Valeria Lembo
V
aleria Lembo morì al Policlinico di Palermo per una dose letale del farmaco per la chemioterapia. Durissime le motivazioni con cui sono stati condannati l’oncologa, il primario e uno specializzando. Gli imputati avrebbero solo pensato “a negare qualsiasi assunzione di responsabilità, incolpandosi a vicenda”
PALERMO – È stato “un assassinio” in piena regola, “la più grave colpa medica mai commessa al mondo” e dopo la quale gli imputati hanno solo pensato “a negare qualsiasi assunzione di responsabilità, incolpandosi a vicenda” della morte di Valeria Lembo, uccisa a 33 anni da una dose killer di chemioterapico iniettatole nel reparto di Oncologia del Policlinico di Palermo. Il giudice Claudia Rosini ha utilizzato parole dure nelle 277 pagine di motivazione della sentenza nei confronti dei medici e delle infermiere riconosciuti come responsabili della morte della paziente. La donna era all’ultima seduta per un linfoma, quello di Hodgkin, che nell’80 per cento dei casi viene curato con successo. “L’utilizzo del termine assassinio non è casuale – scrive la giudice – perché di questo si è trattato, avendo gli imputati cooperato a cagionare la morte di una paziente per avvelenamento somministrandole una dose di vinblastina dieci volte superiore a quello dovuto”.
Valeria Lembo era da poco diventata mamma, il suo bambino, quando morì il 29 dicembre del 2011 dopo un’agonia atroce durata 22 giorni, aveva compiuto sette mesi.
Nelle sue vene vennero iniettati “a forza”, 90 milligrammi anziché 9 di Vinblastina per uno zero in più trascritto per errore in cartella e nonostante i numerosi “campanelli d’allarme”. Una dose, ha sottolineato il magistrato, compatibile con “un pachiderma di 600 chili” e non con una donna che pesava 52 chili. Proprio la Lembo chiese il perché di quella dose così eccessiva preparata in una flebo e non in una siringa come era avvenuto nelle sedute precedenti. “È lo stesso”, le rispose l’infermiera Elena Demma. Su questa e altre frasi si è soffermata la giudice stigmatizzando il comportamento degli imputati. “Hanno allungato con decine e decine di testimoni i tempi del dibattimento – ha scritto nelle motivazioni – in attesa di una auspicata prescrizione del reato”. Valeria Lembo aveva ben capito che stava andando incontro alla morte già l’11 dicembre, quando ancora quell’errore veniva taciuto dai medici. “Zia, sicuramente mi hanno sbagliato la chemio, me ne sono accorta”, disse la donna in lacrime. Valeria tentò anche di interromperla quella seduta mortale sottolineando il bruciore al braccio per la somministrazione e la dottoressa Di Noto “si limitò solo a rallentare la somministrazione senza porsi alcuna domanda”.
La giudice ha condannato a 7 anni la oncologa Laura Di Noto, ritenuta la principale responsabile della morte della donna. Fu lei a richiedere in farmacia la dose killer. La giudice l’ha definita “una copiatrice di dati, scelta dal primario Sergio Palmeri (condannato a 4 anni e 6 mesi, ndr) perché sempre presente. Una dottoressa che aspettava indicazioni del sovradosaggio da un’infermiera”. Anche lo specializzando Alberto Bongiovanni “scriveva sotto dettatura e non aveva idea di cosa fosse la vinblastina”. Sergio Palmeri, circondato da “fidati vassalli”, si preoccupò solo delle conseguenze sulla sua carriera trentennale. Quando rivelò la verità al padre della vittima disse: “Una dose in più. Mi darei pugni in testa”.
Nel processo durato un paio d’anni si sono susseguite menzogne su menzogne. Bongiovanni ha persino “strumentalizzato la vittima riferendo parole in sua difesa da parte della Lembo, sapendo di non poter essere smentito”. E poi, consulenti di parte che hanno agito come “meri assistenti”, “paurose voragini” nella organizzazione del Policlinico, la professione medica “affidata al caso”, una “criminale omissione di atti”. “Solo un ricambio completo del sangue, subito, avrebbe potuto dare una speranza alla paziente”, scrive la Corsini. Invece, per ben cinque giorni quell’errore venne mascherato come una gastrite post chemio, lo zero in più venne cancellato da Bongiovanni. Le infermiere, Guarnaccia e Demma, si preoccuparono solo della “irritazione di Palmeri”. “Solo lo studente Gioacchino Mancuso (unico assolto, ndr) ha riferito in dibattimento in lacrime – scrive la giudice – la verità sconvolgente e ha rinunciato alla specializzazione in oncologia”. Una fotografia “sconfortante” di un reparto allo sbando dove “la vita della famiglia Lembo è stata sconvolta per sempre”.
vivicentro.it-cronaca-isole / larepubblica / Donna uccisa dalla chemioterapia a Palermo, il giudice: assassinio in piena regola, di ROMINA MARCECA
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