Umberto Chiusi (a destra) Andrea Barretta (al centro) e l’attore Sergio Isonni (a sinsitra)
Andrea Barretta delinea nell’introduzione alla raccolta di poesie di Umberto Chiusi effemeridi per un possibile presente e punta l’attenzione sulla contemporaneità inquieta, su sensazioni che propongono spunti lungo il percorso della quotidianità come ritorno al buon senso nel trovare riferimenti che accomunano. Perché Umberto Chiusi fa emergere la dinamica di un processo identitario, e apre lo sguardo nel cogliere l’essenza di una scelta che può ribaltare le aspettative di quello che si rimembra, tentativo di effemeridi che tendono a purificare e a risolvere interrogativi da ricomporre.
di Andrea Barretta
Diversi percorsi hanno portato Umberto Chiusi alla quarta raccolta di poesie. Percorsi capaci di evocare situazioni e memorie differenti, quasi a percorrere distanze per raggiungere mete esistenziali che, infatti, costituiscono il sunto e il nesso di queste pagine, vere e proprie strade nel cercare di giungere alla radice di un dialogo dentro un tempo che accade, nel ricordo di nostalgie a liberare parole prigioniere che continuano a lottare – struggenti – nei riverberi dell’età che abbisogna di parole come in un diario.
Ecco, allora, che il poeta si muove attraverso il desiderio di conoscere un “fine” ultimo e si fa pellegrino tra versi che diventano luoghi della riflessione senza il bisogno di una collocazione perché patria di tutti coloro che amano la poesia, non per riempire un vuoto ma per accumulare sensazioni e accantonare emozioni istintive. Un luogo non luogo tra luoghi sorprendenti a evocare atmosfere di valori celati al loro interno, non certo perché s’intenda stupire con afflati lirici dalla dimensione di un tempo trascorso, ma per coinvolgere in un fatto di cuore, per un rinvio culturale in ogni suo aspetto, nel senso che è prevedibile anche quello di saper cogliere e trasmettere quanto la vita ha da offrire. Questo ha permesso a Chiusi di stendere un cielo per nuovi orizzonti e di andare oltre nell’accedere a quell’universo di ragioni per cui si decide di raccontare anni che sfumano, non per resoconto di eventi, ma in una ermeneutica degli stessi in un viaggio a ritroso, e dare un motivo in più quando rivela com’è veramente senza evadere, come molti, raccontando di sé.
“Oggi, il mio quotidiano, porta ad essere parola. Sono nel tempo che percepisce la voce del silenzio per viverlo e per avere speranza, guardandomi dentro e … ascoltare. La parola – confida l’autore – viaggia dentro di me e sopravvive alla realtà che tutto sgretola, con l’energia che dona umanità e rispetto come la meraviglia dell’incanto che solo un bambino sa vivere”. Allora ci si sorprende ancora una volta, dopo la sua prima raccolta dal titolo “Sussurri al cuore” del 2008, “Petali di pietra” dell’anno dopo e “Come non altri” del 2011, nel trovare “parole” che ci appartengono ma che sembrano provenire da lontano, perché non si tratta solo di rivelare se stessi ma di far entrare il lettore in un laboratorio esperienziale che sperimenti gli effetti e le potenzialità della poesia in uno spazio che nasce e si esaurisce nella dimensione di pochi versi.
Ci sono immagini come “un gallo senza aia / il mattino / … una rana senza stagno la notte”, che aiutano a scavare nei reconditi recessi dell’anima, riportando alla luce il desiderio di vivere pur in una sorta di rendiconto personale in “parole di sera” a intendere un mattino e un pomeriggio della vita andati. Il cammino è quello di un’autentica riscoperta trascendente come lido privilegiato della verità, proponendo significati che diventano una cosa sola, il desiderio dei valori non estranei a una indispensabile ricerca interiore. E’ una poesia dall’accorato appello che “nasconde per paura / il logorio degli anni” cui, però, affida la consapevolezza di una volontà forte seppure in istanti che sono “avventura” e mostrano “la tempesta”. E’ una poesia disadorna, che non si perde tra rime e orpelli linguistici, e chiede dove volgere lo sguardo per avere – alla fine della via – l’immensa materna accoglienza dell’infinito.
Avete mai provato di trovarvi in una situazione di disagio, quando tutto intorno a voi sembra essere in sfacelo, senza etica e senza un minimo di socialità condivisa? Poi ecco all’improvviso – una sera – la lettura di queste poesie che soccorrono e tutto un mondo s’apre sulla contemporaneità inquieta, su sensazioni che propongono spunti lungo il percorso della quotidianità come ritorno al buon senso nel trovare riferimenti che accomunano. Perché Umberto Chiusi fa emergere la dinamica di un processo identitario, e apre lo sguardo nel cogliere l’essenza di una scelta che può ribaltare le aspettative di quello che si rimembra, tentativo di effemeridi che tendono a purificare e a risolvere interrogativi da ricomporre senza più domande in “ipotesi da scartocciare / nel seminato di un libro”.
Siamo in presenza di uno smarrimento della condizione di riconoscere malati d’indifferenza in una società che ha perso il senso di ciò che sta attorno, la misura di quanto accade. Ed è questo il richiamo del poeta che indica la strada nell’umanità che diventa pagina tra vocali e consonanti a sera nel rimando al cuore che libera dal superfluo, mentre le parole compongono versi per la voglia di capire. E’ questo il primo impatto, poi l’aspetto di “fragili fogli di carta / … stracciati / tra abbandoni e voli inesplosi”, in cui campeggia il silenzio di un insieme che diventa confronto, anche solo per rafforzare un approccio dalle ampie possibilità di considerare storie individuali come collettive, tanto che smuove le penombre di una tensione nel dare forma ed espressione a un incontro con la coscienza e con tutto quanto è in ognuno di noi. C’è, insomma, la serenità come filo conduttore di tutta la poesia chiusiana, e c’è l’opportunità di recuperare un possibile presente più che un futuro, con la forza espressiva del poeta che risponde al fluire dei giorni, senza pregiudizi e senza stereotipi.
Andrea Barretta
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