia, se letta nella dimensione d’un 2017 dalle pesanti elezioni, sarebbe letale o quasi. Per l’Europa e i suoi leader. Primi fra tutti i tre di Ventotene e della Garibaldi.
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