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Unità, due stati indipendenti o un’Italia federalista, qual è la scelta migliore?

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l grande pensatore e intellettuale Gaetano Salvemini, che in pubblico non mancava mai di esprimere il suo favore e tutto il suo appoggio all’Italia Unita, in realtà in privato maturava in lui un pensiero del tutto opposto, da quanto testimonia una lettera scritta da questo grande uomo di cultura e inviata il 16 marzo 1911 ad Alessandro Schiavi:

“Ogni giorno che passa diventa sempre più vivo in me il dubbio, se non sia il caso di solennizzare il cinquantennio [dell’Unità] lanciando nel Mezzogiorno la formula della separazione politica. A che scopo continuare con questa unità in cui siamo destinati a funzionare da colonia d’America per le industrie del Nord, e a fornire collegi elettorali ai Chiaroviglio del Nord […] Perché non facciamo due Stati distinti? Una buona barriera doganale al Tronto e al Garigliano. Voi vi consumate le vostre cotonate sul luogo. Noi vendiamo i nostri prodotti agricoli agli Inglesi, e comperiamo i loro prodotti industriali a metà prezzo. In cinquant’anni, abbandonati a noi, diventiamo un altro popolo. E se non siamo capaci di governarci da noi, ci daremo in colonia agli Inglesi i quali, è sperabile ci amministrino almeno come amministrano l’Egitto, e certo ci tratteranno meglio che non ci abbiano trattato nei cinquant’anni passati i partiti conservatori, che non si dispongano a trattarci nei prossimi cinquant’anni i cosiddetti democratici”. 

L’Unità d’Italia è la risultante di una serie di eventi complessi e contraddittori che spesso si sono concretizzati non rispettando l’impianto di idee che li aveva pensati e generati. Che il conto più salato per l’Unità d’Italia sia stato pagato dal Mezzogiorno è evidente.

La fine del protezionismo borbonico a favore della politica economica liberale di Cavour ha affossato il vivace apparato manifatturiero duosiciliano, relegando le regioni meridionali ad essere soltanto un polo di produzione agricola e soprattutto il principale sbocco di mercato per le merci e i prodotti delle industrie del nord.

La volontà di voler “piemontesizzare” a tutti i costi le altre realtà preunitarie della penisola non ha portato ai risultati sperati. Queste difficoltà erano note anche a Cavour e a chi, da dietro le quinte, ha curato la regia del processo unitario.

 Era volontà condivisa da molti quella di voler dar vita ad un’Italia federale con tutto il settentrione sotto il controllo dei Savoia, il centro Italia sotto la guida del Papa e il Mezzogiorno in mano ai Borbone delle Due Sicilie. L’imprevisto esito degli eventi bellici italiani, il mutamento e le pressioni provenienti dallo scenario internazionale hanno spianato la strada ad un cambiamento sostanziale, offrendo al Piemonte la possibilità d’imporsi senza condividere il potere con nessuno.
Più di un secolo e mezzo dopo gli eventi che hanno contraddistinto il Risorgimento la situazione tiene ancora banco. Circolano molte teorie bizzarre e spesso si abusa di un principio identitario, storico e culturale per promuovere proselitismi beceri e squallidi tornaconti, quando invece dovrebbe essere alimentato in modo genuino e disinteressato.

Tuttavia per quanto molti, ancora, e soprattutto, oggi condividano le riflessioni del Salvemini, non ci sono i presupposti economici per dar vita ad un Mezzogiorno forte politicamente e finanziariamente. Lo stesso discorso vale per un Nord senza Sud.

Più percorribile ed auspicabile sembrerebbe, invece, la strada verso quel federalismo che, già prima degli eventi del 1860-61, parve essere la possibilità migliore per far convivere al meglio i popoli della penisola italiana dalla cultura, mentalità e stili di vita diametralmente opposti.


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